Cuba

Una identità in movimento

Nicolás Guillén: piccola antologia in italiano — 1


Negro Labbrone

Mulatta

Sensemayá

Calore

Ballata di Simón Caraballo

Lapide

Fucilazione

Cantaschietto in un bar

Visita a un cortile di povera gente

Angoscia prima

Angoscia seconda

Angoscia terza

Angoscia quarta

Tu non sai l'inglese


Negro Labbrone

Perché te la prendi tanto
quando ti dicono negro labbrone,
se hai la bocca gagliarda,
negro labbrone?
Labbrone così come sei,
hai tutto;
la tua Caridad ti mantiene,
tutto ti dà.
Ma ancora ti lagni,
negro labbrone;
senza lavoro e con quattrini,
negro labbrone;
camiciotto di tela bianca,
negro labbrone;
scarpe di due colori,
negro labbrone...
Labbrone così come sei,
hai tutto;
la tua Caridad ti mantiene,
tutto ti dà.



Mulatta

Lo so, lo so, mulatta,
in giro tu hai detto
che ho il naso
come un nodo di cravatta.
Ma guarda bene che te
non sei mica meglio di me,
perché la tua bocca è larga
e sono tinti i tuoi riccetti.
Tante storie, per il tuo corpo,
tante storie;
tante storie per la tua bocca,
tante storie;
tante storie per i tuoi occhi,
tante storie...
Se tu sapessi, mulatta,
la verità:
io ho la negra mia
e non t'amo affatto.



Sensemayá

Canto per ammazzare una serpe.
Mayombe — bombe — mayombé!
Mayombe — bombe — mayombé!
Mayombe — bombe — mayombé!
La serpe ha gli occhi di vetro;
arriva la serpe, e s'aggrappa a un tronco;
con i suoi occhi di vetro, a un tronco,
con i suoi occhi di vetro.
La serpe cammina e non ha zampe;
la serpe si nasconde nell'erba;
camminando si nasconde nell'erba,
camminando senza zampe!
Mayombe — bombe — mayombé!
Mayombe — bombe — mayombé!
Mayombe — bombe — mayombé!
Dagli con l'ascia, e subito muore:
forza!
Non colpirla col piede, ché morde,
non colpirla col piede, ché scappa!
Sensemayá, la serpe,
Sensemayá.
Sensemayá, con i suoi occhi,
Sensemayá.
Sensemayá, con la sua lingua,
Sensemayá.
Sensemayá, con la sua bocca,
Sensemayá!
La serpe morta mangiare non può;
la serpe morta sibilare non può;
camminare non può,
fuggire non può!
La serpe morta guardare non può;
la serpe morta bere non può;
respirare non può,
mordere non può!
Mayombe — bombe — mayombé!
Sensemayá, la serpe...
Mayombe — bombe — mayombé!
Sensemayá, non si muove...
Mayombe — bombe — mayombé!
Sensemayá, la serpe...
Mayombe — bombe — mayombé!
Sensemayá, è morta!



Calore

Il calore crepa la notte.
La notte cade incenerita
sul fiume.
Che grido,
che grido fresco sull'acqua
è il grido che dà la notte
bruciata!
Rosso calore per negri.
Tamburo!
Calore per torsi lucenti.
Tamburo!
Calore con lingue di fuoco
sopra le nude schiene...
Tamburo!
L'acqua delle stelle inzuppa
tutti gli alberi di cocco
ridesti.
Tamburo!
Alta luce delle stelle.
Tamburo!
Il faro polare oscilla...
Tamburo!
Fuoco a bordo! Fuoco a bordo!
Tamburo!
Davvero? Fuggite! Non è vero!
Tamburo!
Coste sorde, cieli sordi…
Tamburo!
Le isole navigano,
navigano, navigano,
e sono tutte in fiamme.



Ballata di Simón Caraballo

Canta Simón:
— Ahimè, io avevo una casetta
e una moglie per me!
Io,
negro Simón Caraballo
e oggi non ho da mangiare.
La moglie mi è morta di parto,
la casa m'è andata a finir male:
io,
negro, Simón Caraballo,
non suono, né bevo, né ballo,
e quasi quasi non so chi io sono.
Io,
negro Simón Caraballo,
ora dormo in un portone;
mio guanciale, un mattone,
mio giaciglio è la terra.
La rogna mi mangia vivo,
il reuma mi serra il piede;
luna fredda, la notte,
e, all'alba, niente caffè.
Delle mie braccia non so che fare,
eppure, a qualcosa servono:
io,
negro, Simón Caraballo,
i pugni chiusi tengo,
i pugni chiusi tengo,
e ho bisogno di sfamarmi!
— Attento, Simón, ché arriva la guardia
col suo cavallo di spade!
(Simón non fiata).
— Attento, Simón, ché arriva la guardia
con gli speroni di latta!
(Simón non fiata).
— Attento, Simón, ché arriva la guardia
con il manganello e la pistola,
e con l'odio sulla faccia,
lui t'ha sentito cantare
e vuol prenderti alle spalle,
o cantante di vecchi sones,
o marito della tua chitarra!...
(Simón non fiata).
Ed ecco la guardia, dai mustacchi,
cupo e grande, grande e cupo,
cavalca un ronzino al trotto:
— Simón Caraballo, in arresto!
(Ma Simón non risponde,
perché Simón è morto).



Lapide

Questo fu scritto da Nicolás Guillén, antillano,
nell'anno millenovecentotrenta quattro.
Soldato, non so perché tu...
Soldato, non so perché tu
credi che ti odio io,
se siamo la stessa cosa,
io
e tu.
Sei povero, lo sono anch'io;
sono del popolo, e pure tu:
dove hai sentito dire tu,
soldato, che ti odio io?
Mi spiace che talora tu
non ricordi chi sono io;
perbacco, se io sono tu;
ugualmente tu sei io.
Ma non per questo io
posso volertene, proprio tu;
se siamo la stessa cosa,
io
e tu,
soldato, non so perché tu
credi che ti odio io.
Ci vedremo, presto, io e tu,
uniti sulla stessa strada,
spalla a spalla, tu ed io,
senza odi né io né tu,
ma pur sapendo tu ed io,
dove siamo diretti io e tu...
Soldato, non so perché tu
credi che ti odio io!



Fucilazione

Stanno per fucilare
un uomo dai polsi incatenati.
Quattro soldati
sono lì per sparare.
Sono quattro sodati,
dai denti serrati,
e sono legati,
non meno dell'uomo legato che stanno
per ammazzare.
— Puoi scappare?
— Non mi posso muovere!
— Già stanno per tirare!
— Che dobbiamo fare?
— Forse i fucili non sono stati caricati...
— Hanno sei pallottole di piombo duro!
— Ma forse non spareranno quei soldati!
— Sei uno sciocco bello e buono!
Hanno sparato.
(Come mai hanno potuto sparare?)
Hanno ammazzato.
(Come mai hanno potuto ammazzare?)
Erano quattro soldati,
dai denti serrati:
hanno avuto il segnale, la sciabola abbassata,
da un signore ufficiale;
erano quattro soldati,
legati,
non meno dell'uomo che quei quattro
sono andati ad ammazzare.



Cantaschietto in un bar

(I turisti nel bar.
Cantaschietto e la sua chitarra,
e la musica di un "son").
— Non pagatemi perché canti
quello che non vi canterò:
adesso dovrete udire
tutto quello che prima ho taciuto.
Chi vi ha chiamato?
Spendete pure il vostro denaro,
bevete il vostro alcool,
compratevi una zucca,
ma non me,
ma non me,
ma non me!
Tutti questi yankees rossi
sono figli di un gambero,
e li ha partoriti una bottiglia,
una bottiglia di rum.
Chi vi ha chiamato?
Voi vivete,
io muoio,
voi bevete e mangiate,
e io no,
e io no,
e io no!
Sebbene io sia un povero negro,
so che il mondo non va bene;
oh, conosco un meccanico
che lo può accomodare!
Chi vi ha chiamato?
Quando ritornerete
a New York,
mandatemi dei poveri,
come me,
come me,
come me!
A loro darò la mano,
e con loro canterò,
perché il canto che loro sanno,
è lo stesso che io so!



Visita a un cortile di povera gente

(Turisti in un cortile povero.
Cantaschietto canta un "son"
che non si può ballare).
— Piuttosto che in hotel di lusso,
fermatevi in questo cortile;
qui vedrete tante cose
che là non potete vedere.
Ora vi presento, signori,
Juan il Cuciniere:
ha una tavola, e una sedia,
ha una sedia, e una tavola,
e anche un fornelletto!
Ma il fornello è proprio spento,
perché ce l'ha con la padella!
Ecco: così allegro, spassoso,
così pasciuto e soddisfatto,
passa la vita Juan il Cuciniere!
Interviene Juan il Cuciniere:
— Con quello che un turista si beve
solamente d'acquavite,
tutto un anno un uomo ci mangia.
Continua il "son":
— ... E questo è Luis, il caramellaio;
e questo è Carlos, l'isolano,
e quel negro si chiama Pedro Martínez;
e quell'altro
Norberto Soto,
e quella negra più in là,
Petra Sardá.
Vivono tutti in una stanza,
naturalmente
perché costa meno.
Ma che gente, che gente conseguente!
Tutti in coro:
— Con quello che un turista si beve
solamente d'acquavite,
uno può pagarsi la stanza!
Continua il "son":
— E quella che tosse, signori,
sopra quel letto,
si chiama Juana:
tubercolosi all'ultimo stadio,
per un'infreddatura
assai mal curata.
La sciocchina passava la giornata
senza mangiare un boccone.
Ma che idiozia!
Tanto cibo sprecato!
Tutti in coro:
— Con quello che un americano
ha speso solo a comprare bottiglie,
Juana l'avrebbe scampata!
Finisce il "son":
— Turisti, fermatevi qui,
ve la dovete spassare;
turisti, fermatevi qui,
ve la dovete spassare:
vi canterò sones e sones
che non si posson ballare.



Angoscia prima

Sguardi di roccia e di metallo
Né Cortés, né Pizarro,
(Aztechi e Incas, che insieme tirano il duplice carro).
Piuttosto i suoi uomini rudi
che valicano il tempo. Qui, coi loro scudi.
Qui, con le loro callose, dure mani;
remoti miliziani
qui, accanto a noi,
con gli speroni conficcati nei fianchi dei puledri;
qui, finalmente, con noi,
lontani miliziani,
ardenti, vicinissimi fratelli.
I ferri tumultuosi
delle lance degli antichi prodi;
le spade, che affondarono la punta nelle aurore;
le grigie armature,
gli ingenui archibugi focosi,
i chiodi e le ferrature
dei cavalli dalle sottili zampe conquistatrici;
gli elmi, le visiere,
le grosse ginocchiere,
tutto il vecchio metallo imperialista,
corre rifuso in acque avvampatrici,
dalle quali il soldato, l'operaio, l'artista,
traggono proiettili per le mitragliatrici.
Né Cortés, né Pizarro
(Incas e Aztechi, che insieme tirano il duplice carro).
Piuttosto, i suoi uomini rudi
che valicano il tempo. Qui, coi loro scudi.
Guardatela, la Spagna: è rotta!
E uccellacci volano sulle Eue rovine,
e il fascismo col suo stivale,
e lampioni senza luce nelle strade,
e pugni tesi in alto,
e cuori tutti desti,
e obici che scoppiano sull'asfalto
su cavalli già decisamente morti;
e lacrime di mare,
salate, ricurve, che investono tutti i porti;
e grida che spuntano tra i denti
e sugli occhi collerici, aperti, ben aperti,
sguardi di roccia e di metallo.



Angoscia seconda

Le tue vene, la radice dei nostri alberi
La radice del mio albero, contorta;
la radice del tuo albero, compagno,
di tutti i nostri alberi,
che beve sangue, che è umida di sangue,
la radice del mio albero, del tuo.
Io la sento
la radice del mio albero, del tuo,
di tutti i nostri alberi,
la sento
conficcata nel più profondo della mia terra,
conficcata li, conficcata,
che mi trascina e mi solleva e mi parla,
e mi grida.
La radice del tuo albero, del mio.
Nella terra, conficcata,
con chiodi ormai di ferro,
d'esplosivo, di pietra,
che fiorisce in lingue vigorose,
e alimenta rami a cui posare uccelli affaticati,
e innalza le sue vene, le nostre vene,
le tue vene, la radice dei nostri alberi.



Angoscia terza

E le mie ossa al passo coi tuoi soldati.
La Morte va da frate travestita.
Io, con camicia avvolta di tropico,
intrisa di sudore, il ballo smetto,
e per la tua vita la morte inseguo.
I tuoi due sangui che in me s'uniscono,
tornato a te, ché da te provennero:
delle tue chiare piaghe domandano.
Vedrà stecchiti quelli che t'offesero.
Contro scettro, corona, manto e spada,
popolo, contro sottana, ed io con te,
e con la voce perché il petto parli.
Io, tuo amico, mio amico; io, tuo amico.
Sulle montagne grigie; per i rossi
sentieri; per le strade senza sbocco,
la mia pelle, a strisce, per farti bende,
e le mie ossa al passo coi tuoi soldati.



Angoscia quarta

Federico.
Busso alla porta d'un romance.
— è forse qui Federico?
Un pappagallo mi risponde:
— è già uscito.
Busso a una porta di cristallo.
— è forse qui Federico?
Viene una mano, e mi risponde:
— Verso il fiume è partito.
Busso alla porta d'un gitano.
— è forse qui Federico?
Nessuna risposta, silenzio...
— Federico! Federico!
La casa è oscura e vuota;
nero muschio alle pareti;
pozzo senza la sua secchia,
giardino di ramarri verdi.
Sopra la terra morbida
chiocciole che si muovono
e il rosso vento di luglio
che freme tra le rovine.
Federico!
Dove si spegne il gitano?
Dove gelano i suoi occhi?
Dove sarà, che non viene!
(Una canzone).
Uscì domenica, di notte,
uscì domenica, non torna.
Nella mano aveva un giglio,
negli occhi aveva la febbre;
il giglio divenne sangue,
il sangue divenne morte.
(Memento per García Lorca).
Sognava Federico in nardo e cera,
oliva, garofano e luna fredda.
Federico, Granada e Primavera.
In fine solitudine dormiva
all'ombra dei suoi limoni ambigui,
ridotto in musica presso la via.
Alta la notte, incendiata di stelle,
trainava la sua coda trasparente
per tutte le strade transitabili.
"Federico!", gridaron di repente,
con i polsi immobili, incatenati,
i gitani che andavan lentamente.
Che voce dalle loro vene esangui!
Che ardore dai loro corpi agghiacciati!
Che dolci i loro passi, i loro passi!
Nel crepuscolo apparivano verdi:
e nel duro cammino invertebrato
procedevano scalzi i cinque sensi.
S'alzò Federico, di luce bagnato.
Federico, Granada e Primavera.
Con luna, garofano, nardo e cera,
li seguì per il monte profumato.



Tu non sai l'inglese

Con tanto inglese che sapevi,
Vito Manuel,
con tanto inglese, adesso non sai
più dire: "yes".
L'americana ti cerca,
e tu devi scappare;
il tuo inglese è: "trai uan,
trai uan e uan tu tri"....
Vito Manuel, tu l'inglese non sai,
tu non sai l'inglese,
tu non sai l'inglese.
Non t'innamorare più mai,
Vito Manuel,
se l'inglese non sai,
se l'inglese non sai.




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Webmaster: Carlo Nobili — Antropologo americanista, Roma, Italia

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