Los Chinos de Cuba, un'altra faccia del prisma della creolizzazione caraibica (Parte I)
Carlo Nobili
Más que blanco, más que mulato, más que negro...
(José Martí, uomo politico e scrittore cubano, 1853-1895)
Gli elementi della cubanía
Si è soliti sostenere, a proposito dell'identità cubana, che protagonisti di questo processo furono gli indiani di Hatuey (Arawak delle Grandi Antille), estinti ben presto e relegati oggi, come sopravvivenza "miracolistica", nella sola zona di Yateras (o Jamaica), vicino Guantánamo; protagonisti furono i conquistatori spagnoli che fondarono nel solo arco di qualche anno diverse città su quella terra strappata con la pesantezza delle armi a Taíno e Siboney; protagonisti furono gli schiavi africani nei barracones (le costruzioni in legno dove venivano custoditi gli schiavi) o intenti a zafrar caña (tagliare canna da zucchero) nell'ingenio (zuccherificio), a boicottare gli interessi dell'amo (il padrone), a ribellarsi a lui anche in modo violento, o a servirlo, blanqueandose (letteralmente, "diventare come i bianchi") nella sua casa; protagonisti furono i cimarrones (schiavi fuggiaschi) in fuga nel monte (selva, bosco), al riparo nei palenques o, catturati, nei Depositi; protagonisti furono gli emigranti delle Canarie, arrivati a Cuba in buon numero intorno al XIX secolo a causa della povertà sofferta nella loro terra, ma con la sapienza della loro cucina, con l'originalità della loro musica, con la ricchezza della loro mitologia e con il volo delle loro brujas (le streghe); protagonisti furono i "discendenti" di coloro che fuggirono dalle colonie francesi (Haiti e Louisiana), i quali portarono la loro esperienza e le loro conoscenze tecniche nel lavoro dei campi, insieme alla contradanza, alla cipria, alla parrucca e agli elementi del vodu oggi riscontrabili nella parte orientale dell'isola; protagonisti furono i rivoluzionari, bianchi e negri, che insieme, da libertadores, lottarono per l'abolizione della schiavitù, per l'emancipazione politica e l'indipendenza dalla Spagna, i quali scelsero come loro simbolo il machete, poiché proprio con questo strumento aprirono varchi alla libertà nazionale del paese.
Protagonisti a Cuba furono anche altri: gli Inglesi che con la loro temporanea occupazione dell'Avana nel 1762, durante la Guerra dei Sette anni, pure hanno lasciato nell'isola alcuni elementi culturali, perlopiù legati al protestantesimo e la stessa comunità di lingua inglese di Cuba, costituita oggi da pescatori dell'Isla de la Juventud arrivati come emigranti dall'isola Gran Caimán e dai Giamaicani di Ciego de ávila.
Protagonisti della storia e della cultura cubana, di questa infinita mescola che si è soliti chiamare cubanía, furono anche gli Yucatecos del Messico, i Filippini e, last but not least, i Cinesi — che arrivati con un contratto capestro che li equiparava di fatto agli schiavi —, con i loro giochi, gli spettacoli da strada e il loro ingegno, si lasciarono ben presto trasportare nel divenire, improvviso e imprevedibile, della creolizzazione.
I Cinesi a Cuba: una storia coloniale
Il primo "carico" ufficiale di Cinesi a contratto (206 sopravvissuti dei 300 che si erano imbarcati) arriva nell'isola cubana, a bordo della fregata spagnola Almirante Oquendo, il 2 gennaio del 1847, nel momento i cui per gli Spagnoli si era fatta più urgente la necessità di contrattare lavoratori stranieri che potessero sostituire gli schiavi africani nei lavori dei campi.
Gli Inglesi, infatti, abolita la schiavitù, avevano iniziato ad intercettare le navi negriere spagnole e a rendere di conseguenza sempre più difficile la Tratta dall'Africa.
Appena dieci giorni dopo l'arrivo della Oquendo un altro carico di 365 culies (inglese coolies — dalla voce urdu kuli —, lavoratori a giornata) cinesi sbarca a Cuba dalla nave Duke of Arguile.
Nel 1853 sono 5.150 i Cinesi che entrano Cuba e tra il 1853 e il 1873 se ne importarono ben 132.435.
Il censimento del 1861 indicava il loro numero in 34.891, solo 57 di questi erano donne.
1853
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5.150
1856
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2.253
1857
|
6.753
1858
|
8.913
1859
|
7.695
1860
|
5.773
1862
|
752
1863
|
2.922
1864
|
4.469
1868
|
8.835
1869
|
4.124
1870
|
1.064
1871
|
5.706
1872
|
8.045
1873
|
6.307
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Si calcola che furono oltre 150.000 i Cinesi introdotti a Cuba come "contratados"; al loro arrivo, la maggioranza si concentrò a La Habana, il resto si sistemò nella zona orientale di Santiago di Cuba, a Cienfuegos, a Holguín, a Camagüey e nella provincia centrale di Villa Clara.
Illoro arrivo, soprattutto dalla città di Amoy, da Canton, dalla provincia del Fukien e dalla penisola di Macao, risulterà di fatto una nuova e terribile forma di schiavitù messa in atto dalla Corona spagnola.
Obbligati per contratto, così come i Filippini e gli indiani dello Yucatán, ad una permanenza sull'isola di almeno otto anni, i Cinesi vivevano insieme agli schiavi, dividendo con essi il lavoro, il barracón e i castighi del mayoral (il sorvegliante).
La prima rivolta documentata di "obreros chinos" si ebbe già nel 1847.
Tra il 1850 e il 1854 i Cinesi catturati in condizione di cimarrones, entrati nel Deposito dell'Avana, sono 75, ossia il 6,12% della cifra totale dei catturati di quel periodo; ben presto però tale percentuale subì una brusca impennata, passando al 45,64% (183 casi) dei catturati entrati nel Deposito di Cárdenas nel 1856 o al 35% (84 casi) di quelli entrati nel Deposito di Matanzas nel 1857.
I Cinesi di Cuba visti dal cimarrón Esteban Montejo
Nel 1966 veniva pubblicata a La Habana, a cura dello scrittore e sociologo cubano Miguel Barnet, la biografia romanzata della vita del cimarrón Esteban Montejo.
Il protagonista è un uomo di 106 anni, nato schiavo nell'infermeria dell'ingenio di Santa Teresa, il 26 dicembre del 1860.
Il padre, Nazario, proveniva dalla città africana di Oyó, l'antica capitale politica del regno yoruba della Nigeria; sua madre era Emilia Montejo, una schiava di origine francese, da cui prenderà l'apellido.
Schiavo nei campi di canna da zucchero e successivamente cimarrón nella selva e mambí (rivoluzionario) durante la Guerra d'Indipendenza, Esteban seppe mantenere, in ogni circostanza e in tutto l'arco della sua vita, un fermo sentimento individualistico che lo portò a vivere isolato,
"... o más despegado de sus semejantes".
Esteban però osserva tutto, di tutti si fa un'opinione, risultando così un testimone di quelle forti trasmutazioni presenti e attive nel processo civilizzatore cubano negli anni a cavallo tra i due secoli e un autentico pezzo di quella che si è soliti chiamare cubanidad.
Esteban parla molto e di tutti, mostrandoci il volto in divenire di una nazione come quella cubana alla ricerca di una sua, propria e libera, identità. Parla Esteban molto anche dei Cinesi di Cuba che incontra spesso; ha modo di conoscerli da vicino, perché Cuba, come egli sostiene,
"... había muchos chinos".
<
Li incontra già da ragazzo: ricorda i vecchi contratados, ormai impossibilitati a lavorare con la caña, arrivare presso l'ingenio a vendere ajonjolí (sesamo).
La sua prima riflessione è che essi siano, tra tutti, i più "separatistas" e "aislados"; la domenica, giorno di balli e giochi, rimangono da soli a guardare i negri:
"Questi cornuti non avevano orecchio per il tamburo. Si appartavano".
I negri non fanno nemmeno caso alla loro presenza e continuano a ballare.
D'altro canto "los chinos" sono silenziosi e non creano problemi, stanno sempre in disparte per conto loro; non sono brujos, non volano per compiere malefici come gli Isleños (gli isolani delle Canarie), né chiedono di tornare alla loro terra.
Talvolta accadeva invece che si uccidessero fra loro, ma anche questo facevano in silenzio. I cadaveri venivano trovati impiccati ad un albero o stesi a terra. Ribelli dalla nascita, i Cinesi uccidevano i mayorales a pugnalate o a bastonate, e molto spesso il padrone dell'ingenio, ricorda Esteban, era costretto a dare loro un mayoral della loro stessa nazione, in modo che potesse entrare più facilmente in confidenza con loro.
Esteban conclude questa sua riflessione sui Cinesi, ricordando che più tardi a Sagua la Grande ne conoscerà molti altri, stavolta
"... distintos y muy finos".
Qui, in questa città dove va ormai dopo l'abolizione della schiavitù, Esteban ha modo di conoscere il loro teatro: un grande teatro di legno, "muy bien construido" e, siccome hanno gran gusto per le cose, tutto era pitturato con colori vivaci.
Nel teatro i Cinesi facevano cose spettacolari mettendosi a piramide uno sopra l'altro. La gente applaudiva e loro con eleganza salutavano. Per Esteban, a Cuba i più raffinati — e non "cabrones", come prima aveva asserito, sono proprio "los chinos"; tutto ciò che essi facevano lo realizzavano con inchini e in silenzio.
A Sagua la Grande i Cinesi erano organizzati in società. In queste si riunivano per conversare in lingua e per leggere i giornali del loro paese ad alta voce. E questo continuavano a fare, come se nulla fosse, anche quando qualcuno li prendeva in giro.
Ma la caratteristica maggiore dei Cinesi è che sono davvero
"... muy buenos comerciantes".
Avevano le loro botteghe dove vi erano stipate grandi quantità di prodotti rari; vendevano bambole di cartapesta per i bambini, profumi e tessuti. Calle Tacón, a Sagua la Grande, era tutta un brulicare di Cinesi; lì sorgevano le loro sartorie e le rivendite di dolciumi.
Lì si riunivano i fumatori di oppio. Perché — ci dice Esteban —, ai Cinesi piace in maniera considerevole l'oppio. Lo fumavano in lunghe pipe di legno, nascosti nelle loro botteghe affinché i bianchi, ma anche i negri, non li vedessero.
Erano anche dei grandi inventori di giochi, sicuramente i più grandi. Giocavano ovunque, giocavano, barricati, anche in casa. Ma i Cinesi di Sagua La Grande giocavano soprattutto per strada e nei cortili; giocavano al gioco, cosiddetto, del botón (bottone) e ad un altro, che ancora, sostiene Esteban, si gioca oggi, la charada (sciarada).
Si tratta della cosiddetta Chifá, un semplice sistema di interpretazione dei sogni ancora oggi comunemente usato per scommettere o per giocare alla lotteria. Pur non facendo parte della Santería (quel corpo liturgico che, nato dalla fusione dei culti yoruba con la religione cattolica, si basa sul culto all'oricha — ocha, santo), è usato estesamente dai suoi fedeli e l'associazione tra animali, persone o oggetti e loro numero è così forte fra essi, che vale la pena presentare un elenco seppur abbreviato.
CHIFÁ o CHARADA CHINA
1. Cavallo
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2. Farfalla
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3. Marinaio
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4. Gatto, bocca
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5. Monaca
6. Tartaruga
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7. Lumaca
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8. Cadavere
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9. Elefante
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10. Pesce grande
11. Gallo
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12. Prostituta
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13. Pavone
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14. Tigre
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15. Cane
16. Toro
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17. Luna
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18. Pesce piccolo
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19. Verme
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20. Gatto di casa
21. Serpente
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22. Rospo
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23. Vapore
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24. Colomba
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25. Gemma
26. Anguilla
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27. Vespa
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28. Capra
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29. Topo
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30. Gamberetto
31. Cervo
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32. Porco
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33. Poiana
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34. Scimmia
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35. Ragno
36. Tubo
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37. Strega
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38. Palma
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39. Coniglio
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40. Prete
41. Lucertola
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42. Anatra
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43. Scorpione
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44. Anno
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45. Squalo
46. Autobus
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47. Uccello
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48. Scarafaggio
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49. Ubriaco
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50. Polizia
51. Soldato
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52. Bicicletta
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53. Luce elettrica
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54. Fiore
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55. Granchio
56. Dolciumi
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57. Letto
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58. Fotografia
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59. Matto
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60. Pagliaccio
61. Cavallo grande
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62. Matrimonio
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63. Assassino
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64. Cadavere
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65. Cibo
66. Corno
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67. Pugnalata
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68. Cimitero
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69. Bene
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70. Cocco
71. Fiume
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72. Bue
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73. Valigia
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74. Aquilone
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75. Cravatta
76. Ballerino
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77. Bandiera Italiana
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78. Bara
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79. Treno
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80. Dottore vecchio
81. Teatro
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82. Madre
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83. Tragedia
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84. Sangue
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85. Specchio
86. Forbici
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87. Banana
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88. Occhiali
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89. Torrenti
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90. Uomo vecchio
91. Scarpa vecchia
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92. Aereo
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93. Anello
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94. Machete
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95. Guerra
96. Scarpa
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97. Zanzara
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98. Pianoforte
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99. Sega
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100. Toletta
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Anche i negri, così come i bianchi, si univano ai giochi dei Cinesi; Esteban osserva da vicino le loro feste religiose, magari facendosela a piedi fino a Sagua La Grande, perché
"... el tren era muy caro".
Le piazze si riempivano per vederli ballare in aria con grande leggerezza.
Ricorda Esteban anche i loro trucchi: li ricorda cimentarsi a terra con una enorme macina di pietra sul ventre, mentre un altro sferrava con un grande martello un colpo; si rialzavano con un salto, come nulla fosse, ringraziavano ridendo e allora tutto il pubblico in visibilio urlava:
Ma il trucco dei Cinesi che Esteban ricorda con maggior piacere è quello della carta bruciata, resa cenere e buttata a terra; poi una volta raccolta tra le mani a mucchietti ne traevano fettucce colorate.
Esteban è sicuro che pur nella positività di tutto questo — ha già ricordato che essi non sono brujos —, vi siano da parte dei Cinesi dei poteri ipnotici che essi sfruttano sull'ignaro pubblico.
Questa facoltà, che essi hanno sempre avuto, rappresenta per Esteban
"... el fundamento de la religión de China".
Dopo questi tempi, quelli di Sagua la Grande, i Cinesi, continua Esteban, si dedicheranno alla vendita di frutta e verdura, e un poco "se echaron a perder", non avendo più quell'allegria "del tiempo de España" e se oggi provi a chiedere ad uno di loro "¿Voy bien?", egli risponderà:
"Yo no sabe".
Parte I — Parte II
Tratto da: NOBILI Carlo, "Los chinos de Cuba, un'altra faccia del prisma della creolizzazione caraibica", Lares, Firenze, anno LXVI, n. 3, 2000, pp. 379-391.
Cuba. Una identità in movimento
Webmaster: Carlo Nobili — Antropologo americanista, Roma, Italia
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