Cuba

Una identità in movimento


Discorso pronunciato da Fidel Castro Ruz, Presidente della Repubblica di Cuba, all'Aula Magna dell'Università dell'Avana il 17 novembre 2005 in occasione del 60º anniversario della sua entrata all'università (I Parte)

Fidel Castro Ruz


(Rivisto e corretto dall'autore, con assoluto rispetto per l'integrità delle idee espresse nel discorso)


      Cari studenti e professori delle università di Cuba;
      Cari compagni dirigenti e altri invitati che hanno condiviso con noi tanti anni di lotta,

    Ecco il momento più difficile, quello di dire alcune parole in questa Aula Magna dove ne sono state pronunciate tante. Un mondo di idee ci arriva in mente, ed è logico perché sono trascorsi molti anni.

    Siete stati molto gentili nel ricordare questo giorno tanto speciale: il 60º anniversario del mio timido ingresso a quest'università.

    C'è una foto, la stavo guardando poco fa: indossavo una giacca e avevo un'espressione non so se da arrabbiato, da cattivo o da buono, oppure da indignato, perché quella foto non è stata scattata il giorno del mio arrivo, mi sembra che alcuni mesi erano già trascorsi, e cominciavo a reagire contro tante brutte cose che vedevamo. Non era un pensiero formato, niente affatto; era un pensiero avido di idee, ma anche brama di sapere; uno spirito forse ribelle, pieno di illusioni, che all'epoca non posso dire che fossero rivoluzionarie, sarebbe meglio dire pieno di illusioni, di energia, ma possibilmente anche desiderio di lotta.

    Ero stato uno sportivo, uno scalatore di montagne. Mi avevano persino fatto diventare — e non so perché — una sorta di tenente di esploratori e dopo mi promossero a generale di esploratori. Quindi, all'epoca in cui studiavo al liceo avevo una gerarchia superiore a quella che ho oggi (risate), perché dopo fui Comandante, ma soltanto Comandante, infatti Comandante in Capo voleva solo dire che ero Comandante capo di quella piccola truppa di 82 uomini circa, con i quali sono sbarcato dal Granma.

    Quel grado militare nacque dopo lo sbarco, il 2 dicembre 1956. Tra gli 82 sbarcati qualcuno doveva pur essere il capo, dopo venne aggiunta la preposizione "in". Così, a poco a poco, da Comandante capo passai a Comandante in Capo, quando ormai c'erano altri Comandanti, perché per molto tempo fu il grado militare più alto. Ricordavo queste cose. È conveniente pensare chi eravamo, quali erano i nostri pensieri e sentimenti.

    Forse circostanze speciali della mia vita mi fecero reagire. Dall'inizio dovetti affrontare delle difficoltà e forse ciò fece sviluppare in me l'ufficio di ribelle.

    Si parla in giro dei ribelli senza causa; ma mi sembra di essere stato un ribelle per molte cause, e ringrazio la vita di continuare ad essere ribelle, ancora oggi, e forse con più motivi, perché ho più idee, perché ho più esperienza, perché ho imparato molto dalla propria lotta, perché capisco molto meglio questa terra dove siamo nati e questo mondo in cui viviamo, oggi globalizzato, e che vive minuti decisivi del proprio destino. Non oserei dire minuti decisivi della propria storia, perché la storia del mondo è molto più breve, è infima paragonata alla vita di una specie che forse 3 000, 4 000 o 5 000 anni fa cominciò a fare i primi passi della sua lunga e breve evoluzione; dico lunga e breve perché evolse fino a diventare un essere pensante forse in un termine di alcune centinaia di migliaia di anni, ma secondo gli intenditori molti anni prima in questo pianeta nacque la vita, se non sbaglio, 1 o 1,5 miliardi di anni fa, prima nacque la vita e successivamente le milioni di specie, ecco ciò che siamo noi, una delle milioni di specie che nacquero in questo pianeta, e perciò dico che, dopo una breve e anche lunga vita, siamo arrivati a questo minuto, in questo millennio, che da quanto si dice è il terzo dall'inizio dell'era cristiana.

    Perché mi dilungo attorno a quest'idea? Perché oserei dire che oggi questa specie è in vero pericolo di estinzione, e nessuno potrebbe assicurare, sentite bene, nessuno potrebbe assicurare che sopravvivrà a questo pericolo.

    Che la specie umana sarebbe sopravvissuta è qualcosa di cui si era parlato 2 000 anni fa, perché ricordo che quando ero studente sentii parlare dell'Apocalisse, profetizzato dalla Bibbia, cioè, sembra che 2 000 anni fa alcuni avessero già capito che questa debole specie potrebbe un giorno scomparire.

    Ovviamente, anche i marxisti. Ricordo molto bene un libro di Engels, "La Dialettica", dove si parlava che un giorno il Sole si sarebbe spento, che il carburante che nutre il fuoco di quella stella che ci illumina si sarebbe esaurito e che non ci sarebbe più la luce del Sole. E mi faccio la stessa domanda che probabilmente vi siete fatti voi, o i vostri professori, o migliaia di studenti come voi, cioè, se c'è o meno la possibilità che questa specie possa emigrare verso un altro sistema solare.

    Non ve lo siete mai chiesto? Ma ad un certo punto ve lo chiederete, perché ci chiediamo molte cose lungo la vita, soprattutto quando c'è un motivo per farlo. E mi sembra che oggi l'uomo abbia più motivi che mai per farsi questa domanda, perché se colui che era marxista si pose il problema della scomparsa del calore e della luce solare, e come scienziato disse che un giorno non ci sarebbe più il sistema solare, anche noi, come rivoluzionari, e facendo volare l'immaginazione, dobbiamo chiederci cosa succederà e se c'è qualche speranza che questa specie scappi e vada verso un altro sistema solare dove ci sia o possa esserci vita umana. Finora sappiamo solo che c'è un sole a quattro anni luce, tra le centinaia di miliardi di soli che esistono nell'enorme spazio, di cui non sappiamo ancora bene se è finito o infinito.

    Da quel po' di fisica che sappiamo, di matematica, sulla luce e sulla velocità della luce, sappiamo che coloro che viaggeranno ai pianeti più vicini, dove finora non si è trovato nulla, che viaggeranno a Venere — credo che Venere sia stata la dea dell'amore per i greci —, e avranno il privilegio di arrivarci, troveranno cicloni che sono non so quante volte peggiori del Katrina, il Rita o il Mitch, e di tutti gli altri simili che sempre con più forza ci colpiscono, perché si afferma che la temperatura in Venere è di 400 gradi, e ci sono masse d'aria o di atmosfera pesante in continuo soffio.

    Si fanno ricerche in Marte, che si diceva fosse un piccolo posto dove potrebbe esserci stata vita — Chávez dice che forse c'è stata, è una sua battuta —, che poi scomparve, cercano una piccola particella di ossigeno o qualche impronta di vita. Qualunque cosa potè accadere, ma il più probabile è che non sia esistit vita in quei pianeti. L'insieme di fattori che resero possibile la vita nacque dopo miliardi di anni nel pianeta Terra; la fragile vita che può trascorrere tra limitati gradi di temperatura, tra pochi gradi sotto lo zero e pochi gradi sopra lo zero, giacché nessuno sopravvive ad una temperatura dell'acqua pari a 60ºC; basterebbero 20 secondi nell'acqua a 60ºC senza alcuna protezione e nessun essere umano potrebbe sopravvivere, basterebbero alcune decine di gradi sotto zero, senza calore artificiale e nessuno potrebbe sopravvivere. Entro questi limiti di temperatura ebbe luogo la vita.

    Stiamo parlando della vita, perché quando parliamo di università parliamo della vita.

    Chi siete voi? Se me lo chiedessero adesso, direi che siete la vita, che siete simboli della vita.

    Abbiamo parlato di avvenimenti delle nostre vite, della nostra università, di coloro che, come me, sono arrivati alcune decine di anni fa e di coloro che vi ci sono oggi, di coloro che sono al primo corso o di quelli che sono sul punto di laurearsi, o di alcuni che sono ormai laureati e che svolgono mansioni che altri, con meno esperienza, non avrebbero potuto svolgere.

    Cercavo di ricordare come erano quelle università, cosa facevamo noi, cosa ci preoccupava. Ci preoccupava quest'isola, questa piccola isola. Non si parlava ancora della globalizzazione, non c'era la TV, non c'era Internet, non c'erano le comunicazioni immediate da un estremo all'altro del pianeta, il telefono era poco diffuso, e c'erano, forse, alcuni aerei ad elica. Alla mia epoca, nel 1945, gli aerei cubani da passeggeri arrivavano appena a Miami e con molte difficoltà, anche se quando ero alla scuola elementare sentivo parlare del viaggio di Barberán e Collar. A Birán si diceva: "Da questa parte sono passati Barberán e Collar", due piloti spagnoli che traversarono l'Atlantico e continuarono verso il Messico; ma dopo non ci sono state altre notizie su Barberán e Collar, ancora oggi si discute dove caddero, se nel mare tra Pinar del Rio e il Messico, o nello Yucatán o in qualunque altro posto. Non si è saputo nient'altro su Barberán e Collar, che avevano osato attraversare l'Atlantico su di un piccolo aereo ad elica appena inventato. Proprio agli inizi del secolo scorso cominciò l'aviazione.

    Sì, era appena finita una terribile guerra che causò la morte di circa 50 milioni di persone, e parlo del 1945, quando entrai all'università, il giorno 4 settembre; sebbene voi abbiate deciso di celebrare quel anniversario un giorno qualunque, poteva essere il 4 settembre o il 17 novembre, data scelta da voi, perché ci sono tante commemorazioni che voi non riuscireste a partecipare a tutte e nemmeno io ci sarei riuscito, ma sarebbe stato un grande dispiacere per me, soprattutto in questo momento, non partecipare a questo incontro organizzato da voi nell'Aula Magna a cui mi avete invitato.

    Tutti i giorni partecipo a molti atti e manifestazioni, tutti i giorni parlo per ore alle masse, specialmente ai giovani, agli studenti, o alle brigate dei medici che partono per compiere gloriose missioni che quasi nessun altro è in grado di compiere in questo mondo di cui parlo adesso, perché nessun altro Paese avrebbe potuto inviare a un popolo fratello centroamericano 1 000 medici, come quelli che in questo momento fanno fronte al dolore e alla morte, davanti alla più grossa tragedia naturale accaduta in quel Paese.

    Ho parlato a ciascuna di queste brigate e le ho salutate prima della partenza. Ho salutato anche quelle che sono partite per l'altro estremo della Terra, a 18 ore di volo, dove c'è stata, quasi contemporaneamente all'uragano nel Centromaerica, una delle più grosse tragedie umane mai conosciute dal nostro mondo, non me ne ricordo altre simili, per il luogo in cui avvenne e per il popolo umile che colpì, popolo di pastori che vivono in altissime montagne, alle soglie dell'inverno, là dove il freddo è molto duro, dove c'è molta povertà che è ignorata dal mondo insensibile che spreca un trilione di dollari ogni anno in pubblicità per prendere in giro la stragrande maggioranza dell'umanità — e paga inoltre le bugie che si dicono —, trasformando l'essere umano in una persona che, si direbbe, non ha la capacità di pensare, perché gli fanno consumare il sapone, che è lo stesso sapone con 10 marchi diversi, e devono ingannarlo affinché paghi quel trilione di dollari, che non paga l'impresa; questo mondo insensibile che spende un trilione di dollari ogni anno a scopi militari — ormai due trilioni —; questo mondo insensibile che estrae dalle masse impoverite, dalla stragrande maggioranza degli abitanti del pianeta, trilioni di dollari ogni anno, e rimane indifferente quando gli dicono che sono morte circa 100 000 persone, tra cui forse 25 000 o 30 000 bambini, o che ci sono più di 100 000 feriti, e una grande maggioranza che soffre di fratture agli arti superiori e inferiori del corpo, di cui forse il 10% sarà stato operato, e dove ci sono bambini mutilati, giovani, donne e uomini, anziani.

    Il mondo in cui viviamo non è un mondo pieno di bontà ma un mondo pieno di egoismo; non è un mondo pieno di giustizia ma un mondo pieno di sfruttamento, d'abuso, di saccheggio, dove milioni di bambini, che avrebbero potuto salvarsi, muoiono ogni anno perché mancano di farmaci che costano centesimi, di un po' di vitamine e sali minerali e di un po' di dollari per generi alimentari, sufficienti affinché possano vivere. Muoiono ogni anno a causa dell'ingiustizia quasi tante persone quante ne morirono in quella colossale guerra di cui ho parlato alcuni minuti fa.

    Che mondo è questo? Che mondo è quello dove un impero barbaro proclama il diritto di attaccare improvvisamente e preventivamente 70 o più paesi, ed è capace di portare la morte in qualunque angolo del mondo, utilizzando le armi e le tecniche di morte più sofisticate? Un mondo dove regna l'impero della brutalità e della forza, con centinaia di basi militari in tutto il pianeta, tra cui una situata nella nostra terra, che fu occupata dall'impero, arbitrariamente, quando il potere coloniale spagnolo ormai non poteva reggere dopo che centinaia di migliaia dei migliori figli di questo popolo, che allora aveva appena un milione di abitanti, morirono in una lunga guerra di circa 30 anni; un Emendamento Platt ripugnante approvato in virtù di una risoluzione ugualmente ripugnante che, in modo infame, conferiva agli Stati Uniti il diritto d'intervenire nella nostra terra quando, a loro avviso, non ci fosse sufficiente ordine.

    Più di un secolo è trascorso e occupano ancora, con la forza, questo pezzo di territorio. Oggi causa vergogna e spavento al mondo la notizia secondo cui la suddetta base è stata trasformata in un antro di torture, in cui vengono portate centinaia di persone provenienti da qualunque parte del mondo, invece di essere portate nel loro territorio. Può darsi che ci siano alcune leggi che ostacolino il loro programma di mantenere incarcerati illegalmente quegli uomini per anni, mediante la violenza, senza alcun tramite legale, in virtù di nessuna legge, senza alcun processo, che, inoltre, per sorpresa del pianeta, sono stati sottomessi a sadiche e brutali torture. E il mondo ne viene a conoscenza quando in un carcere dell'Iraq torturavano centinaia di prigionieri del Paese invaso, con tutto il potere di quel colossale impero che ha ucciso centinaia di iracheni.

    Ogni giorno vengono scoperte cose nuove. Poco tempo fa è stato reso noto che il governo di quel Paese aveva carceri segrete nei Paesi satelliti dell'Est europeo, gli stessi che votano a Ginevra contro Cuba e che l'accusano di violazione dei diritti umani; al Paese dove nessuno ha mai conosciuto uno stabilimento di tortura lungo i 46 anni di Rivoluzione, perché mai nel nostro Paese è stata violata quella tradizione senza precedenti nella storia di non torturare neanche un solo uomo; e non siamo soltanto noi a impedire ciò, c'è il nostro popolo che ormai ha un concetto altissimo della dignità umana.

    Chi di noi, chi di voi, quale dei nostri compatrioti avrebbe ammesso tranquillamente la storia di un solo cittadino torturato, malgrado le migliaia di atti di barbarie e di terrorismo commessi contro il nostro popolo, malgrado le migliaia di vittime cagionate dall'aggressione di quel impero che per più di 45 anni ci ha imposto un blocco e ha cercato di asfissiarci in tutti i modi? E adesso dicono quegli spudorati — come diceva di recente qualcuno di fronte alla votazione schiacciante di 182 membri delle Nazioni unite, con un'unica astensione —, che le difficoltà che affrontiamo sono il risultato del nostro fallimento, e un grande complice di quel bandito, che è lo Stato pronazista d'Israele, appoggia il blocco. Bisogna dirlo chiaramente, perché coloro che commettono tali crimini lo fanno in nome di un popolo che per più di 1 500 anni ha subito persecuzione nel mondo, ed è stato vittima dei più atroci crimini durante la Seconda Guerra Mondiale, il popolo d'Israele, che non ha nessuna colpa delle bestialità omicide commesse al servizio dell'impero, che portano all'olocausto un altro popolo, quello palestinese, e proclamano anche il diritto ripugnante di attaccare improvvisamente e preventivamente altri Paesi.

    In questo momento lo stesso impero minaccia di attaccare l'Iran se produce combustibile nucleare. Combustibile nucleare non vuol dire armi nucleari, non vuol dire bombe nucleari; proibire ad un Paese di produrre il combustibile del futuro è come proibire a qualcuno di esplorare alla ricerca di petrolio, che è il combustibile del presente e che si esaurirà fisicamente in poco tempo. A quale Paese nel mondo viene proibito di cercare combustibile, carbonio, gas, petrolio?

    Quel Paese lo conosciamo perbene, è un Paese di 70 milioni di abitanti che si propone lo sviluppo industriale e pensa, giustamente, che è un grosso crimine quello di compromettere le proprie riserve di gas o di petrolio per alimentare il potenziale di miliardi di chilowatt/ora che necessita con urgenza da paese del Terzo mondo per il suo sviluppo industriale. Ed ecco che l'impero vuole proibirlo e minaccia di bombardarlo. Oggi si dibatte nell'ambito internazionale che giorno ed a che ora, se sarà l'impero a farlo — come l'ha fatto nell'Iraq — si utilizzerà il satellite israeliano per il bombardamento preventivo e improvviso sugli stabilimenti di ricerca che cerchino di ottenere la tecnologia di produzione dal combustibile nucleare.

    Tra 30 anni, il petrolio, di cui l'80% si trova attualmente nel territorio dei Paesi del Terzo Mondo perché gli altri hanno già esaurito la loro riserva, tra cui gli Stati Uniti, che ha avuto un'immensa riserva di petrolio e di gas che gli durerà appena alcuni anni e quindi tenta di assicurare la possessione del petrolio in qualunque parte del pianeta ed in qualunque modo, si esaurirà e nell'arco di 25 o 30 anni ne rimarrà una fondamentale, oltre a quella solare, a quella eolica, ecc., per la produzione in massa di elettricità, vale a dire, quella nucleare.

    È ancora lontano il giorno in cui l'idrogeno, mediante processi tecnologici molto incipienti, diventerà la fonte ideale di combustibile, senza il quale l'umanità non potrebbe vivere, un'umanità che ha un certo livello di sviluppo tecnico. Ecco il problema attuale.

    Il nostro Ministro degli Affari Esteri ha visitato l' Iran, visto che Cuba sarà la sede del prossimo incontro dei Paesi non Allineati, entro un anno, e quella nazione reclama il suo diritto a produrre combustibile nucleare come qualunque altra nazione industrializzata e di non essere costretta a distruggere la riserva di una materia prima, che serve non solo come fonte energetica, ma come fonte di numerosi prodotti come i fertilizzanti, i tessili e tanti altri materiali ad uso universale.

    Così va avanti questo mondo. E vediamo cosa accadrà se bombardano l'Iran per distruggere una qualunque installazione dedicata alla produzione di combustibile nucleare.

    L'Iran ha firmato il Trattato di non Proliferazione, così come Cuba. Noi non ci abbiamo mai posto la questione della fabbricazione di armi nucleari perché non ne abbiamo bisogno, e se fossero accessibili, quanto costerebbe produrle e cosa avremmo fatto con un'arma nucleare di fronte a un nemico che ne ha migliaia? Sarebbe entrare nel gioco dei confronti nucleari.

    Noi abbiamo altro tipo di arma nucleare: le nostre idee; noi possediamo armi che hanno lo stesso potere di quelle nucleari: la giustizia per la quale lottiamo; le nostre armi nucleari derivano dal potere invincibile delle armi morali. Quindi, non abbiamo mai pensato a fabbricarne altre, né abbiamo mai pensato a cercare armi biologiche, a quale scopo? Armi per combattere la morte, per combattere l'AIDS, per combattere le malattie, per combattere il cancro, a ciò destiniamo le nostre risorse, malgrado le dichiarazioni del bandito — ormai non ricordo come si chiama quel tizio che è stato nominato, non so se Bolton, Bordon — non lo so — rappresentante degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite, un grande bugiardo, uno sfacciato, che diceva che a Cuba, al Centro d'Ingegneria Genetica, si facevano ricerche per produrre armi biologiche.

    Siamo stati anche accusati di collaborare con l'Iran, trasferendo tecnologia a tale scopo, invece ciò che facciamo è costruire in società, l'Iran e Cuba, una fabbrica di prodotti contro il cancro, ecco ciò che stiamo facendo. E se vogliono proibire pure questo che vadano pure all'inferno o dove vogliano, idioti, che qui non fanno paura a nessuno! (Applausi) Bugiardi, sfacciati, tutti sanno che anche la CIA ha scoperto che era una bugia ciò che diceva l'attuale rappresentante del governo degli Stati Uniti presso l'ONU, e avevano costretto un uomo a rinunciare perché disse che tutto ciò era una bugia, anche altri nel Dipartimento di Stato si resero conto che era una bugia ed il tizio era furioso, era una furia contro tutti quanti dicevano la verità. Ecco il rappresentante del piccolo Bush davanti alla comunità delle Nazioni Unite, dove si è ottenuto di recente una votazione di 182 voti contro il loro infame blocco. Ecco il mondo che vogliono dominare mediante la forza e in virtù delle bugie e del monopolio quasi totale dei mass media. Ecco la battaglia odierna. E hanno nominato il tizio ignorando il Congresso e per un bel tempo, mentre tutti sanno che è uno sfacciato e un bugiardo ripugnante.

    Tutti i giorni viene svelato un nuovo trucco del signore che presiede gli Stati Uniti, un nuovo reato, una nuova canagliata da parte dei suoi amici, e pian piano cadono, pian piano sgocciolano ad uno a uno come la pioggia sulle foglie dell'albero del cocco, come direbbe un contadino della regione orientale; ecco come cadono, con un po' di rumore. Ormai non possono inventare nient'altro, ma continuano a fare pazzie.

    Parlavo delle carceri nei diversi Paesi, carceri segrete dove sono sequestrate alcune persone con il pretesto della lotta contro il terrorismo, e non solo ad Abu Ghraib, non solo a Guantánamo, ormai in qualsiasi posto si può trovare un carcere segreto dove realizzano torture i difensori dei diritti umani, gli stessi che a Ginevra, ordinano ai loro agnellini di votare l'uno dietro l'altro contro Cuba, il Paese che non conosce la tortura, per onore e gloria di questa generazione, per onore e gloria di questa Rivoluzione, per onore e gloria della lotta per la giustizia, per l'indipendenza, per la dignità umana che deve mantenere incolume la sua purezza! (Applausi)

    Tuttavia, la cosa non finisce qui, questa mattina c'erano notizie sull'uso di fosforo vivo a Fallujah, dove l'impero ha scoperto che un popolo quasi disarmato non può essere vinto e gli invasori si sono trovati in una situazione tale da non potere andarsene né rimanere: se decidevano di partire, i combattenti iracheni vi sarebbero tornati; se decidevano di rimanerci, allora quelle truppe, che erano necessarie in altri punti, non potevano muoversi da lì. Più di 2 000 giovani soldati statunitensi sono morti e alcuni si domandano fino a quando continueranno a morire in una guerra ingiusta, sostenuta da grossolane bugie.

    Ma non pensate che dispongono di abbondanti riserve di soldati statunitensi, ormai sono sempre meno gli statunitensi che s'iscrivono, hanno fatto del reclutamento all'esercito una fonte d'impiego, assumono i disoccupati, molte volte cercano di arruolare il maggior numero di statunitensi neri per le loro guerre ingiuste, e abbiamo avuto notizie che sono sempre in meno i neri nordamericani che sono disposti a iscriversi all'esercito, malgrado la disoccupazione e l'emarginazione alla quale sono sottoposti, perché sono consapevoli che li usano come carne da macello. Nei ghetti della Luisiana, quando il governo gridò si salvi chi può, hanno abbandonato migliaia di cittadini che sono morti affogati o negli ospizi per gli anziani o negli ospedali e ad alcuni è stata applicata l'eutanasia perché i medici temevano che affogassero. Sono storie vere che si conoscono e sulle quali si dovrebbe meditare.

    Cercano latini, emigranti che, tentando di sfuggire alla fame, hanno attraversato la frontiera, quella frontiera dove muoiono più di 500 persone ogni anno; molte in più di quante ne morirono durante i 28 anni che durò il muro di Berlino.

    Sul muro di Berlino parlava sempre l'impero; su quello che si alza tra il Messico e gli Stati Uniti, dove muoiono più di 500 persone ogni anno pensando di sfuggire alla fame e al sottosviluppo, non dicono nemmeno una parola. Ecco il mondo in cui viviamo.

    Fosforo vivo a Fallujah! Tutto ciò lo fa l'impero segretamente. Quando venne denunciato, il governo degli Stati Uniti dichiarò che il fosforo vivo era un'arma normale. Ma, se era normale perché non se n'è parlato? Perché nessuno sapeva che si stava usando quell'arma proibita dagli accordi internazionali? Se il napalm è proibito, a maggior ragione anche il fosforo vivo è proibito.

    Tutti i giorni ci sono notizie del genere, e tutte queste cose hanno a che vedere con la vita, tutte queste cose hanno a che vedere con il mondo odierno e l'enorme differenza tra il momento in cui noi arrivavamo all'università pieni di ideali, pieni di sogni, pieni di buona volontà sebbene non avessimo una profonda esperienza ideologica né le idee che si sviluppano lungo gli anni. Così entravano i giovani a quest'università, che non era, ovviamente, l'università degli umili; era l'università dei ceti medi della popolazione, era l'università dei ricchi del Paese, anche se i ragazzi erano, di solito, al di sopra delle idee della loro classe e molti di loro erano capaci di lottare, e così l'hanno fatto durante la storia di Cuba.

    Otto studenti cubani di Medicina, fucilati nel 1871, costituirono le fondamenta dei più nobili sentimenti e dello spirito di ribellione del nostro popolo, indignato da quella colossale ingiustizia; così come i nove studenti cechi, la cui morte commemoriamo oggi, assassinati dai nazisti, a Praga, il 17 novembre 1939, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale.

    Nella storia della nostra gioventù è sempre stato presente il ricordo degli studenti di medicina. Gli studenti hanno lottato sempre contro i governi tirannici e corrotti. Mella era uno di loro, anche lui proveniente dal ceto medio; perché i figli delle famiglie delle classi più povere, i figli dei contadini, non sapevano né leggere né scrivere, e non potevano entrare all'università, neanche al liceo.

    Siccome ero figlio di latifondista, ho potuto finire la scuola elementare e poi, dopo aver approvato la prima media, ho potuto iscrivermi al liceo.

    Il giovane che non finiva il liceo poteva andare all'Università? Il figlio del contadino, dell'operaio, il ragazzo che abitava in uno zuccherificio o in un comune che non fosse Santiago de Cuba, Holguín, Manzanillo, o altri due o tre, non poteva andare al liceo, neanche al liceo! Ancora meno laurearsi all'università, perché allora per andarci si doveva venire all'Avana.

    Potei venire all'Avana perché mio padre disponeva di soldi, e così mi diplomai al liceo, e la fortuna mi portò all'università. Questo vuol dire che sono superiore al centinaio di ragazzi che non poté finire la scuola elementare né arrivare al liceo o studiare all'Università?

    Il mio caso è lo stesso di tanti altri, come Mella, che ho già citato, avrei potuto parlare di Guiteras, di Trejo, che morì in una di quelle manifestazioni, un 30 settembre, nella lotta contro Machado; avrei potuto menzionare nomi come quelli che avete citato all'inizio di questa cerimonia.

    Prima del trionfo della Rivoluzione, c'erano sempre più studenti nobili contrari alla tirannia di Batista, giovani pronti a sacrificarsi, a morire. E così, quando tornò con tutto il rigore la tirannia di Batista, molti studenti lottarono e morirono, e quel giovanotto di Cárdenas, conosciuto come Manzanita, sempre sorridente, gioviale, affettuoso nei confronti degli altri, spiccava per il suo coraggio, la sua probità, quando scendeva le scalinate, quando durante gli scontri faceva fronte ai veicoli dei pompieri, alla polizia. Così nacquero tutti loro.

    Se visitiamo la casa d'Echeverría (Manzanita, N.d.T.) — cioè, di José Antonio, lo chiameremo così—, si può comprovare che è una bella casa, un'ottima casa. Ciò dimostra che gli studenti con frequenza lasciavano da parte la propria origine sociale e gli interessi della propria classe, per realizzare tante speranze, tanti sogni.

    Per studiare medicina in quell'università, c'era soltanto una facoltà e un solo ospedale universitario, e molti vincevano premi, anche il primo premio in medicina, e alcuni persino in chirurgia, senza aver operato nessuno.

    Alcuni ci riuscivano, erano operosi ed avviavano rapporti con qualche professore che li aiutava, li portava a fare qualche pratica, o li portava in qualche ospedale. Così nacquero dei bravi medici, non una massa di bravi medici — c'era sì una massa desiderosa di andare negli Stati Uniti—, che erano senza impiego, e quando trionfò la Rivoluzione andarono proprio negli Stati Uniti. A Cuba restarono 3 000, vale a dire, la metà, e il 25% dei professori. Siamo partiti da questo punto e adesso il Paese si erge come la capitale della medicina mondiale.

    Oggi il nostro popolo dispone almeno di 15 medici, e ben distribuiti, per ognuno di quelli che partirono. Ci sono decine di migliaia all'estero, prestando servizi solidali, e cresce il numero. In questo momento — ho chiesto la cifra esatta — ci sono 25 000 studenti di medicina; al primo corso ci sono circa 7 000, e ogni anno entreranno non meno di 7 000, ormai abbiamo più di 70 000 medici. Non parlo delle decine di migliaia di studenti di altre scienze mediche, abbiamo l'idea che ci siano circa 90 000 studenti nel settore della medicina, comprese le infermiere che studiano per laurearsi in infermeria e altre specializzazioni legate alla salute.

    Volevo sottolineare la differenza tra la realtà odierna e quella dell'anno in cui entrai all'università, cos'era allora il nostro Paese? Abbiamo bisogno di meditare a riguardo e comparare la situazione di allora con quella odierna, in tutti i sensi. Possiamo porci la stessa domanda nei confronti di otto, dieci, quindici, venti ambiti o settori. Non c'è paragone possibile.

    Parlavo di Barberán e di Collar, che morirono in un piccolo aereo pieno di benzina, perché era l'unica cosa che potevano fare..., decollarono, uscirono quasi come noi l'abbiamo fatto dal Messico, nel 1956: "se usciamo, arriviamo; se arriviamo, entriamo; se entriamo, trionfiamo". Sembra che prima di noi altri uomini abbiano realizzato un'azione tanto audace quanto quella di attraversare l'Atlantico. Partirono e arrivarono a Cuba, ripartirono ma arrivarono nel Messico, senza vita.

    L'aereo che avevano era un piccolo aereo che sembrava mosso dalla forza di una molla. Non avete mai visto quei giocatoli a molla?

    Quando la nostra Rivoluzione trionfò in questo emisfero, prossima all'impero e circondata dai suoi satelliti, con qualche eccezione, abbiamo dovuto percorrere un cammino molto difficile. Ma ciò avvenne alcuni anni dopo che entrammo all'università.

    Iniziammo gli studi universitari alla fine del 1945, e iniziammo la nostra lotta armata alla caserma Moncada il 26 luglio 1953, otto anni dopo, e la Rivoluzione trionfò cinque anni, cinque giorni e cinque mesi dopo l'attacco alla caserma Moncada, dopodiché dovemmo affrontare un lungo percorso per le prigioni, l'esilio e la lotta nelle montagne. Storicamente parlando, se lo compariamo con le lotte precedenti, questo fu un tempo difficile per il nostro popolo, sebbene relativamente breve, e si possono stabilire due tappe: l'entrata all'università, l'uscita e il colpo di Stato del 10 marzo 1952.

    La tappa in cui cominciavamo la lotta è il punto di partenza della nostra analisi d'oggi; allora appena stavamo decollando, tentavamo di decollare, non conoscevamo neanche molto bene le leggi della gravità, andavamo in salita lottando contro l'impero, che era ormai il più potente, sebbene ci fosse all'epoca anche un'altra cosiddetta superpotenza. Marciando in salita abbiamo tratto esperienza, marciando in salita il nostro popolo e la nostra Rivoluzione si rafforzavano, fino ad arrivare al punto in cui ci troviamo oggi.

    Magari avessi più tempo per parlare... Il momento attuale non ha precedenti, è molto diverso dagli altri, non somiglia per niente al 1945, non somiglia per niente al 1950 quando ci siamo laureati e avevamo già tutte quelle idee di cui vi parlai un giorno, quando affermai con amore, con rispetto, con molto affetto, che in questa università dove arrivai solo con uno spirito ribelle e alcune idee elementari di giustizia, diventai rivoluzionario, diventai marxista-leninista e acquistai i sentimenti che per anni ho avuto il privilegio di sostenere e di non avere mai provato la tentazione di abbandonare. Perciò posso affermare che non li abbandonerò mai.

    E se di confessioni si tratta, quando terminai questa università mi credevo molto rivoluzionario e, semplicemente, ero all'inizio di una strada molto più lunga. Mi sentivo rivoluzionario, se mi sentivo socialista, credevo di avere acquisito tutte le idee che mi fecero diventare un rivoluzionario, ma vi assicuro modestamente che oggi mi sento dieci volte, venti volte, forze, cento volte più rivoluzionario di quanto ero allora (Applausi). Se allora ero pronto a offrire la mia vita, oggi sono mille volte più pronto a farlo (Applausi).

    Si muore per una nobile idea, per un principio etico, per un senso di dignità e per l'onore, anche prima di essere rivoluzionario. Decine di milioni di uomini morirono nei campi di battaglia durante la Prima Guerra Mondiale e in altre guerre, quasi innamorati di un simbolo, di una bandiera che avevano trovato bella, di un emotivo inno che ascoltarono, come lo fu La Marsigliese all'epoca rivoluzionaria e che diventò poi l'inno dell'impero coloniale francese. In nome di quel impero coloniale e della ripartizione del mondo morirono in massa nelle trincee, durante la Prima Guerra Mondiale, milioni di francesi. Se l'uomo è capace di morire, infatti, è l'unico che è capace di dare la vita in modo consapevole e volontario, che non lotta per istinti, come fanno tanti animali costretti dalle leggi della natura, l'uomo, invece, è una creatura piena, l'uomo e la donna, e devo dire: sempre di più la donna; sì, ho dei motivi per affermarlo, non so se farò in tempo a riferirli. Comunque, l'uomo è l'unico che, consapevolmente, può superare tutti gli istinti, l'uomo è un essere pieno di istinti, di egoismi, nasce egoista, la natura glielo impone; la natura gli impone gli istinti, l'educazione impone le virtù; la natura gli impone cose attraverso gli istinti, l'istinto di sopravvivenza è uno che può condurlo all'infamia, la coscienza, invece, può portarlo a realizzare i più grandi atti di eroismo. Non importa come sia ciascuno di noi, non importa quanto siamo diversi tra noi, ma tutti, insieme, siamo uno.

    È sorprendente che nonostante le differenze tra gli esseri umani, essi possano essere uno ad un certo momento o possano trasformarsi in milioni e ciò è possibile solo mediante le idee. Nessuno seguì la Rivoluzione per culto a qualcuno o per simpatie personali verso qualcuno. Che un popolo raggiunga la stessa disposizione al sacrificio di qualunque delle persone che con lealtà e sincerità cercano di guidarli e di condurli verso un destino, è possibile soltanto tramite i principi, tramite le idee.

    Voi leggete continuamente le opere di uomini di pensiero, leggete continuamente la storia, e quando si studia la storia della nostra patria si legge l'opera di Martì, si leggono opere di altri notevoli patrioti, e se studiate la storia del mondo, la storia del movimento rivoluzionario dovete leggere i lavori dei grandi teorici che non hanno mai rinunciato ai principi rivoluzionari. Sono le idee ad unirci, sono le idee a farci diventare un popolo combattente, sono le idee a farci diventare rivoluzionari, non solo individualmente ma anche collettivamente, ed è proprio allora che si unisce la forza di tutti e un popolo non può essere mai più vinto, e quando il numero di idee è molto più grande, quando il numero di idee e valori da difendere si moltiplica, diventano minori le possibilità di sconfiggere il popolo.

    Così, quando evochiamo i compagni caduti e guardiamo i giovani che hanno importanti compiti da svolgere, gli altri nostri compagni, molti dei quali sono stati dirigenti di quest'università e hanno l'esperienza di molti anni di lotta, alcuni di più, altri di meno; alcuni possono avere più di 50 anni, altri possono avere più di 40 e ognuno di loro ha la sua carica, molti di loro provengono dalle aule universitarie, altri da un'origine umile, come quelli che vedo qui, persone che parteciparono all'attacco alla caserma Moncada e persone che sono venute nel Granma, che lottarono nella Sierra e parteciparono a tutti i combattimenti, li vedo tutti e ognuno di loro difendendo una causa, una bandiera.

    Vedo, ad esempio, il nostro caro compagno Alarcón. Lo ricordo perché qui si è parlato della battaglia per la libertà dei cinque eroi prigionieri, e lui è stato un instancabile combattente per la giustizia nel caso dei suddetti compagni. Questo è stato il compito affidatogli dalla Rivoluzione, e gli è stato affidato per le sue qualità, il suo talento, per la sua carica di Presidente dell'Assemblea Nazionale.

    Vedo il compagno Machadito, vecchio medico, ma non medico vecchio, che ci accompagnò nelle montagne. Vedo Lazo, vedo Lage, vedo Balaguer, vedo molti di qua e di là — vuol dire che ancora vedo qualcosa (Risate) —, credo di vedere Sáez, credo di vedere il Ministro dell'Istruzione Superiore, credo di vedere Gómez (Ministro della Pubblica Istruzione, N.d.T.) — che credo sia un po' ingrassato —, e più lontano vedo Abel (Ministro della Cultura, N.d.T.), nome biblico, che viene ad eccellere a Mar del Plata, dov'è stata combattuta una molto gloriosa battaglia.

    Fate attenzione al mondo, ai cambiamenti, agli obiettivi che cerchiamo di raggiungere oggi. Guardate quali strategie si disegnano, che ci coinvolgono nella strategia del mondo pur essendo un piccolo Paese situato a 90 miglia dal colossale impero, il più potente della storia. Quarantasei anni sono trascorsi ed è sempre più lontana la possibilità di mettere in ginocchio la nazione cubana, la stessa che umiliarono ed offesero tempo fa (Applausi); quella di cui furono padroni, padroni di tutto: delle miniere, della terra, di centinaia di migliaia dei migliori ettari; dei porti, delle fabbriche, del sistema elettrico, di trasporto, bancario, commerciale, ecc. e, dopo tutto ciò, quegli idioti credono che ci torneranno e che gli diremo in ginocchio; "Venite a salvarci ancora una volta, salvatori del mondo; venite, che vi consegneremo tutto ancora una volta, anche questa università, affinché vi studino soltanto 5 000 giovani e non mezzo milione, perché mezzo milione è troppo per la vostra mentalità che vorrebbe vedere la maggioranza della popolazione disoccupata e affamata affinché la schifezza del capitalismo possa funzionare, giacché si nutre di un esercito di riserva; venite a riprodurre ancora una volta i disoccupati analfabeti che facevano fila nei dintorni delle piantagioni di canna da zucchero, senza che nessuno gli offrisse nemmeno un goccio d'acqua, né prima colazione, né pranzo, né alloggio, ne trasporto, cercate di farlo e vediamo se ci riuscite, perché qui ci sono i loro figli che studiano nelle università in centinaia di migliaia" (Applausi).

    L'ho visto, nessuno me ne ha parlato, l'ho visto appena 48 ore fa. L'ho visto al Palazzo delle Convenzioni, centinaia di ragazzi con le magliette blu che si sono diplomati come lavoratori sociali e oggi sono tutti, senza eccezione, studenti universitari, dal primo al quinto corso della specialità scelta, dopo impegnativi anni di studio per diventare lavoratori sociali. All'inizio erano 500 e adesso sono 28 000.

    Mi sembra che sia stato Agramonte, alcuni dicono Céspedes, il quale, rispondendo ai pessimisti, quando aveva appena 12 uomini in armi, esclamò: "Non importano coloro che non hanno fiducia, con 12 uomini si fa un popolo". Se con 12 uomini si fa un popolo, oggi siamo molto più di dodici. Immaginate 12 uomini, moltiplicati chissà quante volte, armati di idee, di conoscenze, di cultura, che sanno com'è questo mondo, che conoscono la storia, la geografia, le lotte, perché hanno coscienza rivoluzionaria, che è la somma di tante altre coscienze, che è la somma della coscienza umanistica, la somma di una coscienza dell'onore, della dignità, dei migliori valori che può coltivare l'essere umano. È la figlia dell'amore alla patria e al mondo, che non dimentica che patria è umanità, frase pronunciata più di 100 anni fa. Patria è umanità è ciò che bisogna ripetere tutti i giorni, quando arriva qualcuno e si dimentica di coloro che vivono ad Haiti, o che sono in Guatemala, colpita, tra l'altro, dalla calamità naturale, soffrendo inenarrabili dolori, inenarrabile povertà come capita di solito nella maggior parte del mondo.

    Ecco l'unica cosa che può esibire l'infame impero e il suo ripugnante sistema, risultato della storia nella lunga marcia della specie verso una società di giustizia mai raggiunta lungo migliaia di anni, che è la brevissima storia relativamente conosciuta della specie in cerca di una società giusta. E sono stati sempre tanto lontani da una società giusta quanto vicini ci sentiamo oggi da essa, per dimostrare che è possibile la società che vogliamo costruire che, oserei aggiungere, malgrado il sacco di difetti che abbiamo ancora, nonostante gli errori e le carenze è la società che nella storia umana è più prossima alla definizione di società giusta.

    Alcuni professionisti si domanderanno: dov'è la giustizia che non la trovo? Non la trovo perché ci sono alcuni che guadagnano venti volte, trenta volte più dei medici, gli ingegneri, i professori universitari. Perché? Cosa producono? Quanti giovani educano? Quante persone guariscono? Quante persone rendono felici con le loro conoscenze, con i loro libri, con la loro arte? Quante ne rendono felici costruendo abitazioni? Quante ne rendono felici coltivando qualcosa affinché possano nutrirsi? Quante ne rendono felici lavorando nelle fabbriche, nelle industrie, nei sistemi elettrici, negli impianti d'acqua potabile, nelle strade o nelle reti d'elettricità, oppure occupandosi delle comunicazioni o stampando libri? Quante?

    Ci sono, e bisogna dirlo, alcune decine di migliaia di parassiti che non producono nulla e che ricevono tanto, come quello che trasporta in una vecchia auto, acquistando al mercato nero e rubando combustibile lungo la strada dall'Avana a Guantánamo, uno di quei giovani studenti che ha dovuto viaggiare in un momento in cui le condizioni del trasporto sono molto difficili, facendogli pagare 1 000 o 1 200 pesos. Non possiamo dimenticare le strade, piene di buche in molti luoghi e mancanti di segnaletica, che non abbiamo potuto finire per diversi motivi: per mancanza di risorse, per le incapacità che non siamo riusciti a superare o perché gli amministratori e direttori con controllano ciò che gestiscono o dirigono.

    Sì, bisogna considerare tutto ciò e non dimenticarlo perché ci troviamo di fronte a una battaglia che dobbiamo combattere fino alla fine, che abbiamo appena ingaggiato, che dovremo combattere e che vinceremo. Ecco il più importante.

    Sì, siamo molto consapevoli di tutto quanto detto in precedenza e ci pensiamo più che in ogni altra cosa: ci preoccupano i nostri difetti, i nostri errori, le nostre disuguaglianze, le nostre ingiustizie.

    E non oserei menzionare il tema se non fossi assolutamente convinto e sicuro che, salvo catastrofi mondiali e colossali guerre, ci avviciniamo rapidamente al momento di ridurli e sconfiggerli per realizzare ciò che vogliono i cittadini di questo Paese, che ad un certo punto erano disoccupati al 10%, 15%, 20% o di più, che una volta erano analfabeti in numero di un milione, o erano analfabeti o semi analfabeti fino al 90%: che in questo popolo di oggi, e soprattutto nel prossimo domani, ogni cittadino viva fondamentalmente del proprio lavoro o della propria pensione.

    Non possiamo dimenticare mai coloro che per tanti anni furono la nostra classe operaia e lavoratrice, che affrontarono decenni di sacrifici, lottarono contro le bande mercenarie nelle montagne e le invasioni come quella di Baia dei Porci, nonché le migliaia di atti di sabotaggio che cagionarono tanti morti tra i nostri lavoratori delle piantagioni di canna da zucchero, dei settori industriale e dello zucchero, del commercio o della marina commerciale, della pesca, insomma, tra tutti coloro che improvvisamente erano attaccati a cannonate e a colpi di bazooka, per il solo fatto di essere cubani, soltanto perché volevamo l'indipendenza, perché volevamo migliorare il destino del nostro popolo; e là, negli Stati Uniti, c'erano i banditi che facevano quanto volevano, là i banditi reclutati e addestrati dalla CIA, là i criminali, i terroristi che facevano saltare in aria aerei in pieno volo o cercavano di farli saltare in aria, non importavano le persone che sarebbero morte, là c'erano coloro che organizzavano ogni tipo di attentato e le azioni di terrorismo contro il nostro Paese. È cambiato forse l'impero? E dov'è, "Bushetto", il signor Posada Carriles? Cosa ne ha fatto del "gentile cavaliere" che, nonostante le azioni note e vergognose, cerca di cavalcare e tenere le briglie dell'impero? Quando risponderà a quella sana e semplice domanda che le abbiamo posto tante volte? Da dove è entrato Posada Carriles negli Stati Uniti? In una nave, da quale porto? Quale dei principi eredi della corona l'ha autorizzato? Sarà stato il cicciotto fratellino della Florida? — e chiedo scusa per l'appellativo di cicciotto, non è una critica bensì un suggerimento affinché faccia dello sport e si prenda cura del regime alimentare (Risate). È un consiglio per la salute del signore.

    Chi ha ricevuto Posada Carriles? Chi gli ha concesso il permesso d'entrata? Perché passeggia per le strade della Florida e di Miami colui che spudoratamente l'ha trasportato fin là? Dov'è andata a finire quell'accademia? Era un'accademia di navigazione o d'allevamento di pesci? Chi era quel barbaro? Lo stesso che da un telefonino ha parlato con altro terrorista che era in possesso delle lattine con dinamite, e la cui voce è stata riconosciuta da tutti durante la conversazione telefonica al punto di non poterlo negare. Lo stesso che rispose alla domanda di cosa fare con quelle lattine dicendo: "Vai a Tropicana, lanciale dalla finestra e distruggi il posto". Guardate che persone nobili, tanto rispettose delle leggi, delle norme internazionali, dei diritti umani. E lo spudorato di Bush non ha voluto rispondere ancora, è zitto, nessuno ha risposto.

    Le autorità del nostro Paese fratello, il Messico, non hanno avuto il tempo — sembra che abbiano molto da fare — di rispondere alla domanda. Non costa nulla, signori, dire che Posada Carriles, quel "ingenuo e innocente" bambino, è entrato con quella nave che è partita da quel porto nel modo in cui è stato denunciato da Cuba.

    Ma sono degli spudorati, dicono tutte le bugie del mondo, ma quando gli si porge una ingenua domanda, una semplice domanda, passano mesi e non rispondono nemmeno una parola. Così, passarono dei mesi e "non sapevano" dov'era Posadita.

    Quella ragazza tanto intelligente, come si chiama? Quella che è Segretaria di Stato (Risate), Condoleezza o Condoliza?, bene, Contesa Rice (Risate), neanche lei lo sa, lei lo ignora, così come lo ignorano i portavoce della presidenza; loro non hanno detto nessuna bugia, non hanno commesso neanche il più piccolo peccato veniale, sono puri, meritano l'applauso e la fiducia del mondo.

    Secondo loro tutto ciò è una bugia, non hanno mai torturato nessuno, non sono stati mai complici del terrorismo, non hanno mai inventato il terrorismo, non hanno torturato in nessuna parte, hanno sì utilizzato il fosforo vivo a Fallujah ma ciò è molto legale, molto legittimo e molto decoroso. A chi pensano di fare paura?

    Siamo stati testimoni, e lo ricordavo quando vedevo i compagni che vi hanno partecipato e Abel, della colossale battaglia combattuta a Mar del Plata, allo stadio e alla sede degli incontri dei presidenti; non ne farò commenti, ma il nostro popolo ha avuto occasione di vedere, di osservare — conosco gli stati di opinione — quella grandiosa battaglia, una parte della quale è stata combattuta una nelle strade e l'altra dove erano riuniti i capi di governo.

    E parlando di storia, mai nella storia del nostro emisfero si è conosciuta una battaglia come questa, dove il signor della triste figura, e non lo definisco così per la somiglianza tra i suoi ideali e quelli di Cervantes, bensì perché fa smorfie, cose strane, si annoia, lo portano a letto a mezzanotte, il mondo finisce e lui nemmeno se ne accorge; potrebbe anche succedere che un giorno dalle portaerei decollino gli aerei e bombardino il territorio di quei banditi rovinando il sogno al cavaliere che tiene le briglie dell'impero perché, finché lui dorme, il cavallo può fare ciò che vuole. Alla fine possibilmente risulti che il cavallo conduca meglio i destini dell'impero dello stesso cavaliere che deve andare a letto presto (Applausi)

    È un peccato che la notte non sia più lunga perché almeno il mondo potrebbe stare meglio.

    Ecco come stanno le cose. Abbiamo visto molte cose che non si possono dimenticare.




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Pagina inviada dalla: Ambasciata di Cuba in Italia
(9 dicembre 2005)


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