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Cuba |
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Una identità in movimento | ||
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Los Van Van e il 4 dicembre
Ferruccio Paoletti
Come un sogno ricorrente, come un film che si riavvolge infinite volte, ricordo in quella sera di luglio il concerto che i Van Van aprirono con "Permiso que llegó".
In religiosa attesa, a bocca aperta ascoltavamo finalmente il rombo sordo e profondo delle percussioni e le note introduttive del synth, deboli e un po' sbilenche negli echi che rimbalzavano attraverso l'arena affollata. Avverto ancora l'eccitazione palpabile, vedo le cortine dei fumogeni che nascondono, un po' maldestramente, l'ingresso dei nostri, effetto trito, risaputo e già provato in molti altri concerti... ma questa volta è un inizio realmente vivo, sorprendente, uno tra i momenti più emozionanti che io ricordi, col "Guayacán", il cantante Roberto Hernández, a irrompere sul palco facendosi strada tra gli strati di fumo, figura imponente — e non soltanto per la stazza fisica — chiusa sul petto la candida camicia del sacerdote, il passo ieratico del "babalao"[4], la voce penetrante a stagliarsi sul coro dei "Santi" intonato in sottofondo:
Svaniva il velo dei fumogeni mentre in progressione il brano prendeva il volo.
Nell'atmosfera rarefatta possiamo scrutare ora per tutta la lunghezza del palco, dove campeggia da un lato la sagoma impassibile del canuto Formell, appoggiato al suo bajo, al centro il figlio Samuel a martellare con precisione e piglio energico la batteria e i timbales, e poi il resto del gruppo, con tanto di formazione a charanga (due violini e flauto) in perfetto spolvero.
Sempre la voce tagliente del "Guayacán", padrone assoluto della scena, ci trascinerà in pochi istanti alle lande d'incanto che celano il senso profondo e drammatico di un'iniziazione, la storia di una missione intrapresa trenta anni or sono per volontà degli... dèi:
Così iniziò il concerto tanto atteso... con un incantesimo, una magia, la descrizione accorata di una storia remota e fumosa che risale alle origini, al mistero del 4 Dicembre, storia che si propaga nel tempo rivivendo come nuova a ogni occasione presente.
Ascoltavamo rapiti la canzone e questa sembrava non voler mai terminare, nemmeno giunta a quel finale che sfuma lentamente, impercettibilmente; così come era iniziata, con un cerimoniale, il rituale dei simbolici passi di Elegguá[10]:
... ma già pregustavamo lo schiudersi dei prossimi tesori.
Col passare dei minuti e il trascorrere dei brani, cercavamo con lo sguardo l'altro "sacerdote" — Mayito Rivera. All'inizio quasi nascosto, in tono minore (al cospetto della potenza diretta, prorompente del gigante e carismatico Hernández), enigmatico ed equivoco personaggio — la canottiera rossa e gli occhiali scuri del gigolò — presenza sfuggente fino a che l'esibizione consentirà, esplodendo nel vivo e toccando il repertorio che gli compete, di apprezzarne le doti vocali uniche.
Come quando giunge il momento di "Soy todo", quella composizione del poeta Eloy Machado (altresì noto come El Ambia) che destò tanto scalpore allorché venne ripresa in musica dai Van Van, nell'album "Ay Dios ampárame". Momento profondo e sentito, a partire dalla breve introduzione strumentale che già commuove, coi morbidi accordi di piano in contrattempo, il velo d'organo (e sentire la versione su disco per ammirare il synth che ricopia inusitati registri ecclesiastici), il basso che affonda in toni dimessi sulle scale cromatiche discendenti, e la sezione di tromboni ad accennare la melodia soave sulla quale prenderanno slancio i violini... e poi:
Fino al ritornello:
sul quale si innesterà il seguito della canzone (non più dalla penna di Machado: la seconda parte infatti si deve direttamente all'ispirazione di Juan Formell) col suo finale parossistico, i cori ¡Ay Dios ampárame! e certe infuocate guías, o vere e proprie preghiere, proferite a squarciagola da Mayito.
Ma Mayito stesso, e il tema della ricorrenza del 4 Dicembre, ci portano a un'ultima tappa dell'avatar, mentre scopriamo il tassello finale di questa sorta di "trittico" di Canti dell'Iniziazione[17]: la meravigliosa canzone intitolata "El tren se va"[18] (che — piccola ma dolorosa lacuna — purtroppo aspettammo invano per tutta la durata del concerto), dove il cammino a ritroso verso le origini e verso nuove rivelazioni è aperto, come su rotaie che si addentrano in una giungla, dal moto dirompente e incessante della locomotiva.
Questo brano ("Il treno sta partendo": treno come metafora di movimento, di trasformazione, tren del sentimiento[19], come canta Hernández, o tren de la alegría que me rompe el corazón annunciato da Mayito, ma anche macchina ritmica inarrestabile in cui l'insieme basso-percussioni riesce davvero a superare se stesso) ha un inizio tra i più impressionanti che si ricordino. Nelle prime otto battute, sul tappeto spedito, preciso come un rolex, di batteria e percussioni, gli arpeggi di Pupy al piano e il tumbao di Formell al basso costruiscono da subito un disegno in tonalità minore melanconico e sognante, coi piccoli scoppi di trombone ad armonizzare dolcemente per un formidabile effetto "vaporiera": in pura onomatopea, il treno a tutti gli effetti è in partenza! Nelle ulteriori otto battute entrano il flauto e i violini a charanga, a delineare una melodia vaga ed esotica (sapore e tristezza profonda di certa rumba, ma personalmente mi ricorda qualcosa degli autori classici russi — alla "Scheherazade"), dopodiché l'incipit conciso, urgente, sfocia nell'attacco del coro:
Immediatamente entrano, in successione ordinata, i tre cantanti, spartendosi uno dopo l'altro ciascuna delle tre strofe iniziali dove troviamo scolpite lapidarie sentenze che richiamano tradizione, magia, vocazione, tutto nella potente fusione di un solo, comune afflato: ancora una volta, la "missione" musicale a cui sono chiamati i Nostri [non saprei onestamente addentrarmi in un'analisi di tutti i significati sottesi da questo grande brano, ma mi sembra di poter affermare che, partendo dalla tradizione della rumba, la celebrazione metta alla fine l'enfasi sul tema della nascita del Songo[20]].
L'effetto prodotto dalle tre voci, che subentrano l'una all'altra pacate, ma fiere e in profonda consapevolezza, fa pensare a una sorta di "liturgia profana". Dapprima Pedrito Calvo:
Annunciato dall'immancabile richiamo (¡Ahí na' más, ahora me toca a mí, mira!), è quindi la volta del "Guayacán" Hernández:
E infine (al grido caratteristico Sí, ¿cómo?) la terza strofa, cantata da Mayito:
Mayito che prende poi possesso dell'intera canzone, fino al corpo centrale nel quale il nuovo montuno fornirà lo spunto per il racconto di un'autentica esperienza mistica, con le immagini vivide e terrifiche dell'iniziazione e l'apparizione della Santa (Barbara).
Sul binario dell'incessante treno ritmico sul quale procede questo splendido inno, al coro che incalza El Songo nació en el Monte / por eso todos los Santos me responden ["Il Songo è nato nel monte / per questo tutti i Santi mi rispondono"], Mayito ribatte declamando orgoglioso le sue guías: "Sono nato il 4 Dicembre", e in questo egli veramente "è tutto", proprio come nel poema di Machado, è nello stesso tempo il cantore, il figlio di Changó, è il battezzato, è Songo, l'eletto, relegato alla dolce... condanna di usare la sua meravigliosa voce — come l'usignolo:
e ancora, dopo il mambo invocato dal cantante, con le note corpose dei tromboni che si stagliano sul ritmo sbuffante del "treno", scandito da batteria e campana in grande evidenza:
... "tiene Mayombe"... credo proprio di capire, parafrasando la canzone, che se i Van Van riescono a trarre una musica così ricca di sabor, a toccare con maestria i loro strumenti e a far vibrare magicamente le corde vocali, se riescono a esser sempre sulla breccia nonostante i trenta anni e più di carriera all'attivo, se sono questi mostri "sacri" (in ogni senso), i detentori del reame musicale a cui sempre è necessario chiedere il permesso come di fronte all'altare nella casa del santero, se la storia della Salsa vede il loro nome scolpito per memoria imperitura, se procedono come la poderosa locomotiva, che parte incurante e nulla e nessuno aspetta, se riescono in tutto questo il merito alla fine va... agli stregoni "Palos"! o quanto meno ai Santi... (insomma, è volontà divina).
Non rimane a questo punto che il finale della canzone, che sfuma — questa volta velocemente — sui versi del coro:
mentre il treno, invece, continua imperterrito a marciare, sferragliando allegramente. Almeno nelle nostre orecchie, e nella passione che ogni volta viviamo quando balliamo su questi ritmi straordinari. E nella memoria un po' inquietante di un concerto che ci lasciò con un sapore forte, difficile da dimenticare.
[1] Ajúa è un'espressione di giubilo che si ascolta in diverse canzoni cubane ("urrà!", "evviva!": la parola proviene a quanto sembra dal Messico). Con questa esclamazione augurale Roberto Hernández attacca le prime battute del brano "Permiso que llegó Van Van".
[2] Nei versi d'apertura il coro sciorina i nomi degli orishas maggiori (le divinità del culto Ifá). La religione che contempla le divinità orishas fu portata a Cuba dalle tribù nigeriane Yoruba e dalle altre stirpi africane tradotte in schiavitù durante i secoli della colonizzazione. Yemayá, Oggún, Obatalá, Changó, Ochún e Oyá sono, per gli adepti, manifestazioni dell'entità suprema (Olodumare), i padroni (dueños) di Ifá, oltre a cui non esiste nient'altro (no hay más nada). Questo canto iniziale è di Elegguá, divinità all'insegna della quale esordiscono e allo stesso modo si concludono — con ritmi e balli — tutte le feste e le cerimonie della Santería (il sistema di credenze nato dal sincretismo tra fede cristiana, imposta dagli spagnoli, e culto animista di provenienza africana). Durante i riti d'apertura vengono recati omaggi e offerte agli altri orishas, per esempio in forma di erbe particolari o di animali sacrificati. Come entità che presiede al "cammino", guardiano delle porte e dispensatore di eventi imprevisti, Elegguá è temuto e guardato con riverenza in quanto detiene le chiavi del destino. Nell'iconografia Yoruba viene rappresentato in forme diverse e cangianti (ma comunque usualmente raffigurato con vesti di color rosso e nero, i suoi colori rituali), dal vecchio al bambino all'animale, ed è in effetti un dio bizzarro e assai capriccioso, proprio come l'Hermes della mitologia greca o il Mercurio dei Romani.
[3] Los Van Van si formarono nel 1969. "Permiso que llegó Van Van" ["Permesso: sono arrivati i Van Van"] è la grande canzone/celebrazione che inaugura l'album "Llegó Van Van" uscito nel '99, per l'appunto in corrispondenza del loro trentesimo anniversario. Quel disco, una produzione particolarmente riuscita che ha ottenuto anche un buon successo commerciale, costituisce l'ultima opera registrata in studio che sia stata pubblicata a tutt'oggi. Dopo di essa si è assistito all'abbandono da parte di elementi fondamentali del gruppo, come Pedro Calvo (uno dei tre cantanti), e il pianista César "Pupy" Pedroso. [Anche ai tempi odierni, tuttavia, il brano in questione viene ancora regolarmente utilizzato per aprire ogni volta i concerti].
[4] Babalao ["padre del segreto"]) è il nome dato agli alti sacerdoti Yoruba iniziati attraverso i riti dell'asiento ai misteri di Orúnmila o Orúnla, la divinità che presiede alla conoscenza, alla saggezza e ai poteri divinatori. È curioso notare come verso la fine di questa stessa canzone il testo — che è composto da Juan Formell — citi letteralmente ... y como si fuera poco ahora yo en mi orquesta tengo dos babalaos, cioè "... e, se non bastasse, ora ho nella mia orchestra due babalaos". Puro gioco o riferimento a un vero e proprio percorso iniziatico intrapreso da qualche membro del gruppo? È così impensabile azzardare che si tratti di Roberto Hernández e di Mayito Rivera, i due grandi "cantori" a tutt'oggi superstiti dopo la diaspora di questi ultimi anni? [qualcuno dispone di notizie biografiche sui... presunti santeros?]. È anche interessante osservare il fatto che la prima partecipazione di questi due cantanti a un disco in studio dei Van Van, l'album del '95 "Ay Dios ampárame" ["Oh Signore, proteggimi!"], sfoggia in copertina l'immagine della collana di perle verdi e gialle di Orúnla. Le collane, in particolare i cinque collares de mazo, ciascuno coi colori dell'orisha cui è dedicato, costituiscono una ben precisa fase d'iniziazione dei babalaos. Quello poi ("Ay Dios ampárame") è anche il disco in cui fa la sua comparsa "Soy todo" ["Io sono tutto"], canzone-fulcro legata alla Santería di cui parlo in seguito nel testo. È lì, tra l'altro, che a un certo punto Mayito proclama con fierezza ... y tengo un amigo santero, y otro que es Abakuá: son más hombres y más amigos que muchos que no son na', y se hacen en cantidad ("... e ho un amico santero, e un altro che è Abakuá: sono ben più uomini e più amici di tanti che invece non valgono proprio niente e si danno un sacco d'arie"). Rimane (per me) il dilemma.
[5] È la ricorrenza cui si attribuisce la nascita ufficiale del gruppo. In realtà dovrebbe trattarsi del giorno in cui i nostri tennero il loro primo concerto in quel della Habana. Il 4 Dicembre non costituisce data casuale, poiché come detto questo giorno ha un valore del tutto particolare per il culto afro-cubano che vede adorati gli orishas — le divinità e gli spiriti di origine africana — allo stesso modo dei santi della tradizione mistica cattolica imposta in tempi passati dal dominatore spagnolo. Le due categorie, nella pratica della Santería che tutto ha mescolato, sono strettamente imparentate con effetto talvolta curioso: così, nel nostro caso, il 4 Dicembre si celebra la festa di Changó (divinità dalle forti connotazioni virili, orisha guerriero che padroneggia il fuoco, il tuono e il fulmine, il ballo ed i tamburi) così come quella di Santa Barbara (la vergine armata di spada, patrona anch'essa, nella tradizione cristiana, dei fulmini, dei tuoni, e dei marinai di cui custodisce le polveriere).
[6] Stregoni, cioè, di tradizioni congolesi. Del Congo è originaria la religione detta "Regla de Palo" o "Palo Mayombe" o "Palo Monte". Il nome deriva dall'uso che viene fatto di pali lignei nelle cerimonie che vedono oggetti di diverso tipo, compresi resti e ossa umane, mescolati in un calderone magico detto nganga. In questi pochi, splendidi secondi la canzone svela una sorta di mistica epifania: i nostri scoprono di essere in balìa (o di essere diventati essi stessi?) dei Paleros o "Palos", adepti, cioè, di una setta religiosa tra quelle che, fra l'altro, non godono nemmeno di ottima fama se paragonate ad altre (come le sette fondate dalle stirpi dell'area nigeriana, Yoruba per esempio), in quanto praticanti di riti anche cruenti e affini alla magia nera.
Palo è un credo di tipo animistico, nel quale la comunicazione diretta con gli Spiriti viene realizzata attraverso l'atto esoterico dello sciamano, o di poteri di tipo medianico. Tutto ciò che esiste si considera animato da spiriti: spiriti dei Morti, spiriti della Natura (che abitano alberi, vegetazione, rocce, animali) fino alle più alte entità che si manifestano nelle forze naturali (vento, fulmine, mare, ecc.) e nell'uomo. La vegetazione e gli animali, in questa come in altre reglas ("Regla de Ocha" ad esempio) sono dunque ricettacolo di forze soprannaturali. Vedi oltre l'intervento dell'iroko (nota 8), e qui la trasformazione degli iniziati in specie animali che hanno tutte, come comune caratteristica, l'indole del predatore. In un simile rituale è descritta la vicenda di una donazione: dono del temperamento, della forza, della ricchezza interiore. I Nostri si proclamano destinatari di un privilegio quasi esoterico (che è poi, fuor di metafora, ciò che permette loro di... resistere sulla breccia nonostante il trascorrere del tempo). A ciò si allude anche più avanti nella canzone, là dove viene menzionato — in tono minaccioso — il negro lucumí (termine questo, derivato dal saluto oluku mi ["amico mio"], col quale i cubani si riferiscono alle genti Yoruba): [7] Il Monte non ha a che fare esclusivamente con le montagne. Indica quei luoghi, lontani dalla pressione delle città o dei grandi villaggi, che fin dall'epoca della colonizzazione spagnola venivano utilizzati per i riti e le cerimonie di stampo prettamente festoso dedicate agli spiriti o ai Santi. Los Santos están más en el Monte que en el cielo... (cfr. Lydia Cabrera e il suo basilare trattato etnografico "El Monte").
[8] Iroko è un albero sacro africano nel quale si crede risieda la "purissima concezione". A Cuba (dove l'iroko propriamente detto in realtà non attecchisce affatto) questa caratteristica mistica viene attribuita a piante come la ceiba o la palma reale. Il tronco e le foglie sono naturalmente considerati ricettacolo di orishas (si dice che, ove c'è la palma, lì sta anche Changó), coi quali spiriti in termini rituali viene identificato l'albero stesso. A proposito di piante, una piccola curiosità. Il nomignolo che si è dato il cantante Roberto Hernández (avete presente il suo grido di battaglia ¡Ataca Guayacán!) altro non è che il nome di un albero d'alto fusto dalle qualità sacre ed esoteriche: il guaiaco o "Palo santo".
[9] Garabato è uno degli attributi di Elegguá, costituito da un ramo di forma ricurva [ovvero l'uno universale, cfr. l'icona allegorica raffigurata alla nota 2], come una sorta di falce o machete, col quale il dio compie l'atto di aprire il cammino agli uomini (come pure lo richiude dietro di loro).
[10] A Elegguá si attribuisce tra l'altro la capacità di ballare saltellando su un piede solo o anche retrocedendo, cosa che ritroviamo nei caratteristici movimenti laterali o incrociati che accompagnano i toques in onore di questa divinità.
[11] Tambor è il tamburo ma anche la festa (analoga al Bembé, che però ha carattere profano) celebrata in onore di un orisha, che si tiene al suono delle percussioni rituali, i tamburi Batá.
[12] Solar è, tra le altre cose, il nome che si dà al patio che mette in comunicazione gli ingressi di più edifici, tipicamente nei sobborghi abitati dalla povera gente e affastellati di casupole. È un luogo di riunione per far festa, musica e balli. Per estensione indica anche questi stessi quartieri suburbani, simili alle brasiliane favelas, dove le condizioni di vita sono precarie e difficili.
[13] Collares (de mazo) sono le collane, o bracciali, consacrati alle cinque maggiori divinità orisha (per ciascuno spirito si usano perle di uno o più colori particolari) che costituiscono il primo grado d'iniziazione dei sacerdoti nella Regla de Ocha, cui segue lo stadio superiore detto "dei Guerrieri".
[14] Oltre a utilizzare, analogamente al nostro peperoncino, il frutto piccante di questa spezia, viene estratto dall'ají un forte distillato (ají guaguao o guindilla) con cui tra l'altro i "paleros" arricchiscono il contenuto del loro magico calderone, o potenziano l'energia degli amuleti.
[15] Passo zeppo di riferimenti iniziatici alla "mitologia" afro-cubana: da quegli ireme (Aberiñán e Aberisun) — spiriti e folletti che secondo le credenze della setta Abakuá presenziano a determinate cerimonie — ai canti di festa e di saluto dei rituali liturgici dedicati agli orishas (Siré Siré), ai giochi che il dio "bambino" Elegguá predilige, come le biglie e il trompo (gioco in voga ad esempio in alcuni paesi sudamericani), una specie di trottola conica in legno con la punta metallica che viene fatta vorticare lanciandola tramite una corda avvolta intorno ad essa.
[16] Arere è un epiteto di Oggún, "signore del regno di Iré", ma indica anche genericamente un'entità che domini le forze del bene. Orúnla, come detto sopra, è orisha della conoscenza, della saggezza e della divinazione, patrono dei babalaos.
[17] Volendo estendere lo studio ad altri aspetti più genericamente "di tradizione", e non soltanto al tema dell'anniversario del 4 Dicembre e ai suoi legami con la Santería, si potrebbero individuare altre canzoni strettamente imparentate con i tre brani iniziatici qui considerati. Per rimanere alla produzione degli ultimi anni: il guaguancó di "Consuelate como yo", rifatta dai Van Van partendo da un motivo tradizionale di Gonzalo Asencio, e quella, riarrangiata altrettanto stupendamente da Formell, "De La Habana a Matanzas"; poi, parlando di parti di canzone in forma di rumba, non si può non citare "Somos cubanos" — canzone splendida di radici. Così come si celebrano le origini nell'anthem, tutto fuorché frivolo!, "Esto te pone la cabeza mala". Non dimenticherei neppure il recitativo della bizzarra "Appapas del Calabar", sorta di monografia celebrativa (in gran parte in gergo) delle sette Abakuá.
[18] Brano che corona il finale del grande album "Te pone la cabeza mala" del '97.
[19] In "El tren se va", l'idea originaria del cuerpo (ossia le prime strofe di canzone) nasce integralmente da una poesia composta dallo stesso Mayito Rivera e intitolata, appunto, "El tren del sentimiento".
[20] Songo: forma musicale creata negli anni '70 da Formell e dall'allora timbalero e percussionista dei Van Van — il grande José Quintana detto "Changuito" — come variante del Son, contaminandone le componenti musicali attraverso elementi di rock, soul, funky e altri generi moderni.
[21] A quanto ho appurato, Ká woó sí lé o è, in linguaggio Yoruba, un'esclamazione augurale che significa "che entri la vita in questa casa". È questa, precisamente, l'invocazione declamata da Mayito nel brano in questione, mentre un'altra versione cita kawo kabie sile Shango ["Benvenuto in terra, Changó"] che è il motto con cui per tradizione si accompagna il manifestarsi del fulmine o del tuono, proprio nello stesso modo in cui in certe zone di tradizione ancora rurale le avvisaglie di un temporale vengono accolte col segno della croce e il grido di "Santa Barbara benedetta...", con le sue varianti che cambiano da luogo a luogo. La confusione tra le due espressioni sembrerebbe soltanto apparente, poiché la "casa" di Changó è comunque l'albero sacro, la ceiba o la palma, che prende "vita", scuotendosi sotto la forza dei venti e al rombo del tuono, allorché sta per giungere una tempesta. [Cfr. anche la bellissima interpretazione, ricca di suggestioni, che ne dà Ramón Fernández-Larrea a corredo dei suoi Kabiosile, le monografie musicali alle quali si accennava nel thread "L'angolo del Son". Larrea spiega che Kabiosile "è una parola Yoruba con cui si nomina Changó, l'orisha maggiore, la divinità suprema, l'idea superiore tramite la quale uniamo il nostro corpo a un'essenza protettrice. Kabiosile si è trasformato anche in una sorta di saluto a quell'essenza, una benedizione verso il misterioso e il grande di cui facciamo parte. E Kabiosile è senza dubbio cura applicata nella devozione, magia che vigila e infonde respiro, perché ciò che vediamo come superiore, e che proviene dalla forza di Changó o di altre divinità, risiede in realtà nella radice della nostra speranza. Per questo ho voluto salutare le mie radici musicali con questa invocazione. Dico kabiosile come direi lode a quanti hanno costruito il nucleo intimo del mio paese e della mia cultura. Una parola che ha viaggiato molto, dal cuore perpetuo delle selve, fino all'anima fresca della ceiba ove ballano nella notte dei tempi coloro che hanno saputo rendere grandi i suoni della mia isola".]
[22] Per l'importanza della vegetazione nei culti animisti, come abitacolo delle forze soprannaturali, vedi la nota 8.
[23] Mayombe, sinonimo di "Palo" (cfr. nota 6).
[24] Tale frase ("quelli che ci sono [o "lo sono"], ci sono / e quelli che non ci sono (si mettano) in coda") può esser fatta risalire, per analogia, al nome stesso dei Los Van Van. Sembra esserci, anche in questo coro finale, una proclamazione di autenticità da parte dei nostri artisti, quasi che non vedessero di buon occhio ciò che sta accadendo nel panorama musicale attuale (Mayito si sovrappone al coro per commentare, sembrerebbe con tono sarcastico, es que yo no sé que está pasando con los rumberitos de ahora...). Curioso, poi, pensare come queste stesse parole venissero "rubate" a sua volta da César "Pupy" Pedroso allorché abbandonò i Van Van un paio d'anni fa per formare la sua splendida band, che si chiama per l'appunto "Pupy y los que Son Son". Pupy afferma di non aver cercato alcun riferimento (polemico) ai significati del coro de "El tren se va", ma che la scelta del nome rappresenta per lui un omaggio a coloro che hanno voluto "esserci" (nel suo nuovo gruppo, si suppone) e nello stesso tempo un gioco di parole in omaggio al Son, il genere musicale da cui il pianista deriva le proprie radici musicali. Cuba. Una identità in movimento
¡Ajúa![1]
Coro: "Eje o mi baba
Ochún Obatalá Yemayá
Changó Oggún Oyá
pero los dueños son Ifá
y no hay más na'"[2].
Cantante: "Son estos los cantos
ay que los Santos están cantando
a Los Van Van que están celebrando
sus treinta cumpleaños
y siguen ahí".
["Sono questi i canti,
oh sì, che i Santi stanno cantando
ai Van Van che stanno celebrando
il loro trentesimo compleanno[3]
e sono sempre qui, a continuare"].Coro: "Eje o mi baba
Ochún Obatalá Yemayá
Changó Oggún Oyá
pero los dueños son Ifá
y no hay más na'".
Cantante: "Diciembre número cuatro
del año '69 pegó Van Van
y todavía en el '99 siguen pegaos
¿caballeros, hasta cuándo? ¡¿uh?!"
["Il 4 di dicembre[5]
dell'anno '69 i Van Van fecero breccia
e nel '99 hanno ancora successo,
ehi gente, fino a quando?"] "Y de repente unos brujos congos
nos llevaron pa'l Monte,
nos convirtieron en camaleones,
en gavilanes, jutías y hurones
y un iroko rompió el hechizo
aclarando lo sucedido:
era que los montes querían darnos como regalo
un garabato pa' abrir caminos
¡ésos son Palos!"
["E all'improvviso degli stregoni congo[6]
ci portarono al monte[7],
ci trasformarono in camaleonti,
in sparvieri, ratti e furetti
e un iroko[8] ruppe il sortilegio
facendo luce sull'accaduto:
era successo che i monti volevano darci in regalo
un garabato[9] per farci strada.
Quelli sì sono dei Palos!"] Coro: "¡Mira pa'atrás,
mira pa' dos lados!"
["Guardati indietro,
guardati dalle due parti!"] "Yo soy
el poeta de la Rumba,
soy Danzón, el eco de mi tambor,
soy la misión de mi raíz,
la historia de mi solar,
soy la vida que se va,
ay que se va.
Soy los colores
del mazo de collares
para que mi raíz no muera, yo soy ají,
yo soy picante — te digo:
Soy los colores
del mazo de collares
para que mi raíz no muera, yo soy ají
yo soy picante.
Soy el paso de Changó
y el paso de Obatalá,
la risa de Yemayá,
la valentía de Oggún,
la bola o el trompo de Elegguá,
yo soy Obbá, soy Siré Siré,
soy Aberiñán y Aberisun,
soy la razón del crucigrama,
el hombre que le dió la luz
a Obedí el cazador de la duda,
soy la mano de la verdad".
["Io sono
il poeta della Rumba,
sono il Danzón, l'eco del mio tamburo[11],
sono la missione delle mie radici,
la storia del mio solar[12],
sono la vita che se ne va via,
sì, se ne va.
Sono i colori
del grappolo di collane[13]
affinché le mie radici non muoiano, io sono il pimento[14],
sono piccante.
Sono il passo di Changó
e il passo di Obatalá,
il sorriso di Yemayá,
il coraggio di Oggún,
le biglie o la trottola di Elegguá,
io sono Obbá, sono Siré Siré,
sono Aberiñán e Aberisun,
sono l'unica soluzione dell'enigma,
l'uomo che diede la luce
a Obedí il cacciatore del dubbio,
sono la mano della verità"][15].Coro: "Soy Arere, soy consciencia, soy Orúnla"[16].
Coro: "Oye se va, Van Van, se va tu tren
¡apúrate que se va, se va!
Oye se va, Van Van, se va tu tren
¡apúrate que se va, se va!"
["Ehi, sta partendo (Van Van), il tuo treno sta partendo,
sbrigati, che parte!"] "Cuando se hable de salsa
tu recordarás mi nombre
porque en mi interior se esconde
la magia de hacer bailar,
repetirás al cantar
mil frases que ya yo he dicho
y me pedirás permiso
porque yo, soy yo el altar".
["Ogni volta che si parlerà di salsa
ricorderai il mio nome
perché dentro di me è nascosta
la magia del far ballare,
ripeterai cantando
le mille frasi che ho già detto io
e mi chiederai il permesso
perché io, sono io l'altare"]."Cuando se escriba la historia
sin duda estaré presente yo,
yo nunca abandoné a mi gente
ni me olvidé del solar,
yo nací para entregar
Vay todo lo que llevo dentro:
soy un tren del sentimiento
que nadie puede parar".
["Quando si tratterà di scrivere la storia
non c'è dubbio che io sarò presente,
non ho mai lasciato perdere la mia gente
né mi sono dimenticato del solar[12],
sono nato per offrire
tutto ciò che porto dentro di me:
sono un treno del sentimento
che nessuno può fermare"]."Cuando menciones mi nombre
si quieres ser distinguido
espero hayas comprendido
que no es cantar por cantar,
tienes que saber lograr
lo que te pide la gente
y un aplauso solamente
te baste para cantar
¡ahí!"
["Quando menzionerai il mio nome
se vuoi essere ascoltato
spero che tu abbia compreso
che non è cantare per cantare,
devi saper ottenere
quel che da te si aspetta la gente
e che un applauso soltanto
ti basti per cantare,
è così!"]. "... Y es por eso que me quieren
y me llaman por mi nombre
el Cuatro de Diciembre yo nací:
soy el hijo de Changó
¡Kábio sile o'!
la mismísima Santa Bárbara bendita
a mi me bautizó
se me aparició y me dijo: — Negrito no te canse:
tu eres el dueño del tambor —
por eso es que me quieren,
por eso a mí me responden
y me dieron una garganta
pa' cantar como el sinsonte
¡vamos pa'l Monte, timberos!
Changó me dió el sabor,
Elegguá me abrió el camino
¿y es que cantar es mi destino?
no, no, no, no, no..."
["Ed è per questo che mi amano {i Santi}
e mi chiamano per nome,
sono nato il 4 di Dicembre:
sono il figlio di Changó,
Kábio sile o![21]
Santa Barbara, la santissima, benedetta
mi battezzò,
mi apparve e mi disse
è per questo che mi amano,
per questo mi rispondono
e mi hanno dato una voce
perché cantassi come l'usignolo
andiamo al monte, timberos!
Changó mi ha dato il gusto,
Elegguá mi ha aperto il cammino,
forse che è cantare il mio destino?
no, no, no, no, no..."] "Me quieren y me cuidan,
me guían, me protegen,
el Songo nació
protegido por los árboles del Monte:
por eso tiene sabrosura:
mi Songo tiene Mayombe".
["Mi amano e si prendono cura di me,
mi guidano, mi proteggono,
è nato il Songo,
protetto dagli alberi del monte[22],
per questo ha tanto sapore:
il mio Songo ha in sé il Mayombe[23]"].Coro: "Y los que son, son[24]
y los que no pa' la cola"Note
... son negros lucumí cuidao, ¡ten cuidao!
y no te metas con mis negritos
porque esos negros están preparados y volaos.
["sono negri lucumí, attento, stai attento!
e non metterti contro la mia gente nera
perché questi negri sono già pronti, e sono pazzi furiosi"].
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