Questa è una informazione totalmente falsa, la cui intenzione non è altro che quella di portare acqua al mulino della costante campagna di attacchi e aggressioni contro la Rivoluzione cubana, alimentando quindi i pregiudizi della maggior parte dei lettori del giornale che non sempre hanno il tempo, la possibilità o l'interesse di corroborare la veridicità delle notizie che ricevono dai grandi mezzi di comunicazione.
Per fortuna, una nota pubblicata dal prestigioso intellettuale cubano Enrique Ubieta Gómez ci permette di fare luce su questo penoso episodio e di smontare la bugia ordita dal giornale madrileno (http://www.archivocubano.org/varia/zapata.html).
Nella nota si dimostra che il cosiddetto "prigioniero di coscienza" non era tale; proprio per questo non è mai apparso nella lista dei "prigionieri politici" elaborata dalla ormai sciolta Commissione dei Diritti Umani dell'ONU nel 2003, rimpiazzata — a causa dei suoi vizi e della sua manifesta arbitrarietà a servizio degli interessi degli Stati Uniti — dal Consiglio dei Diritti Umani. Come è possibile che un "prigioniero di coscienza" la cui identificazione con il progetto politico lo ha portato ad immolarsi per non tradire le sue idee, sia passato inosservato davanti agli occhi attenti della Commissione?
La risposta è semplicissima: Zapata Tamayo, ci dice Ubieta Gómez, era un detenuto comune i cui problemi con la giustizia sono iniziati nel 1988, ossia, quindici anni prima della stesura della famosa lista. Nella sua lunga carriera delittuosa è stato processato per "violazione di domicilio" (1993), "lesioni meno gravi" (2000), "truffa" (2000), "lesioni e possesso di arma bianca" (2000: ferite e frattura del cranio con un machete ai danni di una persona), "alterazione dell'ordine" e "disordini pubblici" (2002); come si può notare nessun capo di accusa ha a che vedere con la protesta politica, al contrario sono tutti delitti comuni.
In un momento di generosità, la giustizia cubana ha disposto che Zapata venisse liberato in libertà provvisoria il 9 marzo del 2003. Pochi giorni dopo tornò a delinquere e viene quindi nuovamente arrestato e condannato a tre anni di galera. Questa volta, però, la sentenza viene aumentata a causa della condotta aggressiva all'interno del penitenziario. Ed è proprio in questo preciso momento in cui avviene la sua miracolosa metamorfosi: il malvivente, più volte arrestato per numerosissimi delitti comuni, diventa un cittadino che decide di consacrare la sua vita alla promozione della "libertà" e della "democrazia" a Cuba. Astutamente reclutato dai settori della "dissidenza politica" cubana, sempre più desiderosa di avere un martire nelle sue magre file, lo incitò irresponsabilmente e con totale disprezzo della sua persona a portare a termine uno sciopero della fame fino alla fine, chissà in cambio di quali promesse che il tempo sicuramente non tarderà a chiarire.
Il caso di questa vittima è molto istruttivo per capire la moralità di coloro che lottano per "cambiare il regime" a Cuba; ma anche l'etica dei mezzi di informazione come El País e simili, che mettono il loro immenso potere mediatico, di formazione e deformazione delle coscienze, al servizio delle cause più ignobili. Ad esempio, nessuno dice che la disgraziata vita del suicida è stata visibilmente manipolata dalla "dissidenza" e dai loro mandanti che pretendono di far passare come "detenuto di coscienza" una persona che altro non era che un delinquente comune. Ovviamente mettono a tacere che la sedicente "dissidenza politica" è in realtà tutt'altro: il cavallo di Troia dell'anelata restaurazione della dominazione imperialista a Cuba.
Vengono chiamati "dissidenti" coloro che sono stati filmati mentre ricevevano ingenti somme di denaro all'interno della Sezione di Interesse degli Stati Uniti a L'Avana, per il finanziamento delle attività sovversive ai danni della Costituzione e delle leggi della Repubblica. Ossia, per lavorare insieme al governo di un paese che da circa mezzo secolo ha dichiarato guerra a Cuba, che mantiene contro l'isola un blocco economico criminale condannato all'unanimità dalla comunità internazionale e che ha messo in atto più di seicento tentativi di omicidio del leader della Rivoluzione cubana.
Come reagirebbe Washington se oggi sorprendesse un gruppo di cittadini, nell'Ambasciata dell'Afghanistan a Washington, che ricevono grosse somme di denaro, macchinari per la comunicazione e consigli pratici su come rovesciare il Governo degli Stati Uniti? El País riterrebbe questi sovversivi dei "dissidenti politici" o dei traditori della patria?
Inoltre, diversamente da quanto avvenuto con i mercenari cubani, la cosa più probabile è che gli statunitensi sarebbero stati immediatamente giudicati e accusati dell'infame delitto di tradimento della patria a causa della loro palese e antipatriottica collaborazione con una potenza nemica. Per molto meno di quanto descritto, la "democrazia statunitense" ha messo sulla sedia elettrica, nel 1953, i coniugi Julius ed Ethel Rosenberg, dopo un processo (come quello attuale contro i 5) che è stato una vera e propria beffa giudiziaria.
Niente di tutto ciò avviene a Cuba. E ovviamente l'opinione pubblica mondiale non viene informata a proposito. Nell'isola caraibica non esistono carceri segrete, legalizzazione della tortura, spostamenti di prigionieri per poi essere torturati in paesi terzi, desaparecidos, voli illegali, detenzioni arbitrarie senza processi e altre pratiche che invece vengono quotidianamente adottate nelle prigioni statunitensi e messe a tacere dalla "stampa seria" la cui missione è di informare. Per la stampa dell'impero, come El País, tutto ciò sono semplici minuzie senza importanza. Gli affari sono affari e se bisogna mentire, si mente mille volte con la certezza che le dà l'impunità conferitale dall'impotenza, dalla credulità e dall'apatia dei suoi lettori, addormentati dalla propaganda e diligentemente disinformati e abbruttiti dai grandi mezzi di comunicazione.
In un brillante passaggio de Il diciotto Brumario di Luigi Bonaparte, Marx diceva che, prima di diventare orfana, nella controrivoluzione bonapartista i quadri e gli eroi provenivano dal lumpenproletariato di Parigi. La stessa cosa avviene nei nostri giorni con gli autoproclamati leaders delle libertà e della democrazia a Cuba e con i loro complici della "stampa seria" internazionale. Quindi, se è necessario dire che Barabba era Gesù Cristo, si dice. E se c'è bisogno di dire che Zapata Tamayo era un "prigioniero di coscienza" si dice anche questo, senza nessun problema.
Traduzione dallo spagnolo di Violetta Nobili per la Rivista "Nuestra América"
Pagina inviata da Rivista "Nuestra América"
(1 marzo 2010)