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Conferenza di Cochabamba: Pacha Mama o muerte!
Domenico Vasapollo
La Conferenza di Copenaghen, del dicembre 2009, detta anche COP15 (Conferenza delle parti numero 15, cioè il quindicesimo incontro della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico) è stato un totale fallimento. Nel cosiddetto "Accordo di Copenaghen" infatti si permette ai paesi sviluppati di essere loro stessi a poter decidere le riduzioni dei gas effetto serra, ricorrendo ad impegni volontari ed individuali. Copenaghen è stato un fallimento per le sorti della Terra e dell'Umanità, è stato invece un successo per gli Stati Uniti d'America e per i paesi industrializzati dell'Europa. Doveva elaborare un accordo che fosse il successore del Protocollo di Kyoto, che scade il 2012, ma invece non solo non lo ha fatto, ma ne ha dichiarato sostanzialmente la sua morte.
Il Protocollo di Kyoto era un trattato internazionale volto a limitare le emissioni dei quattro principali gas ad effetto serra: anidride carbonica, metano, protossido di azoto ed esafluoruro di zolfo, e due gruppi di gas, idrofluorocarburi e perfluorocarburi. Le emissioni di questi gas causate dall'uomo trattengono il calore e sono perciò responsabili dell'aumento della temperatura terrestre degli ultimi decenni, così come le conseguenze associate, come ad esempio lo scioglimento dei ghiacci e l'innalzamento del livello del mare. L'obiettivo dichiarato per la riduzione dei gas ad effetto serra nell'ambito del Protocollo di Kyoto era stato in media del 5,2% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2012 per i 37 paesi industrializzati, compresi gli Stati Uniti. I metodi utilizzati per ridurre le emissioni erano stati aperti a diverse opzioni ed erano a discrezione di ciascun Paese. Fino a quest'anno 186 Paesi hanno ratificato il Protocollo. L'Unione Europea ha aderito al trattato nel 2002 (dopo cinque anni dalla sua ratifica e a 10 anni dalla sua scadenza), la Russia nel 2004 (dopo 7 anni dalla sua ratifica e a 8 anni dalla sua scadenza) e l'Australia nel 2007 (dopo 10 anni dalla sua ratifica e a 5 anni dalla sua scadenza). Gli Stati Uniti non l'hanno mai fatto. L'adesione della Russia ha di fatto permesso l'entrare in vigore del Trattato (dopo 7 anni dalla sua ratifica), in quanto questo è stato scritto in modo che non avrebbe avuto effetto se i paesi che rappresentano almeno il 55% delle emissioni non l'avessero approvato. Ciò significa che nessuno dei paesi che inizialmente hanno firmato il trattato sono stati effettivamente tenuti a rispettarlo fino a quando non avessero ottenuto le garanzie dagli Stati più grandi.
Copenaghen aveva l'obiettivo anche di rendere più accessibili le tecnologie pulite ai Paesi in via di sviluppo, nonché come evitare gli effetti della deforestazione e ridurre la tendenza al calo delle riserve forestali in alcune zone. Su tutto questo non si è raggiunto nessun accordo vincolante, ma solo un generico intento sulla necessità di limitare l'aumento delle temperature di massimo 2 gradi Celsius.
Soltanto di un successo di può parlare, cioè quello dei paesi in via di sviluppo che sono riusciti ad impedire la sigla di un accordo farsa, un accordo che non teneva conto delle opinioni dei paesi del sud del mondo.
È sempre più evidente come l'attuale crisi del capitalismo è una crisi di sistema. Questo è reso chiaro da una economia mondiale e da un sistema di produzione, insostenibile socialmente ed ecologicamente. Le emergenze ambientali, che costringono l'umanità a difendersi dalle privatizzazioni delle risorse naturali, dalla distruzione sfrenata di queste, dagli agrobusiniss, dall'alterazione irrimediabile degli ecosistemi, dai cambiamenti climatici, rendono evidente come il problema non sia inquadrabile nel conflitto uomo-natura, come l'ambientalismo per molti anni ha erroneamente individuato, ma nel conflitto capitale-natura.
Un conflitto che ci pone di fronte, con forza dirompente, il fine stesso del capitalismo che ha le sue basi nell'accumulazione e nel consumo, che interpreta le risorse naturali come proprie, le distruzioni ambientali come un male necessario o, ancor peggio, come un suo diritto. Con la stessa logica di come fa con i diritti dell'uomo e dell'umanità., di come sviluppa le nuove forme di imperialismo e colonialismo, di come usa la guerra e l'aggressione ai popoli. È per questo che il conflitto con la natura, come quello di genere, di razza, di migrazione, tra nord e sud del mondo, tra industrializzazione e ruralità è del tutto interno al conflitto capitale-lavoro e quindi interno al conflitto di classe. È così interno fino a diventarne forse il più evidente e comprensibile, fino a generare il punto acuto della crisi del capitalismo.
Parlare oggi di tematiche ambientali non è più prescindibile dalla critica al sistema economico capitalista, per contrapporre a questo una visione diversa della società che subordini il valore di scambio al valore d'uso, che organizzi la produzione in funzione dei reali bisogni sociali coniugati alla necessità di salvaguardia degli ambienti naturali, che eserciti un controllo democratico partecipativo su questi. A tal fine è irrinunciabile la pianificazione democratica degli scopi degli investimenti, che contempli la proprietà collettiva dei mezzi di produzione, che percepisca gli ambienti naturali come patrimonio dell'Umanità.
Tutto questo è stato alla base della "Conferenza Mondiale dei Popoli sul Cambio Climatico e i Diritti della Madre Terra" tenutasi a Cochabamba, in Bolivia, dal 19 al 23 aprile 2010. Una iniziativa del Presidente Evo Morales lanciata, dopo il fallimento della quindicesima Conferenza delle parti dell'accordo quadro Onu sui cambiamenti climatici tenutasi a Copenaghen nel dicembre 2009, con l' "Appello del Presidente Boliviano Evo Morales ai governi, ai movimenti sociali, scienziati, studiosi, per una Conferenza dei Popoli sul cambiamento climatico" del 5 gennaio 2010.
Nella sua convocazione il Presidente Evo Morales scrive:
"Considerando che il cambio climatico rappresenta una minaccia reale per l'esistenza dell'umanità, degli esseri viventi e della nostra Madre Terra come oggi la conosciamo; constatando il grave pericolo che esiste per le isole, le zone costiere, i ghiacciai dell'Himalaya, le Ande e le montagne del mondo, i poli della Terra, le regioni calde come l'Africa, le fonti di acqua, le popolazioni colpite dai disastri naturali crescenti, le piante e gli animali, e gli ecosistemi in generale; evidenziando che i più colpiti dal cambio climatico saranno i più poveri del pianeta che vedranno distrutti propri focolari, le proprie fonti di sopravvivenza e saranno obbligati a migrare e a cercare rifugio; confermando che il 75 per cento delle emissioni storiche di gas a effetto serra si sono originati nei paesi irrazionalmente industrializzati del nord; constatando che il cambio climatico è un prodotto del sistema capitalista; deplorando il fallimento della Conferenza di Copenhagen per responsabilità dei paesi chiamati "sviluppati" che non vogliono riconoscere il debito climatico che hanno con i paesi in via di sviluppo, le generazioni future e la Madre Terra; affermando che per garantire la piena realizzazione dei diritti umani nel secolo XXI è necessario riconoscere e rispettare i diritti della Madre Terra; riaffermando la necessità di lottare per la giustizia climatica; riconoscendo la necessità di assumere azioni urgenti per evitare più grandi danni e sofferenze all'umanità e alla Madre Terra, per ristabilire la armonia con la natura; sicuri che i popoli del mondo, guidati dai principi di solidarietà, della giustizia e del rispetto per la vita, saranno capaci di salvare l'umanità e la Madre Terra e celebrando il Giorno Internazionale della Madre Terra; il Governo dello Stato Plurinazionale della Bolivia convoca i popoli, i movimenti sociali e i difensori della madre terra del mondo, e invita gli scienziati, gli accademici, i giuristi e i governi che vogliono lavorare con la propria gente alla Conferenza Mondiale dei Popoli sul Cambio Climatico e i Diritti della Madre Terra che si realizzerà dal 19 al 22 aprile del 2010 nella città di Cochabamba, Bolivia".
Alla Conferenza di Cochabamba hanno partecipato oltre 15.000 delegati tra militanti, studiosi, intellettuali provenienti da 170 paesi, e 90 delegazioni in rappresentanza di altrettanti governi.
Durante la cerimonia di apertura il Presidente Evo Morales ha ringraziato i movimenti sociali di tutto il mondo e i popoli accorsi all'evento, "uniti dalla lotta per l'uguaglianza, la dignità e i diritti della Natura" e subito dopo, dando così l'esatta percezione dell'approccio a questa Conferenza, ha ringraziato i governi “venuti ad ascoltare la voce dei popoli”.
Nel suo discorso sono stati subito chiari gli intenti:
"Dobbiamo unire i nostri sforzi in difesa della Madre Terra. Rifiutiamo di piegarci agli interessi economici capitalisti che hanno affondato la conferenza di Copenhagen. Affinché questo non si ripeta lavoreremo tutti insieme all'articolazione di una proposta condivisa e concreta tale da poter incidere sulle politiche globali che minacciano la sopravvivenza del nostro pianeta".
Se le premesse sono state chiare, altrettanto chiare sono state le conclusioni. Infatti alla fine della Conferenza, che ha visto ben 17 gruppi di lavoro, è stato prodotta una dichiarazione finale chiamata "Accordo dei Popoli". In questa si può leggere:
"Sotto il capitalismo, la Madre Terra è diventata fonte solo di materie prime e gli esseri umani mezzi di produzione e consumatori, persone che valgono per quello di cui sono in possesso e non per quello che sono. Il capitalismo richiede una potente industria militare per il suo processo di accumulazione e controllo dei territori e delle risorse naturali, reprimendo la resistenza dei popoli. Si tratta di un sistema imperialista di colonizzazione del pianeta. L'umanità è di fronte a un bivio importante: continuare per la strada del capitalismo, della depredazione e della morte oppure intraprendere il cammino dell'armonia con la natura e del rispetto della vita".
"Per affrontare il cambiamento climatico dobbiamo riconoscere la Madre Terra come fonte di vita e plasmare un nuovo sistema basato nei principi di:
- armonia ed equilibrio tra tutti e con tutto;
- complementarietà, solidarietà ed equità;
- benessere collettivo e soddisfacimento delle necessità fondamentali di tutti in armonia con la Madre Terra;
- rispetto dei Diritti della Madre Terra e dei Diritti Umani;
- riconoscimento dell'essere umano per quello che è e non per quello che possiede;
- eliminazione di tutte le forme di colonialismo, imperialismo ed interventismo;
- pace tra i popoli e con la Madre Terra".
Ma la Conferenza di Cochabamba non ha prodotto nobili dichiarazioni di generici intenti, ha individuato chiaramente i responsabili delle crisi ambientali, ha prodotto obiettivi e azioni concrete sulle quali lavorare. Sono i paesi sviluppati e il capitalismo i responsabili storici e attuali dei disastri ambientali e spetta a loro la soluzione dei problemi. È per questo che la Conferenza esige che i paesi sviluppati ridiano ai paesi in via di sviluppo lo spazio atmosferico che è occupato dalle loro emissioni di gas effetto serra. Questo implica la decolonizzazione dell'atmosfera attraverso la riduzione e l'assorbimento delle loro emissioni. Che assumano i costi e il bisogno di trasferimento tecnologico dei paesi in via di sviluppo per la perdita delle opportunità di sviluppo derivanti dal vivere in uno spazio atmosferico ristretto. Che si rendano responsabili delle centinaia di milioni di persone che dovranno migrare a causa del cambiamento climatico da loro provocato ed eliminino le proprie politiche restrittive in materia di migrazione, offrendo ai migranti una vita dignitosa e con tutti i diritti nei loro paesi. Che assumano il debito di adattamento legato agli impatti del cambiamento climatico nei paesi in via di sviluppo. Che onorino questi debiti come parte di un debito maggiore con la Madre Terra, adottando e applicando la Dichiarazione Universale dei Diritti della Madre Terra nelle Nazioni Unite. Ma sopratutto pretendono che l'approccio debba essere non soltanto di compensazione economica, ma principalmente di giustizia restauratrice, ossia di restituzione dell'integrità alle persone e ai membri che formano la comunità di vita nella Terra.
Insomma non solo i paesi in via di sviluppo non hanno nessuna intenzione di pagare i costi della crisi, ma si individuano come coloro che stanno subendo i maggiori danni dei disastri sociali e ambientali del capitalismo, e da questo vogliono essere risarciti, non soltanto economicamente, ma sopratutto attraverso un nuovo ordine mondiale che superi il modello politico ed economico del capitalismo stesso. È questa la vera forza del vertice di Cochabamba.
Ma gli obiettivi sono anche a breve scadenza. Infatti sarà proposta l'approvazione della Dichiarazione Universale dei Diritti della Madre Terra davanti all'Assemblea delle Nazioni Unite, l'istituzione di un Tribunale Internazionale per la Giustizia Climatica ed Ambientale, la proposizione di un Referendum mondiale sul cambiamento climatico, la costituzione di un Fondo di Adattamento per affrontare il cambiamento climatico come parte di un meccanismo finanziario amministrato e gestito in maniera sovrana, trasparente ed imparziale dai paesi in via di sviluppo, la riduzione del limite entro cui contenere il surriscaldamento del pianeta a 1 grado Celsius invece che a 2 gradi come emerso a Copenaghen.
Proposte queste che verranno fatte proprie e difese nel tavolo delle negoziazioni ufficiali dai governi dell'Alba a Cancun, al prossimo vertice COP16 che si terrà nella città messicana a dicembre 2010.
A fine dei lavori della Conferenza, dal palco della cerimonia finale sul quale erano presenti anche il Presidente Hugo Chavez e il Vicepresidente di Cuba Juan Esteban Lazo Hernandez, Evo Morales ha dichiarato:
"Se non cambiamo il sistema capitalista qualunque misura decideremo di adottare avrà carattere limitato e precario. Dobbiamo costruire un nuovo sistema basato sulla armonia con la natura e con gli altri esseri umani. Non può esservi alcuna armonia in un modello in cui l'1% della popolazione mondiale concentra nelle sua avide mani il 50% della ricchezza del pianeta. Il potere di cambiare le cose risiede nella forza dei popoli. Solo i popoli uniti possono vincere contro i poteri economici e politici che impongono queste politiche di esclusione e di distruzione” ed ha aggiunto:” Se i governi del mondo non assumono la sfida di salvare il pianeta, saranno i popoli del mondo a doverlo fare".
Cochabamba è stata dunque una grande occasione per i paesi in via di sviluppo per smascherare definitivamente il vero volto del capitalismo, ma sopratutto per lanciare con forza l'opposizione dei popoli del mondo a questo sistema. Non è un caso che questa Conferenza si sia tenuta in Bolivia, e proprio a Cochabamba, dove un popolo ha dimostrato, nel suo percorso di raggiungimento del potere politico, che i movimenti sono stati in grado di dotarsi della loro organizzazione politica e della loro forma partito come strumento di realizzazione del cambiamento. Un paese, la Bolivia, capace di coniugare le teoriche marxiste e le esperienze socialiste del XIX e XX secolo, con il socialismo comunitario del Vivir Bien dei popoli originari, individuando come punto avanzato ed elemento discriminante proprio le questioni ambientali, realizzando la sintesi del Socialismo nel XXI Secolo.
"La sete di giustizia sociale, la capacità di costruire nuove forme di democrazia partecipativa stanno dando l'impulso alla maggior parte dei paesi dell'America Latina (che noi, come i suoi protagonisti, amiamo di più chiamare Nuestra America) per avviare un nuovo percorso dove al centro della scena politica si collochino i lavoratori, la natura e i popoli originari, la maggioranza silenziosa da secoli sottoposta a condizioni di sfruttamento inumane e ora diventata soggetto dirigente dei processi di trasformazione politica e socio-economica in atto in quei paesi" (C. Cortesi, R. Travaglini, D. Vasapollo, L. Vasapollo, Gaia e l'ape — Strumenti e percorsi per l'educazione ambientale, Natura Avventura Edizioni, Roma 2009).
Esperienze che dovranno essere necessariamente tenute in considerazione nei processi di riorganizzazione dell'opposizione politica e sociale anche nel nostro paese, a partire dalle lotte che ci vedranno impegnati nei prossimi mesi contro la privatizzazione dell'acqua e contro la reintroduzione del nucleare.
Questo testo è una anticipazione dell'articolo
che sarà pubblicato nel prossimo numero (1-2 del 2010) della Rivista "Nuestra América"
Pagina inviata da Luciano Vasapollo
(14 maggio 2010)
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Webmaster: Carlo Nobili — Antropologo americanista, Roma, Italia
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