Cuba

Una identità in movimento


Tavola Rotonda "Gli intellettuali e artisti cubani contro il fascismo", effettuata negli studi della Televisione Cubana, il 14 aprile 2003, "Anno dei gloriosi anniversari di Martí e del Moncada" (Parte I)


Randy Alonso — Buona sera, cari telespettatori e radioscoltatori.
In momenti drammatici e di estremo pericolo per l'umanità, quando il fascismo rinasce con la pretesa di esercitare il dominio brutale sul pianeta, gli intellettuali e artisti cubani hanno fatto un appello alla creazione di un fronte antifascista internazionale.
Realizziamo questa sera la tavola rotonda "Gli intellettuali e artisti cubani contro il fascismo", a cui partecipano distinte personalità della nostra cultura.
Questa sera sono presenti il compagno Carlos Martí, poeta e presidente dell'Unione Nazionale di Scrittori e Artisti di Cuba; Roberto Fernández Retamar, poeta e saggista, Premio Nazionale di letteratura e presidente della Casa de las Américas.
Abbiamo anche l'onore di contare sulla presenza di Pablo Hernández Fernández, poeta, scrittore e intellettuale cubano e Premio nazionale di letteratura; Julio García Espinosa, uno dei registi cubani di maggiore spicco, direttore della Scuola Internazionale di Cinema di San Antonio de los Baños; Elíades Acosta, storico, intellettuale cubano e direttore della Biblioteca Nazionale "José Martí, e Fernando Martínez Heredia, uno dei nostri più notevoli saggisti, presidente della cattedra "Gramsci" del centro "Juan Marinello", del Ministero della Cultura.
Invitati nello studio, condividono questo compito con noi diverse personalità dell'arte e dell'intellettualità cubana; compagni del Polo Scientifico, del Ministero del Turismo, bambini del gruppo del Teatro "La Colmenita", e specialmente Abel Prieto, ministro della Cultura del nostro paese.

(Video con immagini sul tema)

Randy Alonso — Il Consiglio Nazionale dell'UNEAC che ha avuto luogo sabato e domenica nella capitale cubana, ha fatto conoscere una dichiarazione che contiene un appello alla creazione di un fronte antifascista.
Carlos Martí, quali sono le cause di questo appello degli intellettuali cubani e quali sono le basi di questo documento?

Carlos Martí — In realtà questo appello risulta imprescindibile in questi momenti che stiamo vivendo. È un momento di estrema gravità per il nostro paese e, ovviamente, per tutta l'umanità, considerando che si è scatenata una macchina neofascista che riscuote ormai i risultati di una guerra rapace contro il popolo dell'Iraq. Vale a dire, che è stato imprescindibile riunirci per riflettere sull'attuale momento, e redigere alla fine un documento come quello che è stato approvato nel suddetto Consiglio Nazionale, che faremo conoscere al mondo.
Voglio riferirmi ad alcuni aspetti essenziali di questo documento e della riflessione che abbiamo fatto scrittori e artisti.
Primo, bisogna segnalare – com'è stato sottolineato nel suddetto documento –, che questo neofascismo ha delle pretese universali, ed è pericoloso perché non ha oppositori armati, né muro di contenzione, né tipo alcuno di forza capace di frenarlo. Ha, inoltre, un potere devastante in grado di annichilire un paese in pochi minuti.
Ecco il primo aspetto importante del documento.
Il secondo aspetto che voglio sottolineare è come il criterio interventista che impongono gli Stati Uniti violi tutti gli accordi in materia di diritto internazionale e intenda eliminare i principi irrinunciabili di sovranità e autodeterminazione dei popoli.
Il nostro popolo ha visto con assoluta chiarezza come si è imposta la guerra anche se non è stata approvata nelle Nazioni Unite.
Si afferma anche nel documento che in questo momento avviene la fatidica sostituzione dell'impero della legge con la legge dell'impero. Questa è un'affermazione molto importante contenuta nel documento in questione.
C'è un terzo aspetto relativo alla macchina di propaganda utilizzata, vale a dire, la forza mediatica. Tutti i mezzi moderni in funzione di presentare gli invasori quali "forze liberatrici" o quale "coalizione" – una parola che ha certa nobiltà –, e cercare di imporre o annunciare un criterio ipoteticamente "democratico", quando in realtà noi vediamo che ciò che c'è stato è il genocidio più brutale. Ciò non è nessuna coalizione. Sono, semplicemente, le forze imperiali che hanno sferrato in modo unilaterale l'aggressione contro il popolo iracheno.
Come si sa, questa macchina inonda quotidianamente il pianeta, ripetendo il messaggio di superiorità degli Stati Uniti e il ruolo messianico che si attribuisce loro. Si completa, ovviamente, con una visione che trasforma tutto il Terzo Mondo, tutto ciò che non sono gli Stati Uniti, l'altro, in una caricatura. Questo è parte della macchina neofascista che si è sviluppata ed è stata messa in pratica nel caso della guerra in Iraq.
Tuttavia, malgrado l'enorme influenza mediatica, si è sviluppata una coscienza antibellica e abbiamo visto ogni giorno, grazie alle tavole rotonde e alle informazioni che sono state diffuse, come questa coscienza sia riuscita a generare manifestazioni di interi popoli, grandi manifestazioni in ogni parte del mondo, e proprio il settore intellettuale ha avuto uno spiccato ruolo nelle proteste su scala mondiale.
Il manifesto "Non nel nostro nome", che hanno sottoscritto i più importanti intellettuali statunitensi è prova di ciò.
È giusto ricordare anche che noi, durante tutto questo tempo che abbiamo lavorato contro la guerra e cercando di riflettere su questo fenomeno neofascista, abbiamo distinto chiaramente il governo degli USA, che agisce in questo modo e dal meglio della cultura statunitense e del suo popolo; ricordiamo quindi come l'UNEAC, il 4 luglio dell'anno scorso, ha celebrato l'indipendenza statunitense, cercando di fare una distinzione tra il governo imperialista, la macchina neofascista e la grande cultura nordamericana, rappresentata proprio da coloro che hanno sottoscritto il manifesto "Non nel nostro nome". Quindi, abbiamo intrapreso diverse azioni in questo senso.
Posso citare anche il workshop "No alla guerra" che abbiamo organizzato nella sede dell'UNEAC e nelle provincie all'inizio della guerra contro il popolo iracheno a cui hanno partecipato scrittori e artisti, che hanno emesso i propri criteri di condanna alla guerra e hanno lavorato con la popolazione lì riunitasi.
Il suddetto workshop ci ha aperto il cammino verso il Consiglio Nazionale e verso la possibilità di portare avanti la battaglia e aprire la riflessione e il dibattito sul programma neofascista in atto.
Un altro aspetto importante di questo documento è il riferimento a quanto avvenuto dopo gli esecrabili fatti dell'11 settembre, che sono stati trasformati in pretesto per imporre una politica previamente concepita di dominazione e saccheggio universale.
Personalmente percepisco una autoprovocazione, un gigantesco Maine – per imporre al mondo questo tipo di aggressioni.
Cioè che la presunta lotta contro il terrorismo ha facilitato uno spiegamento senza precedenti di armi e risorse, uno splendido affare che è sempre stato il sogno del complesso militare industriale. Siamo testimoni dello spoglio delle risorse del mondo, della ricchezza dei popoli; ma uno spoglio ancor peggiore di quello dell'epoca coloniale perché adesso le armi sono più sofisticate e sono in possesso della maggiore potenza imperiale mai conosciuta; quindi, la situazione è in realtà molto critica.
I suddetti aspetti sono contenuti nel nostro documento e ciò che denunciamo è in essenza il sinistro proposito di stabilire o imporre una tirannia mondiale neofascista. Questo è un concetto che è stato ormai chiarito.
Gli scrittori e artisti di Cuba vogliono seminare idee, seminare coscienze, com'è stato proclamato nel 150 anniversario della nascita di José Martí.
Credo che le sedute del nostro Consiglio Nazionale siano state in realtà memorabili e non saranno le ultime; più avanti parlerò di un programma di lavoro, dobbiamo concretizzare gli accordi del Consiglio Nazionale.
Ricordo un eccellente intervento fatto lì dalla Dott.ssa Graziella Pogolotti, che affermava che sebbene si sia avanzato molto nella denuncia del programma neoliberale nel terreno economico, bisogna anche frenare, smontare il pensiero dell'estrema destra e della sua dottrina neofascista, e poi ho ricordato un incidente in cui un noto nazista nell'anno 1936 fece una brutale affermazione: "Quando sento la parola cultura, tiro fuori il mio revolver", ed ecco qui Roberto Fernández Retamar, il quale nel Congresso Culturale dell'Avana, nel 1968, rispose a questa affermazione fascista per tutti i tempi con una affermazione umanista per tutti i tempi: "Quando sento la parola fascista, tiro fuori la mia cultura". Cioè, che adesso dobbiamo mobilitare il talento, le idee, il pensiero. La riflessione deve imporsi e aprire la via affinché possiamo creare un fronte antifascista su scala universale.

Randy Alonso — Un fronte, Carlos, che – come dice questo stesso documento – deve far fronte al programma di espansione che regge quest'aggressione e che è stato elaborato dall'estrema destra nordamericana, erede del pensiero di coloro che – all'epoca – furono denunciati, con sorprendente visione storica, da José Martí. Questa posizione dell'intellettualità cubana ha le sue origini e la sua base nel pensiero del nostro Eroe Nazionale.
Sulla politica imperiale nordamericana, la riflessione che José Martí fece più di un secolo fa, ci parlerà il notevole studioso dell'opera di Martí e grande intellettuale cubano, Cintio Vitier.

Cintio Vitier — Faremo alcune considerazioni su come Martí vide la politica nordamericana.
Tutti sappiamo quali erano gli Stati Uniti che Martí ammirò e amò: gli Stati Uniti di Lincoln, che lui chiamò "il taglialegna dagli occhi pietosi"; dei grandi poeti, dei grandi pensatori nordamericani; dei lottatori sociali, ovviamente degli abolizionisti; dei filantropi, degli indiani, dei negri.
Ad esempio di ciò che diciamo, di come lui vide la politica della sua epoca e di come previde il futuro, abbiamo un articolo veramente sorprendente, del 1885, intitolato: La politica di aggressione, dove dice cose come queste: "... questi nuovi tartari che saccheggiano e devastano all'usanza moderna, su locomotive; questi colossali ruffiani, elemento temibile e numeroso di questa terra sanguigna, intraprendono la loro politica di pugilato, e, appena arrivati dalla selva, come nella selva vivono nella politica, e dove vedono un debole lo divorano, e venerano in sé la forza, unica legge alla quale ubbidiscono, e si guardano come sacerdoti di essa, e come con certa superiore investitura e innato diritto a prendere quanto la loro forza raggiunga".
Ecco realmente la radice di questo tipo di politica che ovviamente si è intensificata fino ai nostri giorni; ma, contemporaneamente, Martí, alcuni anni dopo, a proposito dei piani che lui prevedeva preparavano Stati Uniti per intervenire nella guerra di Cuba, nella guerra che lui organizzava, sto parlando dell'anno 1889, si riferisce a questi piani e dice:
"Non c'è cosa più vigliacca negli annali dei popoli liberi né malvagità più fredda". Ormai lui percepiva un altro elemento che si approprierà a poco a poco della politica nordamericana: la freddezza, l'astuzia, e ciò ci ricorda, e ci sconvolge pensare alla sentenza di José de la Luz y Caballero: "La freddezza, materia prima della malvagità".
È evidente che le previsioni di Martí sul cosiddetto "destino manifesto" raggiungono nei nostri giorni una conferma catastrofica, a parte il fatto che, in realtà, vediamo la possibilità di un contropeso che ci riempie di speranza nel parte più sana del popolo nordamericano: nella coscienza dei suoi intellettuali, dei suoi artisti, che, inoltre, aderiscono, senza dubbio, a un reclamo, per la prima volta universale, contro la guerra.
Si percepisce sempre di più il legame tra alcuni successi.
Il brillante intervento che ha fatto il nostro Ministro degli Esteri nell'ambito del Consiglio Nazionale dell'UNEAC ha mostrato e dimostrato l'astuta, fredda e non meno intuitiva pianificazione della superpotenza che intende appropriarsi del pianeta come di un tutto indistinto.
Ormai la politica di aggressione sta diventando una politica di smantellamento e assoluta distruzione e di fronte a questi successi e a questa situazione paurosa a livello mondiale, non è esagerato denunciare la sua essenza fascista o nazifascista, come ci diceva ieri Fidel, con l'aggravante di una ipocrisia, figlia proprio della freddezza, che non praticarono né Hitler né Mussolini.
La bandiera che adesso si sventola come simbolo di lutto universale è niente meno che la "democrazia". A stringere le file in un fronte internazionale antifascista, come quello che si propone in questa dichiarazione, in questo documento dell'UNEAC, ci costringono i nostri eroi, i nostri martiri, i nostri pensatori, i nostri artisti, i nostri poeti fondatori, in quanto portavoce e parte essenziale del nostro popolo; loro sono, di fatto, da Varela passando a Martí e fino ai nostri giorni, questo fronte in noi, dentro di noi.
Anche loro ci spingono a credere con Martí nel miglioramento umano, impedendo nei nostri atti – e ciò mi sembra essenziale–, ogni macchia di odio e mettendoci sempre di più al servizio dei poveri della terra.

Randy Alonso — Retamar, Cintio Vitier evocava la radice di questa posizione degli intellettuali cubani che ci viene da Martí; ma, insieme a Martí, ci sono altri importanti precedenti che accompagnano l'appello dell'intellettualità cubana a un fronte antifascista internazionale, e vorrei che lei, partendo da questa evocazione storica, ci aiutasse a capire i precedenti e anche le basi di questo appello dei nostri scrittori e artisti.

Roberto Fernández Retamar — Cintio, in maniera magnifica, ha segnalato il ruolo fondamentale delle analisi di Martí sugli Stati Uniti, analisi in cui lui seppe distinguere sempre, con assoluta chiarezza, tra quello che chiamò la patria che amiamo, quella di Lincoln, e la patria a cui temiamo, quella di Cutting: e questa è una linea dalla quale non si allontanò mai.
Persino prima di Martí c'erano state delle singolari previsioni dei mali che potevano arrivarci dai giovani, ma ormai rapaci, Stati Uniti. Una di quelle previsioni la fornisce lo stesso Bolívar, ed è citata nel documento dell'UNEAC, sei anni dopo l'emissione nel 1823 della Dottrina Monroe. Bolívar, in una lettera, scrive: "Gli Stati Uniti sembrano destinati dalla Provvidenza a coprire l'America di miserie in nome della libertà". E questo ha a che vedere con ciò che Cintio diceva: con l'ipocrisia, cioè, utilizzare termini come democrazia e libertà per mascherare i veri propositi.
Poco dopo sarebbe stata emessa la dottrina del "destino manifesto", e si può dire che la dottrina del "destino manifesto" e la dottrina Monroe continuano ad essere essenziali nella politica estera degli Stati Uniti. Alla nostra America è toccato il triste privilegio di essere la cavia iniziale di questa politica. Oggi questa politica coinvolge tutto il pianeta e per questo abbiamo lanciato un appello per la creazione di un fronte mondiale contro il neofascismo.
Rispetto a Martí, prima di affrontare altri esempi, vorrei ricordare anche le indispensabili analisi fatte da lui a proposito delle prime Conferenze Panamericane, quelle del 1889 e del 1890 e anche quella del 1891, a Washington. Citerò solo alcune righe relative a quest'ultimo congresso.
Martí disse: "Credono nella necessità, nel diritto barbaro come unico diritto: questo sarà nostro perché ne abbiamo bisogno". Non si può esprimere con meno parole e più chiarezza lo scopo, in vigore ancora un secolo dopo.
L'imperialismo continuò a svilupparsi – Martí lo vide nascere, forse le sue analisi sull'imperialismo furono le prime – in tutto il mondo, e ciò lo portò ad assumere un atteggiamento antimperialista crescente.
Nel 1927 si tiene a Bruxelles un memorabile congresso antimperialista, dove partecipò Julio Antonio Mella, il cui centenario stiamo commemorando. Mella lesse lì delle relazioni che erano state redatte dal fraterno Rubén Martínez Villena. Quello fu un congresso veramente importante, a cui inviarono messaggi e saluti personalità come Einstein, ad esempio, e parteciparono lottatori che ebbero dopo un ruolo molto importante nella storia.
Tuttavia, se vogliamo insistere sui precedenti ancora più specifici della nostra posizione, della nostra dichiarazione, sarebbe necessario pensare al momento in cui l'aperto fascismo diventa una forza d'invasione nel pianeta. Sappiamo che nel 1922 si stabilì per la prima volta in Italia il fascismo, sotto il governo di Mussolini, e nel 1933, in una forma ancora più aggressiva, più barbara, nella Germania hitleriana, la Germania dei nazisti, e questa presenza del fascismo, che come un'ombra si estendeva sul pianeta, fa sì che un gruppo di intellettuali decidano di tenere a Parigi il Primo Congresso di Intellettuali Antifascisti, il Primo Congresso in Difesa della Cultura.
Questo congresso tenutosi a Parigi, nel 1935, sicuramente sarà evocato altre volte in questa tavola rotonda. Lì si fecero interventi importanti come quelli di Bertolt Brecht.
Due anni dopo il fascismo crebbe ancora di più, fece presa con il suo artiglio sulla Spagna repubblicana, scatenandosi nel 1936 l'infausta Guerra Civile spagnola; e allora, nel 1937, ebbe luogo il Secondo Congresso di Intellettuali Antifascisti, un Secondo Congresso in Difesa della Cultura, soprattutto a Valencia ed ebbe continuità anche a Parigi. Questo congresso fu importantissimo, García Márquez lo ha chiamato "uno dei pochi congressi di questa natura veramente trascendente nella storia dell'umanità".
Cuba ebbe il privilegio di essere rappresentata in questo congresso da figure eminenti come Alejo Carpentier, Nicolás Guillén, Juan Marinello, Félix Pita Rodríguez, Leonardo Fernández Sánchez.
Fu un congresso che riunì numerosi intellettuali di prima fila di tutto il mondo, e si realizzò sotto le bombe; questo congresso avvenne in mezzo al combattimento per la libertà che portava avanti il magnifico popolo spagnolo, ma che purtroppo non ebbe successo.
Per citare alcuni precedenti della nostra dichiarazione bisogna sottolineare questo congresso, e non siamo stati noi gli unici a sottolineare un precedente di tale natura.
Purtroppo, il mondo ha visto rinascere il fascismo che era stato abbattuto militarmente nel 1945 e siamo davanti all'espansione del neofascismo, ed è molto bello – e l'ha detto Carlos e sicuramente verrà menzionato ancora una volta – che un numeroso gruppo di rinomati intellettuali statunitensi abbia ripreso la bandiera del rifiuto a tali prepotenze, e parlo concretamente del manifesto citato in precedenza "Non nel nostro nome", un manifesto sottoscritto da molti dei più brillanti intellettuali statunitensi.
Penso a figure come Edward Said, a cui si farà un omaggio fra 48 ore, perché si compiono 25 anni dalla pubblicazione del suo grande libro Orientalismo; penso a Noam Chomsky; penso a moltissimi artisti del cinema, molto coraggiosi, i quali saranno sicuramente menzionati ancora una volta in questa tavola rotonda.
Il suddetto manifesto praticamente non ha paragone nella storia degli Stati Uniti. Mi ricorda il Manifesto dei 121, dei francesi, agli inizi degli anni '60, quando appoggiarono la guerra di liberazione dell'Algeria; ma l'attuale è molto più numeroso. Secondo i dati di cui dispongo, oltre 20.000 persone hanno sottoscritto già il documento, un documento che all'inizio non trovava il modo di essere pubblicato perché la stampa non voleva farlo negli USA, e alla fine hanno dovuto acquistare una pagina di un giornale per pubblicare la dichiarazione, che dopo è stata pubblicata di nuovo e ha avuto un'enorme ripercussione.
Ad esempio, in Europa qualche tempo dopo venne pubblicato un manifesto intitolato "Contro la barbarie", e questo manifesto dice esplicitamente: "Facciamo nostro l'appello "Non nel nostro nome" degli intellettuali, uomini e donne, statunitensi che si rifiutano di permettere al loro governo di portare avanti a loro nome i suoi piani di spoliazione e di sterminio", ecc. Cioè, questo ha avuto una ripercussione europea.
E ancora più recentemente – non è stato ancora pubblicato dai nostri mezzi come si deve – si è fatto conoscere, all'inizio del mese in corso, un manifesto del cosiddetto Comitato Internazionale di Intellettuali contro la Guerra, sempre con lo stesso spirito, solidarizzandosi con gli intellettuali statunitensi, e questo nuovo manifesto è sottoscritto soprattutto dagli intellettuali dell'America Latina.
Faccio riferimento a questi precedenti perché il nostro non è un atteggiamento solidale esclusivo, anzi, siamo consapevoli che facciamo parte di un coro, di un fronte che si oppone vivamente al neofascismo e che ha una grande accoglienza tra i popoli di tutto il mondo.
Milioni di uomini e di donne hanno sfilato nel monto intero contro la guerra e in favore della pace, migliaia di intellettuali firmano documenti, realizzano opere d'arte, partecipano a svariate manifestazioni.
Il nostro gesto – ripeto – si aggiunge a moltissimi altri gesti e siamo certi che malgrado l'assenza di un argine militare contro il neofascismo, l'argine dei popoli, l'argine dell'opinione pubblica, l'argine degli intellettuali sarà sufficiente a impedire che il neofascismo trionfi sul pianeta e, quindi, metta a repentaglio la specie umana.

Randy Alonso — Grazie Retamar delle sue riflessioni.
Se la filosofia di Hegel, Nietzche, Schopenhauer diede vita e passione ai creatori dell'olocausto del XX secolo, soggetti meno culti e di minor spessore intellettuale, ma più pragmatici, incoraggiano la banda fascista del XXI secolo.
Autori preferiti dell'attuale amministrazione nordamericana sono il bostoniano Henry Cabot Lodge, il quale affermò che "nel XIX secolo nessun popolo ha uguagliato le nostre conquiste, la nostra colonizzazione e la nostra espansione e adesso niente ci fermerà"; lo è anche Marse Henry Watterson, il quale ha dichiarato che "gli Stati Uniti sono una grande repubblica imperiale destinata ad esercitare un influsso determinante sull'umanità e a plasmare il futuro del mondo come non l'ha mai fatto nessun'altra nazione, neanche l'impero romano": o Charles Krauthenmer, il quale di recente ha pubblicato sul giornale The Washington Post: "Gli Stati Uniti cavalcano per il mondo come colosso. Dall'epoca in cui Roma distrusse Cartagine nessun'altra grande potenza ha raggiunto le cime a cui siamo arrivati noi. Gli Stati Uniti hanno vinto la guerra fredda, si sono messi in tasca la Polonia e la Repubblica Ceca e dopo hanno polverizzato la Serbia e l'Afganistan e, nel frattempo, hanno dimostrato l'inesistenza dell'Europa".
O anche Zigniew Brzezinski, che ha dichiarato che "l'obiettivo degli Stati Uniti dev'essere quello di mantenere i nostri servi in uno stato di dipendenza, garantire la docilità e la protezione dei nostri sudditi e prevenire l'unificazione dei barbari".
È la dottrina che regge l'attuale amministrazione nordamericana, la quale si pone – come diceva Retamar – un nuovo "destino manifesto": instaurare una dittatura fascista mondiale; un neofascismo e una dittatura che è incoraggiata e che indirizza verso le grandi masse un vasto potere mediatico. Questo vasto potere mediatico è stato utilizzato durante tutta l'attuale amministrazione e ha avuto, senza dubbio, un ruolo fondamentale in questa guerra contro l'Iraq, in cui i mass media sono stati una nuova arma della battaglia sofisticata e tecnologica degli Stati Uniti.
Rispetto al ruolo di questo potere mediatico nell'instaurazione del neofascismo nordamericano, vorrei sentire le riflessioni di Elíades Acosta in questa tavola rotonda.

Elíades Acosta — È molto interessante sentire, ad esempio, il nome di Henry Cabot Lodge, che hai citato. Fu uno dei grandi amici di Roosevelt e uno dei promotori dell'invasione nordamericana e dell'espansione nel 1898, cominciando così il cosiddetto "Secolo Americano", che proprio in questi giorni entra in una fase qualitativamente diversa con la guerra contro l'Iraq.
Nella Dichiarazione dell'UNEAC si afferma, con grande ragione, che alla guerra preventiva e alla guerra lampo si aggiunge, da parte degli Stati Uniti, un potente sistema di propaganda e disinformazione.
Ho qui un libro che vale la pena ricordare, e anche questo viso (mostra il libro con l'immagine di Hitler), perché penso che possa essere uno dei libri preferiti di questi signori, mi riferisco al libro La mia lotta, di Adolfo Hitler. Credo anche che valga la pena rifarsi a questa ideologia, perché è quella che si diffonde nel mondo attuale.
Il fascismo fu molto abile nell'usare a propri fini tutti gli strumenti di propaganda, che erano primitivi paragonati a quelli che esistono attualmente, per la disinformazione.
Citerò tre esempi di quei momenti, di quel fascismo di Hitler: ad esempio, l'uso di concetti come nazionalsocialismo per definire il suo regime, pur essendo proprio un partito della borghesia che voleva frenare lo sviluppo del socialismo e del comunismo in Europa e nel mondo; l'uso dei colori nero e rosso nei suoi emblemi, che erano colori solitamente utilizzati come simboli nella lotta operaia, e delle parole "compagno" e "camerata" per il trattamento tra i fascisti.
Questo dimostra l'astuzia, la freddezza alle quali faceva riferimento Cintio, di tali ideologi. È molto noto il lavoro di Goebbels ed è noto anche tutto quanto raccomandò sull'uso della bugia per poter dominare le masse.
Comunque, la macchina di propaganda che stiamo vedendo oggi riprende quelle esperienze e le porta a livelli insospettati. Siamo testimoni non solo di come si nasconde la verità, ma di come si cerca che lo spettatore normale, l'uomo che riceve i messaggi mediatici si mantenga passivo e, quindi, diventi un complice della barbarie e del crimine.
Retamar si riferiva prima al caso del Congresso di Parigi, del Primo Congresso in Difesa della Cultura, e mi piacerebbe citare alcune parole pronunciate da Bertolt Brecht, il grande drammaturgo tedesco, in quel congresso, quando il fascismo si espandeva in Europa e lui metteva in guardia su di un meccanismo di dominazione di massa, un meccanismo psicologico usato allora e che si usa anche in questo momento. Cito Bertolt Brecht: "Un uomo è colpito e lo spettatore della scena sviene. Certamente è naturale. Quando il crimine giunge come la pioggia, nessuno grida più: 'Basta!' Non esiste mezzo per impedire all'uomo di voltarsi davanti all'abominazione? Perché si volta? Si volta perché non vede alcuna possibilità d'intervenire; l'uomo non si ferma davanti al dolore dell'altro se non può aiutarlo... "
Ecco il meccanismo, anzi, uno dei meccanismi di dominazione e di disinformazione che abbiamo menzionato.
Comunque, le suddette manifestazioni dimostrano che il meccanismo di dominazione non è infallibile e che molte persone sentono che sono in grado d'influire sull'andamento della politica universale.
Comunque, nel caso del Venezuela, ad esempio, molto conosciuto dal pubblico cubano, e adesso nel caso dell'Iraq, si è evidenziata una cosa molto interessante riguardo ai metodi di dominazione e alla bugia, tanto utilizzati dal fascismo, e cioè che i meccanismi di dominazione sono diventati trasparenti. Questo vuol dire che le persone hanno potuto approfondire e sperimentare da sé come avviene questo colossale inganno e come si cerca di falsare la verità per raggiungere la passività e complicità dei popoli.
Ormai è difficile ingannare usando la stessa formula, e credo che questo sia uno dei possibili vantaggi collaterali che ci ha portato un conflitto tanto disastroso come quello dell'Iraq.
Mi piacerebbe anche parlare brevemente – e la dottoressa Graziella Pogolotti lo ha riferito molto bene nella riunione straordinaria del Consiglio Nazionale dell'UNEAC –, di ciò che vi è dietro la guerra e dietro questa rinascita del fascismo, e ho nelle mie mani un documento di giugno del 1997 intitolato "Programma per un nuovo secolo americano". È un programma – ripeto – del 1997, redatto da un gruppo di falchi, un gruppo di quello che sarebbe stato "il partito della guerra", che ha portato il loro paese alla guerra contro l'Iraq e che è dietro alle prossime aggressioni che avranno luogo, tra cui Elliott Abrams, William Bennett, Jeb Bush, Dick Sheeny, Francis Fucujama, quello della Fine della storia; Dan Quayle, Donald Rumsfeld e Paul Wolfowitz.
Il presente documento è la piattaforma ideologica di quello che stiamo vedendo, questa guerra è il suo braccio armato; ma il pensiero, la riflessione che sostiene quanto accaduto parte dal dire che la dottrina di sicurezza nazionale degli Stati Uniti si trova in una tappa di decadenza – erano i tempi dell'amministrazione Clinton – e che è necessario adottare misure rigorose per garantire il futuro secolo americano, cioè, quello in cui viviamo adesso. È molto interessante, perché nel documento si parla spesso della guerra preventiva.
Noi tutti ricordiamo i film Western, laddove sopravviveva soltanto colui che sparava per primo, i più veloci e i più forti. Siamo, ancora una volta, all'epoca della "Legge del Revolver", solo che su scala universale e con missili Tomahawh.
Ecco un'altra cosa, che ha a che vedere con questo tema, una dichiarazione di un ufficiale del FBI del settembre 2002, dove cerca di spiegare a un gruppo di bibliotecari nordamericani perché l'FBI aveva il diritto di accedere ai registri delle richieste di letture dei loro utenti. È stato un tentativo infruttuoso, non riuscito, i bibliotecari non si sono lasciati convincere, non hanno potuto neanche finire la loro discussione; ma la cosa interessante è l'argomento usato da questo ufficiale, che dimostra la vigenza della "Legge del Revolver".
Cito:" In passato, quando mettevamo qualcuno in carcere era perché aveva commesso un crimine. Adesso, mettiamo una persona in carcere per prevenire un attacco terrorista". Ciò vuol dire che qualunque persona o paese, sebbene non abbia commesso alcun delitto, può essere punito.
In questa piattaforma del progetto "Per un nuovo secolo americano" ci sono, infatti, dei concetti che illustrano molto bene quello che stiamo spiegando.
Ad esempio, si ripetono dei concetti da brivido: difesa preventiva, leadership globale, approfittare di sfide e opportunità, siamo indefessi di fronte alle minacce globali, bisogna promuovere i principi americani; bisogna avere prudenza nel modo in cui si esercita il potere, ma non possiamo cessare di esercitarlo per paura dei costi che ci può cagionare; è vitale per gli Stati Uniti mantenere il ruolo attivo nella difesa della pace nel mondo". Per loro il mondo si riduce all'Asia, all'Europa e al Medio Oriente, né l'Africa né l'America Latina vengono menzionati espressamente nel documento.
"Bisogna colpire prima che nascano le crisi, bisogna rafforzare i legami con gli alleati democratici" – ormai conosciamo gli alleati tradizionali degli Stati Uniti – "bisogna sfidare i regimi ostili agli interessi e ai valori degli Stati Uniti" – vale a dire, che quanto hanno fatto con il governo iracheno fa parte di questa strategia – "bisogna promuovere la causa della libertà politica ed economica" – il neoliberismo e la globalizzazione –, "bisogna estendere un ordine favorevole alla sicurezza, alla prosperità e ai principi degli Stati Uniti", e concludono con una citazione tanto eloquente che non posso fare a meno di leggere, cito: "Tale politica reaganiana" – molti di loro sono stati funzionari di Reagan e di Bush padre –, "di rafforzamento militare e di chiarezza morale" – cioè, di esprimere apertamente quello che vogliono e cosa faranno –, "può darsi che non sia più di moda, ma è necessaria affinché gli Stati Uniti mantengano i successi dello scorso secolo e accrescano la nostra sicurezza e la nostra grandezza nel prossimo".
Un paese democratico non parla mai di grandezza, sono gli imperi a parlare di grandezza.
Penso a quanto accaduto a Baghdad come risultato della guerra, la distruzione, il saccheggio... Abbiamo visto scene dantesche che hanno molto addolorato gli uomini sensibili e, soprattutto, gli intellettuali e gli artisti di tutto il mondo, sono stati saccheggiati 174.000 oggetti patrimoniali, la storia di oltre 7.000 anni dell'Iraq; il Museo Nazionale, il Museo Archeologico, il Teatro di Baghdad, si parla oggi – giungono notizie molto tristi – del saccheggio ed eventuale incendio della Biblioteca Nazionale dell'Iraq, tutto ciò con una strana complicità dell'occupante militare, con una strana passività da parte sua.
Gli Stati Uniti sono esperti in controllo di moltitudini, sono esperti in coprifuoco, sono esperti in legge marziale; tuttavia, non hanno potuto applicare niente di ciò a Baghdad, nel cui caso vediamo – a mio avviso – un tentativo di imbarbarire un popolo che ha opposto una resistenza inaspettata. Attaverso la stampa cercano proprio di dimostrare con questi metodi degradanti che questo popolo è propenso al furto, al saccheggio, alla distruzione, che questo popolo non ha alcuna cultura.
Ci sono molti precedenti, ad esempio, nella prima occupazione militare nordamericana a Santiago de Cuba, nel 1898, saccheggiarono, distrussero, rubarono, portarono qui specialisti della biblioteca del Congresso per fargli caricare i libri che saccheggiavano, portarono via reliquie religiose, capolavori d'arte, barattarono valori patrimoniali della popolazione affamata con generi alimentari, portarono via souvenirs. Lo stesso che hanno fatto adesso con la statua di Saddam, ad esempio, a Santiago de Cuba lo fecero con l'Albero della Pace, fu necessario custodirlo per evitare che continuassero a distruggerlo.
Quindi, siamo dinanzi a una profonda filosofia dello spoglio e della bugia, e credo che ciò dimostri che stiamo entrando in epoche terribili e che ogni uomo e donna sensibile del pianeta dev'essere all'erta, come lo sono stati i popoli a partire dal Congresso di Parigi nel 1935, o da quello di Valencia nel 1937, di fronte alla barbarie, che non è altro che la nuova filosofia dell'imperialismo nordamericano e dei suoi alleati.

Randy Alonso — Una filosofia, Elíades, al cui riguardo leggevo proprio oggi sul giornale The New York Times, un articolo di opinione, di William Saffire, uno dei giornalisti più importanti del The New York Times, rappresentante di quell'estrema destra nordamericana, intitolato: "La miglior difesa", ed è la difesa a oltranza realizzata da questo uomo di ciò che chiama politica preventiva.
Nel suddetto articolo fa riferimento al famoso campione dei pesi massimi nordamericano Jack Dempsey, che diceva che la miglior difesa era una buona offensiva, e dice William Saffire: "Ecco l'essenza della nostra politica di prevenzione, gli Stati Uniti non aspetteranno a guadagnarsi la simpatia del mondo in qualità di vittima, ma si difenderanno attaccando per primi", e si tratta di un articolo in difesa di ciò che propugna l'amministrazione neofascista: trasformare l'attacco preventivo nella propria dottrina politica estera nei confronti del mondo, ed è questa – secondo loro – la miglior difesa del popolo nordamericano. È la stessa politica di Hitler all'epoca in cui governava in Germania e in cui proclamava anche il bisogno dell'attacco preventivo, per difendere il popolo tedesco e imporre la sua superiorità.
Ovviamente sono le connessioni di questa amministrazione nordamericana, non solo con il pensiero dell'estrema destra, ma anche con il pensiero propugnato dal fascismo hitleriano.
La ringraziamo dei suoi commenti, Elíades.

(Video con immagini sul tema)


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