Il termine cimarrón (maroon in inglese, marron in francese) indicò originariamente gli animali, come il maiale, che da domestici ridiventano selvatici; lo stesso termine viene usato la prima volta nella Real Cédula dell'11 marzo 1531 per definire gli schiavi ribelli in fuga dalle piantagioni delle colonie spagnole d'America.
Il cimarronaje, ossia la fuga di schiavi, fu infatti un fenomeno essenzialmente legato al sistema schiavistico delle piantagioni, il modello politico ed economico inventato dal capitalismo europeo, dapprima sperimentato dai Portoghesi a São Tomé sin dal 1485 e quindi trasferito e sviluppato, per rendere sempre più complesso il sistema di sfruttamento, da Spagnoli, Inglesi, Francesi e dagli stessi Portoghesi nel continente americano.
Il fenomeno, che ci mostra una delle tante forme in cui l'uomo ha inteso interpretare la storia dell'Emisfero Occidentale del nostro pianeta, fu presente in tutte le Americhe — dalla costa occidentale degli Stati Uniti ai Caraibi, dall'America Centrale a quella Meridionale — e molto spesso le comunità di cimarrones costrinsero i governi coloniali a firmare trattati e patti che garantirono loro la libertà, la terra e l'autonomia politica, così come accadde a Santo Domingo nel 1782, allorquando le autorità francesi riconobbero ai cimarrones, dopo circa ottanta anni di lotte contro gli orrori della schiavitù, la loro piena libertà.
A Cuba gli studi sul fenomeno hanno distinto tra i cimarrones, oltre al rebelde (lo schiavo che fuggiva dopo una sommossa), il simple e l'apalencado.
Il primo era lo schiavo che, fuggito dall'hacienda, viveva a una distanza poco maggiore a tre leghe (oltre 15 km) e si univa in gruppi di non più di sette persone che non avevano un proprio territorio da controllare.
Aveva l'appellativo di apalencado lo schiavo che fuggiva con l'obiettivo di rifugiarsi in luoghi appartati per unirsi a gruppi consistenti di cimarrones, fondando comunità, coltivando, procreando figli e organizzando un sistema di vigilanza e difesa della zona in cui ci si riuniva, il palenque appunto, da cui apalencado.
Il palenque — conosciuto in altre parti d'America come mocambo (probabilmente dalla voce africana mukambu, tetto di paglia) quilombo quilombo (da kimboundu o kilombu, accampamento, villaggio), cumbe, maniel e cimarronera — fu un elemento fondamentale nella riorganizzazione religiosa dei popoli africani e l'apalencado fu più fieramente perseguitato che non il semplice cimarrón: se, per esempio, per la cattura di questo si pagavano quattro pesos, per l'apalencado il prezzo poteva essere superiore cinque o sei volte.
Per la particolare conformazione del territorio, il consolidamento di comunità cimarronas fu a Cuba (e nelle altre isole caraibiche) assai più difficile che non in tutto il resto dell'America e se è vero che vi furono palenques che ebbero una vita alquanto lunga, non si registrò nell'isola cubana la stessa stabilità che ebbero queste stesse comunità di schiavi fuggiaschi, per esempio in Colombia, in Venezuela e soprattutto in Brasile, dove più facile fu per il cimarrón, per i grandi spazi offerti dalle condizioni geografiche di quella nazione, mettere una maggiore distanza tra sé e i persecutori e difendere in modo più efficace il proprio territorio. Va ricordato, per esempio, che il Quilombo dos Palmares (nei pressi di Recife — Stato di Pernambuco) durò circa 100 anni (dal 1600 al 1695) ed era costituito da ventimila persone (il 15% dell'intera popolazione brasiliana) e tredici comunità coordinate fra loro, tra queste: Macaco, nella Serra da Barriga (Stato di Bahía), con ottomila abitanti; Amaro, a nordest di Serinhaém (Stato di Bahía), con cinquemila abitanti; Sucupira, a 80 km da Macaco; Osenga, a 20 km da Macaco; Zumbi — a nordest di Porto Calvo (Stato di Bahía).
Negli studi sul fenomeno del cimarronaje vengono inoltre riconosciute a Cuba cinque distinte fasi cronologiche, assai ben diversamente caratterizzate tra esse.
Nella prima, che va dai principi del XV secolo alla metà del XVIII, non è possibile operare una differenziazione tra simple, rebelde e apalencado; l'unione tra cimarrones africani e indios mostra il carattere originariamente transculturativo della cultura cubana.
La fase successiva è quella che va dalla seconda metà del secolo XVIII fino al 1786; maggiori sono le informazioni sugli schiavi fuggiaschi; non si notano differenziazioni tra la figura del ribelle e dell'apalencado, ma entrambi vengono considerati cimarrones.
La terza fase, che va dal 1796 al 1820, è quella in cui si registrano le cifre più alte di cimarrones catturati. Pubblicato nel 1796 il Reglamento de Cimarrones, viene avviato un vasto piano di persecuzione e cattura degli schiavi fuggiaschi. Oltre alla creazione di Depositi ufficiali dove sono portati i cimarrones catturati, in questa fase vengono a differenziarsi maggiormente i concetti di rebelde, simple e apalencado.
La quarta fase va dal 1820 al 1854; si registrano pressappoco le stesse cifre dei catturati della fase precedente; dal 1854 il Deposito dell'Avana non accoglie più cimarrones catturati ma Chinos contratados.
L'ultima fase, la quinta, va dal 1854 al 1886; come conseguenza del grande sviluppo delle industrie dello zucchero, il fenomeno del cimarronaje si concentra perlopiù nelle zone di Cárdenas e di Matanzas; è la fase che chiude il triste capitolo della schiavitù a Cuba (nel 1880); il fenomeno del cimarronaje va a scemare e la Guerra di Indipendenza (o Guerra Ispano-Americana) unirà ben presto schiavi neri e padroni bianchi in un ideale comune di libertà.
Tra i più famosi cimarrones cubani vanno ricordati: Yara, Pedro José, Juan Manco, Mariano Gangá, Domingo Macuá, Diós Dá, Felipe Macuá, Antonio José, Mayimbe José Dolores, Ventura Sánchez (Coba), Manuel Griñan (Gallo), Trimi, Pascual Betancourt, Ambrosio Congo, Agustín Madre de Agua, Felipe Gangá, Lorenzo Gangá, Patricio Sabicú, Caoba, Miguel Vientos, José Antonio e Joaquín.
Un posto speciale all'interno della grande costellazione di cimarrones è però occupato dalla figura di Madre Malchora, che fu a capo di un gruppo apalencado di quaranta persone e che operò nelle montagne di Pinar del Río; da Pancho Mina, il quale tenne in scacco per oltre venti anni rancheadores ("cacciatori" di schiavi fuggiaschi) e soldati spagnoli; da Sebastián, capo del Palenque El Frijol, il più grande di cui si abbia notizia a Cuba; da Diego Grillo, altrimenti detto Capitán Dieguillo, cimarrón marinaio che si imbarcò su una nave pirata, diventando luogotenente dell'olandese Cornelius Jo Jolls (Palo de Pata), insieme al quale partecipò a numerose scorribande nel mare dei Caraibi.
Nelle grandi sommosse del 1843, figure di grande spicco nella storia del cimarronaje furono Feliciano, Eduardo, Fermina, Gregorio, Evaristo, Carlota, Carmita Juliana, Filomena, Lucía, Felipe, Manuel, Cristóbal, Zoilo, Cirilo, Adán e Nicolás.
A parte il cimarronaje vero e proprio, vi furono nella Cuba coloniale diverse altre forme di resistenza e di opposizione frontale al sistema schiavista: dal boicottaggio nei lavori nei campi (gli schiavi ostacolavano gli interessi dei padroni rallentando, per esempio, il ritmo del lavoro) allo scontro armato, dal rifiuto delle donne a partorire schiavi per i loro padroni a forme di ribellione individuale o di rivolta violenta da parte di gruppi talora alquanto numerosi.
In Mujer y esclavitud la studiosa dominicana Celsa Albert Batista ha recentemente elaborato un nuovo concetto di cimarronaje: il cimarronaje doméstico, alludendo a tutte quelle azioni fatte dalle schiave di casa di nascosto o in modo palese per burlarsi o "debilitare" il potere del padrone.
La schiava che esercitava il suo lavoro come jornalera (salariata) e che comprava e vendeva per il padrone imponeva abilmente, per esempio, le sue proprie regole, sia convincendo il padrone della necessità di rimanere ella stessa lontano dalle fatiche imposte dalla piantagione, sia risparmiando per comprare la libertà dei suoi figli, la propria e anche quella del marito.
In questo senso, piace pensare come cimarróna doméstica Ma' Dolores Iznaga, la schiava cubana di origine gangá, guaritrice e rivoluzionaria, che nel secolo scorso fu condannata a morte (e quindi graziata) poiché nascondeva nella sua baracca i patrioti feriti e li curava con le sue doti e con i suoi efficaci rimedi africani (saliva, acqua di pozza e preghiere).
Nel suo racconto "Rumba di donne a Cuba" (in Rumba senza palme, né carezze. Narratrici cubane contemporanee, Lecce, Besa Editrice, 1996) Danilo Manera scrive:
Sulla parete di fondo, tra le riproduzioni di quadri di Amelia Peláez, ce n'è uno di Ariadna dedicato a Ma Dolores, la schiava guaritrice che nel secolo scorso nascondeva nella sua baracca i patrioti cubani feriti e li curava. Ma Dolores è ritratta serena di fronte al plotone d'esecuzione, mentre arriva al galoppo un ufficiale con la spada in alto e una busta con la grazia sulla punta. La folla radunata sul pianoro piange a un estremo ed esulta all'altro, a seconda che si trovi vicino al luogo della fucilazione o lungo il sentiero percorso dal cavaliere. In basso, a destra, appoggiato a un albero, si vede il tenente del picchetto, che si è fratturato una gamba cadendo da cavallo ed è stato guarito all'istante da Ma Dolores, con tabacco impastato di saliva prodigiosa. A sinistra c'è invece la sorgente presso Cabarnao dove si dice che lei sia scomparsa e dove ancora va la gente ad attingere acqua medicamentosa o immergersi vestita il Venerdì Santo.
Su questa schiava, che doveva il cognome al suo ex padrone, Don Pedro Iznaga, esiste a Cuba molta mitologia, perlopiù raccolta e sistemizzata dal grande etnografo cubano Samuel Feijóo (si veda in questo Sito "Mito di Ma Dolores" ).
Tratto da: NOBILI Carlo, "Pagine di storia caraibica: il fenomeno del cimarronaje cubano", in Lares, Firenze, anno LXVI, n. 3, 2000, pp. 393-398.