|
Cuba |
|
Una identità in movimento | ||
|
Nicolás Guillén: piccola antologia in italiano — 6
Canto di veglia a Papà Montero
Hai incendiato la prima alba Canna da zucchero
Il negro Ballata dei due avi
Ombre che io solo vedo, lndovinelli
Ha la mattina sui denti, West Indies Ltd.
1 Cuba. Una identità in movimento
col fuoco della tua chitarra:
succo di canna nella ciotola
della tua carne viva e scura,
sotto la luna morta e bianca!
Il son ti è uscito rotondo
e mulatto, come una nespola.
Bevitore di lunghe sorsate,
gola foderata di latta,
in un mare di rum vela spiegata,
campione di tutte le feste:
che ci vai a fare con la notte,
se non potrai portartela via?
E che vena ti potrà dare
il sangue che ti manca,
se ti è fuggito dal tubo
nero della pugnalata?
Ora, si, ti hanno stroncato,
Papà Montero!
Nel casale ti aspettavano,
invece t’hanno riportato morto;
è stato un brutto scherzo di sbornia,
invece t’hanno riportato morto;
dicono che lui fosse tuo amico stretto,
invece t’hanno riportato morto;
il coltello non si è più visto,
invece t’hanno riportato morto...
Ormai è finito Baldomero,
malandrino e danzatore di rumba!
Solo due candele bruciano,
adesso, quel poco d’ombra;
per la tua piccola morte
due candele sono fin troppe.
Ma assai più delle candele,
ancora più t’illuminano
la camicia scarlatta
che accese le tue canzoni,
lo scuro sale dei tuoi sones,
e il tuo ciuffo impomatato!
Ora, si, ti hanno stroncato,
Papà Montero!
Oggi l’alba l’ha fatta la luna
nel patio della mia casa;
di taglio è caduta in terra,
e là è rimasta conficcata.
I ragazzi l’hanno raccolta
per ripulirle la faccia,
e io l’ho portata, qui stanotte
e te l’ho messa per guanciale.
lì nel canneto.
Lo yankee
sopra il canneto.
La terra
sotto il canneto.
Nostro sangue
che se ne va!
Parole nel Tropico
Tropico,
la tua fiamma dura
abbrustolisce le alte nubi
e il cielo profondo, cinto dall’arco del Mezzodì.
Tu prosciughi sulla pelle degli alberi
l’angoscia della lucertola.
Tu ingrassi le ruote dei venti
per fare spavento alle palme.
Tu trafiggi
con una gran freccia rossa
il cuore delle selve
e la carne dei fiumi.
Ti vedo arrivare per i sentieri cocenti,
oh Tropico, con la tua cesta di manghi,
con le tue ricche canne da zucchero,
e i tuoi caimitos, violacei come il sesso delle negre.
Vedo le tue aspre mani
scegliere come un barbaro le sementi,
e cavare da esse l’albero opulento:
albero nato da poco, eppure capace
d’inventare una fuga tra i boschi clamorosi.
Qui,
in mezzo al mare,
in tresca, nelle acque, con le mie Antille nude,
io ti saluto, Tropico!
è un saluto sportivo,
primaverile,
e lui sgorga dal polmone salmastro
di queste isole scandalose che sono tue figlie.
(Giamaica si dice contenta
d’essere negra;
e Cuba sa già d’esser mulatta!)
Ah, che ansia
poter aspirare il turno del tuo incendio
e sentire nei due abissi amari le ascelle!
Le ascelle, oh Tropico,
con i peli torti e ritorti nelle tue fiamme.
Pugni m’hai dato
per spaccare il cocco, come un piccolo dio collerico;
occhi m’hai dato
per sorprendere l’ombra delle mie tigri;
orecchi m’hai dato
per udire sul terreno le peste lontane.
A te debbo il corpo oscuro,
le gambe agili e il capo crespo;
il mio amore per la femmina primordiale,
e questo sangue incancellabile.
A te debbo le alte giornate,
alla cui tela azzurra sono appesi
soli rotondi e allegri;
a te debbo le labbra umide,
la coda del giaguaro e la saliva delle serpi;
a te debbo la pozza dove bevono le fiere assetate;
a te debbo, oh Tropico,
quest’entusiasmo bambino
di correre sulla pista
della tua vasta cinta piena di rose gialle;
ridendo sopra le montagne e le nubi,
mentre un cielo marino
si frange ai miei piedi in infinite onde di stelle!
i due avi mi fanno scorta.
Lancia con punta d’osso,
tamburo di legno e cuoio:
il mio nonno negro.
Gorgiera sul largo collo,
grigia armatura guerriera:
il mio nonno bianco.
Africa di umide selve
e di sordi rombi di gong...
— Mi sento morire!
(Dice il nonno negro).
Acqua morta di caimani
verdi mattine di cocco...
— Mi sento stracco!
(Dice il nonno bianco).
Oh vele d’amaro vento,
galea che brucia d’oro...
— Mi sento morire!
(Dice il nonno negro).
Oh coste dal collo vergine
sedotte da vetri lucenti...
— Mi sento stracco!
(Dice il nonno bianco).
Oh sole di ferro sbalzato,
stretto nel cerchio del Tropico;
oh luna rotonda e tersa
sopra il sonno delle scimmie!
Quante navi, quante navi!
Quanti negri, quanti negri!
Che lungo fulgore di canne!
Che dura frusta ha il negriero!
Pietra di pianto e di sangue,
vene e occhi socchiusi,
e aurore desolate,
e serate di in genio,
e una grande, forte voce,
che lacera il silenzio.
Quante navi, quante navi!
Quanti negri!
Ombre che io solo vedo,
i due avi mi fanno scorta.
Don Federico mi grida,
e Taita Facundo tace;
entrambi la notte sognano,
e camminano, camminano.
Io li unisco.
— Federico!
Facundo! I due si abbracciano.
Tutti e due sospirano
e le torti teste rizzano;
tutti e due della stessa taglia,
sotto le alte stelle;
tutti e due della stessa taglia,
ansia negra e ansia bianca,
tutti e due della stessa taglia,
gridano, sognano, piangono, cantano.
Sognano, piangono, cantano.
Piangono, cantano.
Cantano!
e la notte sulla pelle.
Chi sarà? Chi non sarà?
— Il negro.
Benché femmina e non bella,
farai ciò che lei comanda.
Chi sarà? Chi non sarà?
— La fame.
Schiava di tutti gli schiavi,
e coi padroni tiranna.
Chi sarà? Chi non sarà?
— La canna.
Lo scandalo di una mano
che non ignora mai l’altra.
Chi sarà? Chi non sarà?
— La carità.
Un uomo che sta piangendo
col riso che ha imparato.
Chi sarà? Chi non sarà?
— Io.
West Indies! Noci di cocco, tabacco e aguardiente...
Il nostro è un oscuro popolo sorridente,
conservatore e liberale,
ricco di mandrie e di zucchero,
un paese dove talvolta scorre molto denaro,
ma dove si vive sempre molto male.
Il sole abbrustolisce qui tutte le cose,
dal cervello alle rose.
Sotto il vestito di lino lucente
abbiamo ancora ai fianchi la fascia dei selvaggi;
gente semplice e buona, di schiavi discendente
e di quella ciurma incivile,
di svariatissima risma
che, in nome della Spagna, donò Colombo alle Indie con gesto gentile.
A dire il vero è un popolo mansueto ancora... — Eppure, alla sua ora
— alzerà di colpo la cervice; — dovunque con le sue mani callose irromperà
— e farà come certi alberi di città — che svellono tutto un marciapiede con una sola radice!
Qui trovi bianchi e negri e cinesi e mulatti
Certo, sono tutti colori andanti
perché, attraverso tanti commerci e contatti,
molta strada hanno percorso e non è una tinta netta.
(Se qualcuno non la pensa così, si faccia avanti).
Qui c'è di tutto, qui ci sono partiti politici,
e oratori che dicono: "In questi momenti critici..."
Ci sono banche e banchieri,
legislatori e borsisti,
avvocati e giornalisti,
medici e portieri.
Cosa ci può mancare?
Se qualcosa ci mancasse lo manderemmo a cercare.
West Indies! Noci di cocco, tabacco e aguardiente.
Il nostro è un oscuro popolo sorridente.
Ah terra insulare!
Ah terra affilata!
Non è vero che sembra tagliata
per piantarci solo un palmeto?
Terra sulla rotta dell'Orinoco
o di qualche altra nave turista,
piena di gente ma senza un solo artista
e senza un pazzo;
porti dove chi torna da Marsiglia,
da Seul o Nuova Dehli
viene a mangiare azzurri cieli
che annaffia con Bacardi in bottiglia,
porti dove si parla un inglese
che per yes comincia e per yes finisce.
(Inglese da cicerone a quattro zampe).
West Indies! Noci di cocco, tabacco e aguardiente.
Il nostro è un oscuro popolo sorridente.
Di te mi rido, nobile di ogni Antilla,
scimmia che salta di fronda in fronda,
pagliaccio che per non fare una magra s'assilla
e ogni volta la fa sempre più fonda.
Di te mi rido, bianco dalle verdi vene
— ti si vedono anche se cerchi di occultarle!
— di te mi rido perché parli di nobiltà preclare,
di fabbriche fiorenti e casseforti piene.
Di te mi rido, negro pappagallo senile,
che sgrani gli occhi all'auto dei ricconi
e ti vergogni del tuo viso scuro,
mentre hai un pugno così duro!
Di tutti me la rido: dello sbronzo e dell'agente,
del padre e del suo ragazzo,
del pompiere e del presidente.
Di tutti me la rido: rido di tutti quanti
tremano al cospetto di quattro fantocci
che tronfi se ne stanno sotto stemmi sgargianti
come quattro selvaggi all'ombra di un palmeto.
2
Cinque minuti d'intervallo.
L'orchestrina di Juan el Barbero
attacca un son.
— Colonnelli di cartapesta,
politicanti piegagroppone;
pane e burro nel caffè...
Avanti con la canzone!
La burocrazia è già d'accordo
ad immolarsi per la Nazione;
duecento dollari a fine mese...
Avanti con la canzone!
Lo yankee ci dà la grana
per sistemare la situazione;
la Patria sempre innanzitutto...
Avanti con la canzone!
I vecchi politici sorridono
e poi parlano da un balcone.
La produzione dello zucchero!
Avanti con la canzone!
3
Le canne — lunghe — tremano
di paura davanti alla roncola.
Scotta il sole e l'aria pesa.
Grida di capoccia
schioccano secche e dure come frustate.
Dall'informe massa
dei poveracci che lavorano
sorge una voce che canta,
si stacca una voce che canta,
leva una voce piena di rabbia,
s'alza una voce d'un tempo e d'oggi,
moderna e barbara:
— Tagliare teste come canne,
zac. zac, zac!
Bruciare canne e teste,
far salire il fumo sino alle nubi,
quando sarà, quando sarà?
Ecco la mia roncola affilata,
zac, zac, zac!
Ecco la mia mano con la roncola,
zac, zac, zac!
E il capoccia è dalla mia parte
zac, zac, zac!
Tagliare teste come canne,
bruciare canne e teste,
far salire il fumo sino alle nubi...
Quando sarà?
E la flessuosa canzone, nella sera
di zucchero e dolore profondo,
trema, rifulge e arde,
sospesa al tetto concavo del mondo.
4
La fame passa sotto i portici
pieni di facce gialle
e di corpi spettrali;
e fermandosi nelle panchine
dei parchi municipali,
o pullulando in pieno sole
e a piena luna,
cerca il problematico alcool
che acceca e cancella via,
ma non si vende in nessuna
osteria.
Fame delle Antille,
dolore delle innocenti Indie Occidentali!
Notti affollate di prostitute,
bar affollati di marinai;
crocicchio di cento strade
per banditi e bucanieri.
Covi di venditori di morfina,
di cocaina e d'eroina.
Locali notturni dove s'inganna la noia
con l'illusorio cordiale
d'una bottiglia di champagne,
alla cui efficacia la gente crede
come a un toccasana d'allegria
per la sifilide sentimentale.
Ansia di penetrare l'avvenire
ed estrarre dal suo cuore segreto
un modulo concreto
per sopravvivere.
Furore di pirati
nei loro stiffelius attillati
che, come fu per Sores e l'"Olonate",
davanti alla miseria si scatena
e si risolve in pedate.
Tragica cecità della truppa
che ha sempre le canne puntate
contro chi protesta o fischia
perché il pane è duro o rada la zuppa!
5
Cinque minuti d'intervallo.
L'orchestrina di Juan el Barbero
attacca un Son.
— Per riuscire a campare
devi lavorare sodo;
per riuscire a campare
devi lavorare sodo;
più che piegare la schiena
devi la fronte chinare.
Dalla canna esce zucchero,
zucchero per il caffè;
dalla canna esce zucchero,
zucchero per il caffè;
ma quello ch'essa zucchera
sa solo di nero fiele.
Non ho dove dormire,
né donna per l'amore;
non ho dove dormire,
né donna per l'amore:
tutti i cani m'abbaiano,
e nessuno mi dice signore.
Gli uomini, se sono uomini,
debbono avere il coltello;
gli uomini, se sono uomini,
debbono avere il coltello;
come uomo, io l'ho impugnato,
e in carcere l'ho lasciato.
Se morissi in quest'istante,
se morissi in quest'istante,
se morissi in quest'istante, mamma,
come sarei contento!
Ahi, io ti darò, ti darò,
io ti darò, ti darò,
ahi, io ti darò
la libertà!
6
West Indies! West Indies! West Indies!
Questo è il popolo irsuto,
fatto di rame, policefalo; qui la vita striscia
come serpe col fango secco screpolato sulla pelle.
Questo è il carcere
dove ogni uomo ha la catena al piede.
Questa è la grottesca sede di companies e trusts.
Qui ci sono il lago d'asfalto, le miniere di ferro,
le piantagioni di caffè,
i port docks, i ferry boats, i ten cents...
Questo è il popolo dell'all right,
dove tutto va molto male;
questo è il popolo del very well,
dove nessuno sta bene.
Qui ci sono i servitori di Mister Babbitt.
Quelli che educano i figli a West Point.
Qui ci sono quelli che strillano: hello, baby,
e fumano "Chesterfield" e "Lucky Strike".
Qui ci sono i danzatori di fox trot,
i boys del jazz band
o i villeggianti di Miami e Palm Beach.
Qui ci sono quelli che chiedono bread and butter
e coffee and milk.
Qui gli assurdi giovani sifilitici,
fumatori d'oppio e di marijuana,
che mettono in vetrina i loro spirocheti
e si fanno un vestito a settimana.
Qui c'è il meglio di Port-au-Prince,
il fior fiore di Kingston, la high life dell'Avana...
Ma qui ci sono anche quelli che remano nel pianto,
tragici galeotti, tragici galeotti!
Qui ci sono loro,
quelli che lavorano, con un fascio di scintille,
la pietra dura su cui a poco a poco si contrae
il pugno di un titano. Quelli che accendono
la rossa favilla sopra il campo riarso.
Quelli che gridano "Avanti!" e gli risponde l'eco
d'altre voci: "Avanti!". Quelli che nel fiero tumulto
sentono pulsare il sangue con sillabe d'insulto.
Che ne facciamo di loro,
se lavorano con un fascio di scintille?
Qui ci sono quelli che gomito a gomito
rischiano tutto; e tutto danno
con mani generose;
qui ci sono quelli che si sentono fratelli
del negro, che, piegando la fronte
sul nero fossato, si scioglie in puro sudore,
e del bianco, che sa che la carne è argilla
maligna se percossa dalla frusta, e anche peggiore
se umiliata dallo stivale, perché allora alza la voce,
che è nella gola come un tuono feroce.
Questi sono coloro che sognano a occhi aperti,
che lottano nel fondo della miniera,
e là sentono la voce
con cui gridano i vivi e i morti.
Questi sono gli illuminati,
i paria sconosciuti,
gli umiliati,
i trascurati,
i dimenticati,
gli appiedati,
gli incatenati,
gli intirizziti,
quelli che davanti al fucile gridano: "fratelli soldati!"
e rotolano a terra feriti,
con un filo rosso tra le labbra livide!
(Non si arresti il tumulto!
Sventolino le barbare bandiere,
e le bandiere si accendano
sopra il tumulto!)
7
Cinque minuti d'intervallo.
L'orchestrina di Juan el Barbero
attacca un son.
— M'uccidono, se non lavoro,
e se lavoro, m'uccidono;
sempre m'uccidono, m'uccidono,
sempre m'uccidono.
Ieri ho veduto un uomo
che guardava sorgere il sole;
ieri ho veduto un uomo
che guardava sorgere il sole:
serio era l'uomo e triste,
perché non ci vedeva.
Ahi,
i ciechi vivono senza vedere
quando sorge il sole,
quando sorge il sole,
quando sorge il sole!
Ieri ho veduto un bambino
giocare a ucciderne un altro;
ieri ho veduto un bambino
giocare a ucciderne un altro:
certi bambini assomigliano
agli uomini che lavorano.
Chi dirà loro da grandi
che gli uomini non sono bambini
non son bambini,
non son bambini,
non son bambini?
M'uccidono, se non lavoro,
e se lavoro, m'uccidono;
sempre m'uccidono, m'uccidono,
sempre m'uccidono!
8
Un fuoco altissimo fende la notte
con le sue lame. Le palme, innocenti
di tutto, parlano con voci gialle
di collane, di sete, di pendenti.
Un negro tosta il caffè accoccolato.
S'incendia un baraccone.
Soffiano brezze indipendenti.
Passa un incrociatore dell'Unione
Americana. Poi un altro incrociatore,
e sporcano l'acqua ingenua con le boriose prore,
nipoti di quelle del vecchio Drake, pirata.
Lentamente si chiuda una mano
di pietra in un pugno vendicativo.
Un limpido, limpido e vivo
canto di speranza erompe fra terra e oceano.
Il sole parla di boschi, con le verdi sementi...
West Indies, in inglese. In spagnolo,
las Antillas.
Nicolás Guillén: piccola antologia in italiano — 1
Nicolás Guillén: piccola antologia in italiano — 2
Nicolás Guillén: piccola antologia in italiano — 3
Nicolás Guillén: piccola antologia in italiano— 4
Nicolás Guillén: piccola antologia in italiano — 5
Nicolás Guillén: piccola antologia in italiano — 6
Nicolás Guillén: piccola antologia in italiano — 7
Webmaster: Carlo Nobili — Antropologo americanista, Roma, Italia
© 2000-2009 Tutti i diritti riservati — Derechos reservados