Cuba

Una identità in movimento


Changó: divinità del fuoco della Santería cubana

Yohanka Alfonso Contreras


"En la integración cultural de América Latina y el Caribe operó
fundamentalmente, un proceso de sincretización de funciones sociales
interactuantes entre sí. Este camino ortizano de "mulatez"
no es el de una simple suma, menos aún una cantidad promedial sustitutiva"
(L. Argeliers, Continuidad cultural africana en América, in "Anales del Caribe",
Casa de las Américas, La Habana, 1986, p. 116).


A lungo Cuba ha rappresentato uno dei più importanti scenari della Tratta schiavistica. Gli schiavi negri provenienti dall'Africa, sbarcati sull'isola, portarono con sé le loro credenze, le loro divinità, filosofie e costumi di vita e con queste qualità, sin dai primi anni del XVI secolo, nutrirono il panorama culturale cubano.

Nell'intreccio delle diverse contaminazioni che ci identificano, il negro africano portò in tutto il continente americano la ricchezza culturale dell'Africa Occidentale, Dahomey, Nigeria e regione Bantú. La danza, la musica, la religione, la cosmogonia africane trovarono nelle nostre terre quel terreno fertile che favorì la continuità e l'arricchimento del pensiero magico-religioso di cui la "Santería" cubana o "Regla de Ocha" è l'inequivocabile risultato.

Incrocio, simbiosi, fusione, sono termini che non riescono a definire sufficientemente il fenomeno, perché Cuba è mulatta per genesi e per "idiosincrasia" e perciò, il fenomeno della "Santería", pur nascendo da radici africane, cresce con un'essenza cubana immersa in nuovi codici culturali che sostanziano questa originaria pluralità. Il pantheon di "orichas" o divinità della "Santería" acquista così una connotazione propria, maturandosi nella cornice di valori risultanti dal complesso fenomeno della transculturazione che va ad arricchire il processo dialettico verso una nuova qualità, ossia, verso una religiosità che sorge sulla base di un cambio sistemico ed integrale.

Malgrado siano stati vari i gruppi etnici africani che contribuirono ad apportare nutrimento alla "Santería", l'influenza yoruba fu senza dubbio quella che assunse una posizione egemone sul resto e che, "camuffandosi" sotto le influenze del cattolicesimo, venne a dotarsi di un meccanismo di resistenza fatto di nuovi codici socio-religiosi che permisero di fronteggiare la nuova realtà.

La "Santería" ha conservato la sua essenziale relazione con la natura e, come elemento fondamentale, il culto alle sue forze, rappresentate dagli "orichas" o divinità (e loro attributi), i quali hanno il potere di intercedere verso Olofín (dio onnipotente, creatore supremo del mondo) e premiare o castigare gli esseri umani per le loro azioni.

Per parlare di Changó, "oricha" che rappresenta il fuoco, bisogna precisare alcuni aspetti importanti della "Santería", come l'insieme dei valori della pratica e dei principi fondamentali con cui opera, perché il pantheon degli "orichas" attua con modalità tangibili e mondane. Questi Dei assumono comportamenti nei quali ci riconosciamo umanamente, lodevoli e deplorevoli, sia nei rapporti interpersonali, sia nella parola nella sua dimensione sociale, rituale e ideologica.


"Questo modo di concepire le divinità e i personaggi a cui si rende culto esprime tutto ciò che vi è di umano nelle storie che sorreggono queste concezioni; dietro queste, esiste un uomo che tenta di proteggersi da un ambiente ostile, estraneo, e in cui non esistono possibilità obiettive di realizzazione, e assume, come parte di un riflesso distorto della realtà, quei valori di carattere più permanente nella sua esistenza sociale. Queste divinità sono molto vicine all'uomo, e non sono né buoni né cattivi, né perfetti né imperfetti, né giusti né ingiusti, né pudici né impudici, semplicemente sono complessi come lo stesso uomo; per questa ragione non sono paradigmatici né offrono modelli rigidi per risolvere contraddizioni o antinomie... il dio nella Santería non soggioga né opprime: libera; non impone: orienta; non nasconde: rivela" (L. Menéndez, Estudios afrocubanos, Tomo 2, La Habana, Facultad de Artes y Letras, Universidad de La Habana, 1990, p. 17).


Conservare il passato, agire nel presente e proiettarsi nel futuro sono le importanti premesse che legano la pratica alla vita e così il susseguirsi dei vari momenti del nostro passaggio sulla terra.

La "Santería" nasce in un contesto di emarginazione, ma non per questo può esserne considerata una espressione, in quanto non esprime tale coscienza. Per il "santero" è importante la ricerca dell'armonia, elemento costante nella coscienza dell'uomo, per cui la pratica assume un carattere di flessibilità che nasce da questa stessa volontà e ha reso possibile la sua diffusione sia dentro che fuori Cuba.

La "Santería", a conferma delle diverse realtà che l'hanno caratterizzata, è permanentemente in contatto con l'ambiente; la quotidianità e la lotta contro la contingenza sono i suoi due pilastri fondamentali. E così, il culto dell'amore, la venerazione delle forze della natura e la necessità di sopravvivere con gli altri, sono elementi principali nell'uomo e nel suo rapporto con ciò che è sacro nella dimensione storica e culturale.

Il culto all'intelligenza come valore indispensabile, il potere concepito come astrazione e la necessità di preservare il sapere dando la priorità agli accadimenti quotidiani, sono nella pratica aspetti assai importanti.

Changó. Rappresentazione di orichas nel Museo Casa de África, La Habana. Foto: Carlo NobiliChangó, nella "Santería", si colloca gerarchicamente come Dio del Fuoco: la saetta e il tuono, il ballo e la bellezza virile sono la sua simbologia. In vita fu uno dei fondatori del regno di Oyó, un guerriero impavido, ma anche mondano, incline al comando, donnaiolo, attraente e litigioso.

È il dio della guerra e a lui appartengono i tamburi sacri "batá": Iyá, Itótele e Okónkolo, che vengono utilizzati per le cerimonie più importanti. Questo "oricha" viene continuamente chiamato per affrontare battaglie e per garantirsi il successo. Osaín[1] gli preparò una pozione perché sputasse fuoco e si liberasse dei suoi nemici; quando si sentono i tuoni si dice che è Changó che fa festa con le sue donne.

I suoi colori sono il rosso e il bianco; viene rappresentato come un uomo attraente ed alquanto spavaldo. Il suo trono naturale è la Palma Reale e da lì guarda tutto ciò che lo circonda, proteggendo i pescatori ed i guerrieri. È inoltre indovino e stregone, e non accetta figli codardi.

Sopera di Changó. Foto: Carlo Nobili Il suo "fundamento"[2] (o "otanes") è costituito da una "sopera"[3] in legno di cedro che viene collocata, fuori il "canastillero"[4] su di un mortaio rovesciato come a ricordare il momento in cui si unì agli altri guerrieri[5] nella lotta, abbandonando così il "canastillero". Tra i suoi attributi vi sono la doppia ascia o ascia bipenne (che simboleggia il potere della sua fertilità), il calice e la spada, elementi questi ultimi, che derivano dalla sincretizzazione di questo "oricha" con l'immagine cattolica di Santa Barbara.

Quando "monta" uno dei suoi figli, ossia, quando uno dei suoi "figli" viene da lui posseduto può trovarsi sottoposto a dure prove, come fare salti spettacolari, giravolte incontrollabili o toccare il fuoco. Si dice che questi siano volenterosi, energici, festaioli, bugiardi. In suo onore si sacrificano l'agnello, il gallo rosso, la quaglia, la tartaruga, e altri animali. In Changó si concentrano le più grandi virtù ed i peggiori difetti, rappresenta infatti il fuoco ma anche la protezione da esso, in sostanza è ambivalente come un qualsiasi mortale.

Altare a Changó in una casa di Regla, La Habana. Foto: Carlo NobiliColtivare l'"iguapelé"[6] è di fondamentale importanza nella Santería. Gli yoruba dicono che: "L'uomo che non coltiva l'iguapelé non ha nulla nella vita in quanto egli non riesce ad apprezzare nulla di essa". Changó è il paradigma di tale proverbio. La sua risata contagia e inganna e di tutti di tutto egli si burla. E come la solennità non è contraria al buon umore, nei "wemileres"[7] Changó invita cerimoniosamente a partecipare al ballo, spingendo gli spettatori a coinvolgersi nelle celebrazioni grazie alla musica, che funge da elemento di legame e di comunicazione nella relazione credente-divinità.

La complessità del legato di cui è depositaria la "Santería" si manifesta anche nella estrema eleganza delle vesti. Il "trono" di un iniziato al culto di Changó è di una straordinaria accuratezza; in esso domina il rosso nelle decorazioni e nelle vesti di gala che rappresentano l'"oricha" come un Re poderoso.


Changó nei "Patakíes"

Nell'insieme degli aspetti che caratterizzano Changó, svolgono un ruolo fondamentale i "patakíes"[8] che raccontano le sue prodezze e ci presentano un referente pieno di connotazioni magico-religiose, mettendo in risalto l'attitudine degli uomini nei confronti delle forze soprannaturali rappresentate nel proprio "oricha" e negli spiriti nel culto degli antenati, tutti considerati fonte per spiegare molti fenomeni osservati dagli uomini.

Questi "patakíes" continuano ancora oggi ad esercitare influenze determinanti dal punto di vista antropologico giacché sono l'espressione più genuina della tradizione orale, la memoria collettiva trasmessa di generazione in generazione e dell'acquisizione di quelle nozioni "simultanee" che caratterizzano i processi della transculturazione.

Uno di questi "patakíes" narra di come una volta il popolo stesse attraversando una profonda crisi vivendo in una immensa povertà, quando i "babalawos"[9] decisero di riunirsi per tentare di trovare una soluzione al problema. Di conseguenza dettero inizio alla consultazione divinatoria (registro)[10] e tutte le richieste risultarono negative. Si appellarono allora a Olofín. Questi consigliò loro di pregare, offrendo loro delle zucche ("elegddé") affinché si sfamassero. Gli "awos"[11] uscirono delusi non capendo perché Olofín, ricco com'era, gli avesse offerto solo delle zucche. Lungo la strada incontrarono Changó diretto anch'egli da Olofín. Gli consigliarono di non perdere il suo tempo. Egli ignorò il loro consiglio, e, apprezzando il dono di Olofín, prese la sua zucca, tornò a casa e andò al lavoro. Rientrato a casa, sua moglie gli comunicò che la zucca era piena di monete d'oro. Anche i "babalawos" vennero a conoscenza dell'accaduto e quando domandarono a Changó come fosse diventato così ricco, lui disse che era per la zucca. Gli "awos" tornarono da Olofín il quale chiese loro cosa avessero fatto delle zucche che gli aveva dato. Essi risposero che le avevano regalate, e Olofín disse: "Peccando di orgoglio avete ceduto a Changó la fortuna che vi avevo donato". Per questa ragione la zucca è considerata il salvadanaio di Changó.

Un altro "patakí" racconta di come Changó venne promosso al livello di "oricha" da Olofín dopo essere stato ammonito per la condotta da tiranno tenuta durante il proprio regno, comportamento del quale si è poi pentito; da quel momento, Changó governa dal cielo, lanciando saette, tuoni e tempeste e suscitando l'ammirazione di tutti sulla terra.

È attraverso i sistemi di divinazione e mediante i "patakíes" che il "santero" interpreta e comunica adeguatamente il volere degli dei. Le norme morali da essi derivate sono all'interno di un raggio d'azione umano. Di conseguenza le virtù stimolano il comportamento del credente e i suoi errori lo tengono allertato sulle conseguenze che ne possono derivare.

La "Santería" offre un livello di flessibilità che nasce dalla volontà di ricerca dell'equilibrio e del miglioramento delle condizioni umane, nell'arco degli elementi considerati sacri per il "santero", ossia la famiglia, la casa, i rapporti. La "Santería" permette la partecipazione ai suoi rituali anche a persone che non sono iniziate o credenti. Come sistema filosofico, la "Santería" dà spazio alla riflessione, al ragionamento ed alle trasgressioni, caratteristiche proprie degli "orichas" e degli esseri umani. Le "moyugbas" (preghiere) e le canzoni superano i limiti geografici e temporali, così come Changó non bada a frontiere lanciandoci i suoi fulmini e inviandoci le sue tempeste ovunque ci troviamo, a conferma del suo carattere dinamico e scherzoso.

Changó non è il fuoco che arde nell'inferno, è la fiamma della vita, è la vita stessa che non ci perde di vista per ricordarci il vecchio proverbio yoruba "Osé burukú, Olorum ri wo" ("L'occhio di Dio ti guarda quando non ti comporti bene").



Note

  1. Oricha signore e padrone della natura. Si manifesta come la natura stessa; possiede poteri magici dovuti alla sua conoscenza delle erbe.

  2. Attributi que vengono consacrati agli orichas e che sono oggetto di culto e venerazione. Vengono posti all'interno delle soperas o in qualche altro spazio limitato affinché siano protetti. Costituiscono uno degli esempi migliori del principio di omeostasi con il quale funziona la Santería, in una concezione concentrica che tende a proteggere orichas-attributi, casa, famiglia, etc. In questo caso parliamo di otanes, ossia le pietre raccolte a seconda dell'oricha (di fiume per Ochún, in riva al mare per Yemayá, nel bosco per Oggun, ecc.), per essere poi consacrate e diventare la connesione principale tra l'oricha e il "santero".

  3. Ricettacolo dove vengono riposti i fondamenti degli "orichas".

  4. Vetrinette in cui si ripongono i ricettacoli degli "orichas" con i relativi attributi.

  5. Nella "Santería" gli "orichas" guerrieri sono, oltre a Changó, Elegguá, Oggun e Ochosi.

  6. Concetto yoruba del buon carattere.

  7. Feste o celebrazioni varie della "Santería". Possono essere commemorative di determinate date importanti o semplicemente dedicate agli orichas per rendergli tributo.

  8. Vengono chiamati "patakíes" quei racconti (veri e propri miti) dove protagonisti sono gli "orichas". Essendo fortemente relazionata alla religione, i più grandi conservatori e conoscitori di questa letteratura sono quindi i "babalawos" e i "santeros" in generale. Attraverso i "patakíes" vengono raccontate le vicende dei diversi "orichas" e spiegate le origini di certi riti e tabu, ma il loro contenuto cosmogonico dà ragione anche della creazione degli uomini e degli animali, della apparizione della morte o anche, come in alcuni casi, delle scoperte tecniche dell'uomo.

  9. "Babalawo", letteralmente "padre del segreto" (dallo yoruba "baba", padre, e "awo", segreto), è il sacerdote della divinazione Ifá (o oracolo di Orula, oricha della divinazione) e gli unici ad essere autorizzati ad usare il tablero e la cadena de Ifá.

  10. Popolarmente si chiama "registrarse" quando si va da un sacerdote o iniziato alla "Santería" a chiedere una cerimonia di divinazione allo scopo di sapere ciò che gli accadrà.

  11. "Awos"="babalawos".



Yohanka Alfonso Contreras durante una Conferenza presso il Museo Nazionale Preistorico Etnografico Luigi Pigorini di Roma. Foto: Damiano RosaRelazione presentata il 22 settembre 2002 al Secondo Incontro sul Tema: "Tra Arno e Tevere. Il fuoco rituale nel folklore religioso e nel lavoro", tenutosi presso il Museo delle tradizioni popolari di Canepina (VT) ed organizzato da Quirino Galli, Coordinatore del Gruppo Interdisciplinare per lo Studio della Cultura Tradizionale dell'Alto Lazio
(Via Piave, 30 — 01100 Viterbo)


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