Cuba

Una identità in movimento


Cuba: politica delle immagini, immagini della politica (Parte II)

Stefano Todini


La lezione del documentario e gli anni Settanta

Si è accennato in precedenza alla vastissima produzione di documentari promossi dall'ICAIC, con finalità di istruzione, di propaganda ideologica, di encomio della rivoluzione: il cinema sino allora mortificato dall'agnosticismo, nella fase del castrismo rinasce come documento di un'epoca gravida di mutamenti. La riforma del 1959 prevede che ogni sala programmi in sequenza un cinegiornale, un documentario o un corto d'animazione, e un lungometraggio. In tal modo,


"... i differenti generi basilari e complementari si presentano in una sola volta e lo spettatore può attraversare diversi livelli di mediazione che lo avvicinano e lo allontanano dalla realtà e che possono favorire una migliore comprensione della stessa"[9].


La efficacia di una didattica del documentario è comprovata dall'interesse globale delle platee, che a Cuba hanno nell'informazione dei cinegiornali o dei cortometraggi d'attualità uno delle poche opportunità di alfabetizzazione, soprattutto nelle aree rurali che annoverano l'80% della popolazione. Naturalmente, il documentario cubano è stato impreziosito dalla tecnica del montaggio, che ha permesso di corroborare il messaggio dei cineasti caraibici. Dopo che nel 1960 Tierra olvidada (Terra dimenticata) di Oscar Torres ed El negro (Il negro) di Eduardo Manet, e poi nel 1961 Carnaval (Carnevale) di Fausto Canel e Ritmos de Cuba (Ritmi di Cuba) di Nestor Almendros, ebbero aperto la grande stagione del documentarismo, tutti i registi cubani si cimentarono in questo genere di opere, per sottolineare il folclore, la storia remota o l'ascesa dei rivoluzionari; tuttavia, alcuni di loro non condivisero il realismo socialista e l'avvicinamento a Mosca, al punto, casi estremi ma non sporadici, di scegliere la via dell'esilio. Nel 1962 sia Historia de una batalla (Storia di una battaglia) di Manuel Octavio Gómez, sia Hemingway di Fausto Canel rappresentano due picchi fondamentali per il documentarismo del ventennio successivo, ben prima del celebrato Coffea Arábiga di Nicolás Guillén Landrían nel 1968. La svolta artistica nel documentario d'autore la si deve a Santiago Roman Álvarez, che coordinò molti dei mille numeri del Noticiero ICAIC — il cinegiornale d'attualità — e diresse alcuni documentari rimasti nella storia del cinema. Antesignano dell'antimperialismo, Álvarez sosteneva che con due immagini e un minimo di musica poteva realizzare un film dotato di un senso. Un ottimo saggio delle proprie capacità Álvarez lo fornì con Ciclón (Ciclone) nel 1963: il film presentava i grandi progressi nella politica agricola e nel risanamento edile e agrario, per poi mostrarci l'opera distruttiva — stavolta non degli yankees ma dell'uragano Flora — e le reazioni collettive dinanzi alle calamità naturali, concludendo retoricamente con le immagini dei soccorsi tempestivi e dell'efficienza delle forze governative nel ripristinare l'ordine. Now! (Ora!) del 1965, con immagini fisse montate sui ritmi della canzone di Lena Horne, documentava la violenza razziale statunitense con una incisività talmente attuale al punto da ispirare nello stile diversi videoclip delle ultime generazioni. Seguirono fra gli altri, in un crescendo di raffinatezza tecnica, Cerro pelado (Cima brulla) nel 1966, Año 7 (Anno 7) e il lungo Hanoi, martes 13 (Hanoi, martedì 13) del 1967 sulla tragedia e le lotte dei vietnamiti; ancora, nel 1968 LBJ, impietoso ritratto polemico del presidente Johnson, nel 1969 El sueño del Pongo (Il sogno del Pongo) e 79 Primaveras (79 Primavere), dedicato ad Ho Chi Mihn. Nei due decenni successivi la vena creativa di Álvarez, il suo "cinema d'urgenza" si estese ad altre realtà latino americane e non solo: Perù (1970), Cile (1972), Africa (1973), Angola (1976), Cambogia (1978), Mozambico (1982). Dovunque si avverte l'impeto celebrativo per i trionfi di Fidel Castro, celebrati definitivamente in Mi hermano Fidel (Mio fratello Fidel) del 1977, dedicato a un superstite dell'impresa di Martí nel 1895. Il convincente sperimentalismo popolare di Álvarez colloca questo autore tra i grandi registi latino americani, sublime nell'accostare immagini diverse in omaggio alla "logica delle implicazioni" di Kulešov e al "montaggio delle attrazioni" di Ejzenštejn. Del resto, il principio del montaggio analogico era penetrato anche nel lungometraggio di fiction, spesso vicino per foggia e temi trattati al documentario. In Memorias del subdesarrollo, sono frequenti ed esplicativi i brani di cinegiornali, con il loro montaggio volto a screditare i valori borghesi; finzione e realtà (filmica) entrano dialetticamente in contatto, confondendosi inestricabilmente in funzione delle tesi dell'autore. Anche nel già citato La primera carga al machete di Gómez troviamo la commistione di attualità e storia: ad un tratto il regista simula un cinegiornale, con interviste ai personaggi che si rivolgono alla cinepresa, immagini di repertorio, suono in presa diretta.

La fine degli anni Sessanta e tutti gli anni Settanta vedono attenuarsi l'entusiasmo rivoluzionario nell'arte. Almendros, Canel, Manet ed altri lasciano l'isola, mentre si appesantisce la dipendenza dall'Unione Sovietica e l'economia subisce una battuta d'arresto. Il "caso" Cabrera Infante e poi il "caso" Padilla, sui quali qui non ci soffermiamo, segnano profondamente il difficile dialogo tra intellettuali e potere, ponendo il problema del come e dove situare il dissenso politico degli artisti non disposti all'abiura. Molti creativi, non solo cineasti, sono spinti all'allineamento anche se non vi sono episodi repressivi ufficiali. Il "cinema imperfetto" viene praticato secondo i precetti di García Espinosa ma senza un'enfasi sperimentale o militante; riguardo ai soggetti trattati, vi è un ritorno alle più drastiche manifestazioni dell'antimperialismo e della critica al decadentismo borghese. Nel 1971 Los días del agua (I giorni dell'acqua) di Gómez, con aperte citazioni da La corazzata Potëmkin, nel 1972 Un día de noviembre (Un giorno di novembre) di Solás, sulle speranze disattese dalla rivoluzione, e nel 1973 Gíron (Quartiere) di Manuel Herrera sull'invasione di traditori e mercenari, rientrano nell'alveo della produzione incoraggiata dal governo. Non va dimenticato l'influsso che il Primo Congresso Nazionale di Educazione e Cultura, svoltosi a L'Avana dal 23 al 30 aprile 1971, ebbe sulle prospettive del mezzo cinematografico come riscoperta di quei trascorsi storico-sociali atti a rafforzare il senso della rivoluzione. Si producono nel 1973 El hombre de Maisinicú (L'uomo di Maisinicú) di Manuel Pérez (autore quattro anni dopo di Río Negro) e El extrano caso de Rachel K. (Lo strano caso di Rachel K.) di Oscar Valdés; nel 1974 Ustedes tienen la palabra (A voi la parola) di Manuel Octavio Gómez, De cierta manera (In un certo modo) di Sara Gómez, El otro Francisco (L'altro Francesco) di Sergio Giral; nel 1975 Mella (Mella) di Enrique Pineda Barnet, La nueva escuela (La nuova scuola) di Jorge Fraga, Cantata de Chile (Cantata del Cile) di Humberto Solás. Nella seconda metà del decennio l'ICAIC mantiene la funzione di stimolo per un cinema di quantità non sempre esteticamente rilevante. È il caso di El rancheador (L'investigatore) girato da Sergio Giral nel 1976, come de La tierra y el cielo (La terra e il cielo) di Manuel Octavio Gómez, mentre miglior fortuna ottiene La última cena (L'ultima cena) di Tomas Gutiérrez Alea.

Quest'ultima pellicola viene associata dalla critica sudamericana alla precedente Una pelea cubana contra los demonios per il fatto che ambedue i film impiegano la finzione e la fantasia per colmare le lacune di una storiografia ancorata ad un modello positivista falsamente scientifico[10]. Si impongono all'attenzione nel 1977 El brigadista (Il brigatista) di Octavio Cortázar, nel 1978 El recurso del método (Il ritorno del metodo) del cileno Miguel Littín e Los sobrevivientes (I sopravvissuti) di Gutiérrez Alea, qui fortemente debitore al Buñuel de L'angelo sterminatore. Il decennio si chiude con Maluala (Maluala) di Sergio Giral, Patty Candela (Patty Candela) di Rogelio Paris, Aquella larga noche (Quella lunga notte) di Enrique Pineda Barnet, Retrato de Teresa (Ritratto di Teresa) di Pastor Vega, tutti realizzati nel 1979, anno in cui Juan Padrón licenzia Elpidio Valdés, il film d'animazione meglio riuscito all'interno della vasta produzione cubana. Elpidio Valdés, che è divenuto il protagonista di una saga di lungometraggi d'animazione e anche di singoli episodi, rappresenta l'eroe popolare cubano disincantato, egocentrico ed amante della giustizia: un alter ego del comandante Fidel Castro ma disegnato con maggiore ironia e malizia di quanto sarebbe concesso per ritrarre un rivoluzionario in carne ed ossa.

Ad Elpidio Valdés, guerrigliero tenero e sfacciato, amato da grandi e piccini, nel corso di questi decenni sono stati tributati molti onori, e la creatura di Padrón resta ancor oggi uno dei personaggi meglio radicati nell'immaginario collettivo dei Caraibi. Sempre nel 1979, registriamo la nascita del grande Festival del Nuovo Cinema Latino Americano de L'Avana, che soddisfa due condizioni: la prima, istituire una delle più ampie manifestazioni cinematografiche del mondo — centinaia di nuove pellicole esibite ogni anno, con sezioni amplissime riservate alle nazioni europee oltre alla immensa vetrina continentale —, allestita in decine di sale della capitale con un richiamo grandissimo per il pubblico locale. La seconda, conseguente, accentrare in Cuba la presenza di operatori culturali e commerciali provenienti da tutto il Sudamerica, con un indotto turistico e commerciale legato al cinema ma anche alle arti figurative, all'editoria, alla musica: un modo come un altro per aggirare il blocco delle esportazioni indirettamente imposto dagli Stati Uniti.


Embargo, balseros e videotape

All'inizio degli anni Ottanta la poderosa macchina cinematografica cubana comincia ad avvertire i sintomi di una malessere progressivo: la mancanza di fondi e di idee originali. La produzione di film a soggetto, attestata sui dieci film all'anno, si riduce a due o tre per risalire a dodici nel 1985. Per altro verso, il documentario (circa quaranta uscite ogni anno) e i generi non narrativi confermano il livello qualitativo raggiunto nei due lustri precedenti grazie a Santiago Álvarez, ma anche ai documentari come Hombres de mal tiempo di Jorge Saderman (1968), Simparelé (Simparelé) di Humberto Solás, Muerte y vida en El Morrillo di Oscar Valdés (1971), Viva la República di Pastor Vega (1972), Crónica de una infamia di Miguel Torres (1982).

L'internazionalismo politico di Cuba e la politica interventista in aiuto di nazioni in lotta viene documentata nei reportages all'estero di Álvarez e quindi di Jesús Diaz e Rigoberto López. L'ICAIC da parte sua sostiene economicamente e logisticamente le produzioni estere che incontrano in patria difficoltà di regime: un esempio macroscopico sono il monumentale La batalla de Chile (La battaglia del Cile) sugli anni del governo Allende montato dal cileno Patricio Guzmán dal 1973 al 1976, o nel 1985 la coproduzione con il colombiano Jorge Ali Triana per Tiempo de morir (Tempo di morire). Frattanto, l'embargo statunitense strangola sempre più l'economia isolana, mentre il supporto sovietico diviene flebile. Le esportazioni vengono osteggiate, e cominciano a scarseggiare prima i beni voluttuari, poi quelli di prima necessità. Come sovente accade nelle stagioni di crisi, il mondo dello spettacolo mette in scena il disimpegno e la commedia per dimenticare i problemi della quotidianità; valga per tutti il film Guardafronteras di Octavio Cortázar del 1980. Il cinema di questi anni corre il rischio di essere troppo populista:


"... la riforma dei generi sostenuta da García Espinosa perde velocemente vigore con il fiasco plateale di film come Patakín e Son o no son, che cercano di riprodurre le stesse strategie di trasgressione del passato ma senza arrivare al pubblico"[11].


I cubani continuano a riempire le sale — in media uno spettatore si reca al cinema quasi trenta volte all'anno, contro le cinque di uno spettatore francese! — ma il prodotto non è più così "educativo" e "rivoluzionario" come una volta. Cosa ne è stato delle affermazioni di Alfredo Guevara condivise da tutti, che


"... il cinema cubano esiste come arte rivoluzionaria di ricerca e di contributo reale, come strumento di cultura e arma di lotta"?[12].


Osservando nel 1980 Son o no son (Sono o non sono) di Julio García Espinosa, nel 1981 Polvo rojo (Polvere rossa) di Jesús Díaz e due anni dopo Patakín (Patakín) di Manuel Octavio Gómez o Hasta cierto punto (Fino a un certo punto) di Tomas Gutiérrez Alea; oppure guardando i tre film in costume retrò di Humberto Solás, il più significativo dei quali nel 1981 è Cecilia (Cecilia), cui seguono Amada (Amata) nel 1983 e di Un hombre de éxito (Un uomo di successo) nel 1986, si ha l'impressione che la comunicazione audiovisiva abbia smarrito quella funzione trainante della società, e che più che indirizzare il gusto del pubblico, lo segua e lo assecondi. Valgano come esempio i successi nel 1984 di Se permuta (Si permuta) di Juan Carlos Tabío, sul diffuso desiderio di scambiare il proprio alloggio con uno più grande e comodo, e di Los párajos tirandole a la escopeta (Il mondo alla rovescia) di Rolando Díaz, sui contrasti di coppie dovuti alla differenze anagrafiche e sessuali, e anche di Habanera (Avanera) di Pastor Vega, sensibile omaggio alla femminilità nazionale. Il 1984 è anche l'anno in cui si fa insopportabile la migrazione di clandestini cubani verso la Florida, i cosiddetti balseros che andavano a tentare la fortuna clandestinamente o venivano espulsi da Cuba perché indesiderati. La massa crescente di esuli, centinaia di migliaia, spinge Cuba e gli Stati Uniti a firmare un accordo per contenere il flusso di espatrio entro le ventimila unità per anno. Ma anche questo esodo è sintomo di un disagio sociale ed economico che assilla Cuba, e che permane nonostante i correttivi e le manovre contro burocrazia e corruzione; un disagio che con piena evidenza serpeggia anche negli ambiti accademici e artistici. Muovendo dalla sceneggiatura di Cecilia, libero (per alcuni sin troppo) adattamento di un classico della letteratura cubana, la dirigenza dell'ICAIC aprì in quei giorni un dibattito sulle strategie narrative che sottendeva in fondo un discorso sulla libertà dell'autore.


"Cecilia significava la scommessa per un cinema che dalla sua condizione di spettacolo permetteva la verifica delle nostre entità più preziose; era il prolungamento di una concezione estetica che, nei due lustri precedenti, aveva avuto in Gutiérrez Alea il più importante e sistematico assertore nella denuncia dell'inconsistenza di un'arte che (...) sacrificava la visione matura del contesto. In realtà, il cinema cubano dopo Cecilia, accusato spesso di una semplicità concettuale che lo condannava subito all'evanescenza nonostante la correttezza del suo linguaggio, faceva parte di un insieme più grande di guasti... "[13].


La seconda metà del decennio non vede una mutazione nell'offerta cinematografica, che ribadisce il primato della commedia d'intrattenimento: meritano una citazione nel 1985 Una novia para David (Una sposa per David) di Orlando Rojas, De tal Pedro tal astilla (Tale il padre, tale la figlia) di Luis Felipe Bernaza, e l'agrodolce, nostalgico Lejanía (Lontananza) di Jesús Díaz. Ma in queste settimane il governo cubano sta scommettendo su un'altra epica struttura, che verrà inaugurata il 15 dicembre del 1986: la Escuela Internacional de Cine y Television, sorta a San Antonio de los Baños, a venti chilometri dalla capitale, per accogliere studenti dei tre continenti meno sviluppati promuovendone una formazione integrata sulla cultura dell'audiovisivo. La Escuela nasce, come già accaduto per la Fundación del Nuevo Cine Latinoamericano, quale organismo extraterritoriale; non una proprietà del governo cubano, ma una struttura ampia e confortevole che comunque rivendica la egualitaria e democratica istruzione interattiva, in linea con gli intendimenti ormai datati della rivoluzione dei barbudos. Nello scenario della cultura cinematografica, la Escuela — battezzata da Gabriel García Márquez, Alfredo Guevara, Julio García Espinosa, Nelson Pereira dos Santos e diretta da Fernando Birri — riveste un ruolo prestigioso, non solo per i principi teorici che la animano, ma anche per l'apertura internazionale e per l'aggiornato sperimentalismo: il video e il cinema elettronico diventano materia imprescindibile di studio; la video-arte, gli effetti speciali, il marketing e l'industria delle immagini, sono discipline in cui gli studenti di oggi e i "cineteleasti" di domani devono essere competenti.

La fondazione della Escuela e gli investimenti governativi in questa fase danno maggiore impulso creativo al cinema cubano, che annovera alcuni film "d'autore" seppur legati alla domanda di intrattenimento. Fernando Pérez riscopre nel 1987 con l'ingenuo Clandestinos (Clandestini) il momento topico dell'insurrezione pre-rivoluzionaria negli anni Cinquanta, quando numerosi erano gli attentati contro il regime; qui i "clandestini" sono ragazze e giovanotti goliardicamente impegnati a far saltare la presidenza di Batista con ogni mezzo, ma non meno attenti a vivere le proprie relazioni affettive. Nel 1988 esce Plaff o Demasiado miedo a la vida (Plaff o Troppa paura della vita) di Juan Carlos Tabío, e nel 1989 è la volta di Papeles secundarios — uno dei film più significativi del decennio, secondo la critica cubana — di Orlando Rojas, La inutile muerte de mi socio Manolo (La inutile morte del mio compagno Manolo) di Julio García Espinosa e soprattutto de La bella del Alhambra (La bella dell'Alhambra) di Enrique Pineda Barnet, storia di una giovane corista che diviene la stella incontrastata di un celebre teatro: il film ottiene un irripetibile successo di pubblico.


Un periodo davvero "especial"

Al di là della complessa situazione internazionale che condusse a quegli ultimi, immani stravolgimenti mondiali del XX secolo, sia la Caduta del Muro di Berlino che il crollo politico ed economico dei regimi improntati al socialismo reale ebbero, di fatto, una pesantissima ripercussione sulla Repubblica di Cuba. Venendo a mancare il sostegno economico dell'Unione Sovietica legato agli accordi del COMECON e stimato intorno ai cinque miliardi di dollari annui, la Isla Grande perdeva il maggiore antidoto ai crescenti danni provocati dall'embargo, oltre alle circa undicimila unità di personale qualificato sovietico che tornarono in patria. Fidel Castro si vide così costretto a proclamare il periodo especial, un quinquennio di profonda austerità e di sacrificio che verrà poi prorogato al punto che è ancora, in buona parte, operativo nel 2001. Gli anni Novanta per il cinema sono, per dirla con Joel del Río, un'epoca di paradossi:


"Mentre si rinnova la tensione tra rottura e continuità, almeno una mezza dozzina di opere si confermano come eccellenti strumenti di opinione e formazione della coscienza individuale e collettiva; inoltre, si mette a nudo la inoperosità e la caducità del realismo socialista e dei suoi eroi positivi"[14].


Nel 1990 Alice en el pueblo de Maravillas (Alice nel Paese delle Meraviglie) di Daniel Díaz Torres e Sueño tropical (Sogno tropicale) di Miguel Torres, e nel 1991 Adorables mentiras (Bugie adorabili) di Gerardo Chijona condividono la disamina critica della realtà sociale, aggirando le tentazioni del facile folclore. Il 1992 è l'anno di El siglo de las Luces (Il secolo dei Lumi) di Humberto Solás, che ricostruisce ne L'Avana di fine Settecento le esistenze incrociate di tre giovani aristocratici alla scoperta degli ideali della Rivoluzione Francese.

La musica è composta con cura da José Maria Vitier, uno dei compositori migliori attivi a Cuba, secondo solo all'inarrivabile Leo Brouwer. Nel 1993 salgono alla ribalta Derecho de asilo (Diritto di asilo) di Octavio Cortázar e il film poi nominato all'Oscar Fresa y chocolate (Fragola e cioccolato), girato da Gutiérrez Alea, per ragioni di salute, insieme a Juan Carlos Tabío. Per il clamore che suscitò, questa pellicola ha avuto il merito, fra gli altri, di far apprezzare il cinema cubano nel mondo occidentale, lanciando definitivamente la moda cubana riaffermata poco dopo da Buena Vista Social Club di Wim Wenders. Può apparire strano che Fresa y chocolate abbia goduto di grande visibilità pubblica se si considera che il film non si pone criticamente verso l'omosessualità e la dissidenza politica, quasi schierandosi in favore delle minoranze "devianti". Si osserva però a ragione che


"... più che una pellicola a favore o contro il sistema, la storia è divenuta una inimitabile lezione per comprendere che non sempre chi non sta con me è necessariamente contro di m20.05 03/08/2008e, insegnamento che per una generazione come la mia... risulta sostanzialmente rivelatore"[15].


Prima che Gutiérrez Alea e Tabío (il quale da solo aveva girato nel 1994 El elefante y la bicicleta) concedano il bis con il successo internazionale di Guantanamera (Guantanamera) nel 1995, le commedie psicologiche e il film-documento dissetano le platee con Reina y Rey (Regina e Re) di García Espinosa e con Madagascar (Madagascar) di Fernando Pérez nel 1994, e con La ola (L'onda) di Enrique Álvarez nel 1995.

Guantanamera, che riscuote consensi comunque meno vibranti di Fresa y chocolate, si lega a Muerte de un burócrata per il tema — la vicenda di un convoglio funebre che deve trasportare un feretro da Guantanamo a L'Avana, e mentre nel viaggio si dipanano mille avventure e nostalgie, i burocrati discettano sulle competenze del servizio mortuario — ma non per l'innovazione dello stile, che in questo caso risulta più morbido e forse meno ambizioso e profondo. Gutiérrez Alea scompare circa un anno dopo l'uscita del film, e la sua assenza lascia un vuoto artistico e umano incolmabile nella cinematografia latino americana.

Del resto, il lustro che chiude il Novecento e con esso il primo secolo del cinema, non regala capolavori. La produzione sembra ispirarsi alla narrativa tradizionale ricercando il sorriso delle platee e rinunciando perlopiù ad operazioni intellettualistiche. È il trionfo della commedia con Las profecías de Amanda (Le profezie di Amanda) di Pastor Vega e nel 1997 con Amor vertical (Amore verticale) di Arturo Sotto, già autore di Pon tu pensamiento en mi; la popolarità e i suoi compromessi nel mondo della musica sono il soggetto di Zafiros: locura azul (Zaffiri, follia azzurra) di Manuel Herrera, mentre un misterioso intrigo poliziesco è all'origine di Kleines Tropikana, diretto da Daniel Díaz Torres ancora nel 1997. È il 1999 l'anno più denso di titoli rilevanti: Un paraíso bajo las estrellas (Un paradiso sotto le stelle) di Gerardo Chijona sullo storico Cabaret Tropicana; Operación Fangio (Operazione Fangio) di Alberto Lecchi, film coprodotto con l'Argentina sul sequestro politico del celebre corridore durante il Gran Premio di Automobilismo de L'Avana nel 1958; La vida es silbar (La vita è un fischio) di Fernando Pérez, premiato a Berlino anche per il suo dolce esistenzialismo onirico; Lista de espera (Lista d'attesa) diretto da Juan Carlos Tabío con lo stesso cast di Fresa y chocolate: una parodia poetica dei disservizi sociali causati da una crisi economica senza fine. Senza dimenticare il documentario Del otro lado del cristal-Operacion Peter Pan (Dall'altra parte del vetro-Operazione Peter Pan), diretto sempre nel 1999 da Guillermo Centeno, Marina Ochoa, Manuel Pérez, Mercedes Arce. Si tratta dell'inchiesta su alcuni dei 14.000 bambini cubani che fra il 1960 e il 1962 furono inviati dai genitori negli Stati Uniti; un documento toccante che va ad infoltire la schiera della produzione cinéma-vérité sempre praticata dai registi cubani. Ma la macchina dell'ICAIC non si arresta, e le pellicole realizzate nel 2000 stanno per giungere sugli schermi: Las noches de Costantinopla (Le notti di Costantinopoli) di Orlando Rojas, Miel para Oshún (Miele per Oshún) di Humberto Solás, Nada (Niente) di Juan Carlos Cremata.

Chiudiamo con una notazione. Nel siglare lo scorso novembre 1999 la Dichiarazione congiunta dei registi latino americani a la Cumbre, in Messico, improntata alla difesa del cinema come difesa dell'identità nazionale, i cineasti tutti e non solo i cubani hanno concordato sul fatto che l'industria dell'audiovisivo sarà nei prossimi anni la seconda attività generatrice di ricchezza nel mondo; ciò deve rafforzare l'intento di promozione della cultura iberoamericana in relazione all'industria cinematografica, e deve corroborare la volontà di essere uniti per affermare una cinematografia fin troppo penalizzata dai meccanismi commerciali della distribuzione internazionale. La vera arte è sempre polemica, come sostiene il sessantenne regista Pastor Vega:


"Il dovere dell'artista è precisamente questo; trovare e mostrare ciò che nessuno fino ad ora ha fatto. Il suo allenamento personale è finalizzato a rivelare la vita con profondità e pienezza, attraverso ciò che non è evidente, malgrado ciò che è ovvio (...) Il cineasta e l'amante esprimono la propria vocazione attraverso un tessuto molto delicato. Distruggerlo è molto più facile che mantenerlo in vita"[16].


Sì, il cinema di Cuba riassume in pieno questa delicatezza, sospeso com'è tra fragili malinconie e sfrenati entusiasmi. Siempre.




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