Intervistatore, Direttore Tv: Buona sera amiche ed amici telespettatori. È un piacere ritrovarvi negli studi dell'impresa statale della televisione Bolivia Tv[1] per dialogare, riflettere e per cercare di dare una lettura dei vari fatti che sono avvenuti nella nostra società. Le ultime elezioni governative del nostro Stato Plurinazionale hanno visto la presenza di molti osservatori internazionali, tra cui alcuni colleghi giornalisti e intellettuali di prestigio. Oggi ho il piacere di presentarvi un professore italiano, Luciano Vasapollo. Ti ringrazio per aver accettato l'invito a parlare della tua visione del processo politico, economico, sociale e culturale che sta vivendo l'America Latina e in particolare la Bolivia.
Luciano Vasapollo: Molte grazie a voi. In primo luogo vorrei spiegare una cosa importante: sono venuto qui come osservatore internazionale per le elezioni da poco celebrate e ho svolto questo compito in modo completamente neutrale ed obiettivo, così da verificare lo svolgimento delle elezioni e di questo importante processo democratico partecipativo. Sono stato intervistato, sempre da questa Tv e altre tre reti televisive, alla fine della tornata elettorale. In quell'occasione ho potuto affermare che, a mio parere, il processo elettorale è stata una grande prova di democrazia reale e compiuta che ha visto una notevole partecipazione popolare. A questo proposito, vorrei ringraziare il popolo boliviano per come sta costruendo e interpretando il processo democratico di base. In Bolivia, infatti, come abbiamo potuto vedere da vicino esiste una consolidata democrazia partecipativa. In Europa le democrazie rappresentative non comprendono bene ciò che sta avvenendo qui o in Venezuela. Possiamo affermare che la democrazia rappresentativa, critica e non riconosce i valori della democrazia partecipativa, senza neanche fare il minimo sforzo per capirla, per confrontarsi, per imparare.
In questi giorni ho potuto notare come l'intera popolazione abbia partecipato al voto con grande tranquillità, maturità e coscienza. Non abbiamo riscontrato alcun problema ma la volontà di essere collettivamente protagonisti. Ovviamente quando sono usciti i primi risultati c'era chi reagiva in modo contrariato e chi invece in modo gioioso, ma il tutto nella massima serenità. Questa è una delle prove della stabilità del processo democratico partecipativo che si consolida nonostante una destra aggressiva ed eversiva.
Ora che non sono più qui nelle vesti di osservatore internazionale, mi sento libero di dire apertamente il mio orientamento ideologico. Sono un intellettuale militante marxista e dirigente in Italia della Rete dei Comunisti e appoggiamo sentitamente e responsabilmente questo significativo processo rivoluzionario.
I.: Scusami l'interruzione. Tu sei direttore anche di due riviste. Puoi parlarcene?
L.V.: Sono professore di Economia applicata nella Facoltà di Filosofia, all'Università "La Sapienza" di Roma; sono professore di questa disciplina da più di 20 anni. Inoltre sono Direttore di due riviste. La prima è Nuestra América che si occupa, appunto, di politica della trasformazione in America Latina e fa parte della Rete in Difesa dell'Umanità, ed è anche una rivista riconosciuta ufficialmente dal Centro Studi Martiano dell'Avana. Il nostro proposito è quello di riprendere e attualizzare sul piano politico e culturale la proposta rivoluzionaria di Martí dell'indipendenza della Nuestra América, un'idea molto simile a quella di Bolívar. Come ho potuto vedere da vicino, lo stesso processo politico boliviano pone, al centro delle sue questioni politiche, l'unità latinoamericana.
Abbiamo deciso di lavorare a questo progetto perché il Latinoamerica rappresenta qualcosa di molto particolare nello scenario politico mondiale. Infatti, come molti sanno, in questi ultimi anni sta vivendo un momento caratterizzato da grandi cambiamenti strutturali. Ho un infinito rispetto per la Rivoluzione cubana che proprio quest'anno ha compiuto i suoi primi 50 anni. Si può essere d'accordo o meno con questo tipo di rivoluzioni, ma la dignità di un popolo, l'alto livello raggiunto dalla sanità e dall'istruzione pubblica e la solidarietà internazionale che Cuba porta avanti da moltissimi anni, sono dati che non possiamo tralasciare o far finta che non esistano e che sono conquiste della Rivoluzione ed esempio vivo per tutti gli anticapitalisti.
Voglio raccontarvi un aneddoto. Pochi giorni fa ho avuto un piccolo problema di salute, tanto da recarmi all'Ospedale cubano Valle Hermosa di Cochabamba, dove ho riscontrato ancora una volta un'assoluta disponibilità e una grandissima preparazione nei medici. Ci sono paesi che basano la propria economia sulla tecnologia per il mercato e sul profitto; però ne esistono altri, come Cuba, in cui i valori più importanti, quelli che fondano la società, sono l'istruzione, il ruolo dell'uomo, la dignità e la salute, l'agire in difesa dell'umanità.
Sono già più di dieci anni che l'America Latina sta attraversando un processo molto complesso e allo stesso tempo contraddittorio, che però fa sì che paesi come il Venezuela, la Bolivia, l'Ecuador, Nicaragua, ora anche l'Uruguay e a suo modo pure il Brasile, si interroghino e cerchino di arrivare ad una completa unità latinoamericana. Pensiamo, ad esempio, al grande progetto dell'ALBA[2] che non rientra affatto nelle regole del mercato internazionale, dell'FMI o della Banca Mondiale. Attraverso l'ALBA si stanno costruendo nuove relazioni economiche e sociali, grazie anche a TelesSUR[3], a Petrocaribe[4], al Banco dell'ALBA e poi del Sur e all'idea di una moneta unica[5] per tutta l'area geopolitico-economica.
A me sembra che tutto ciò realizzi le idee bolivariane e martiane che erano anche le stesse del Che, ossia raggiungere l'indipendenza e la via socialista latinoamericana. Questa è una grande terra o come diceva il Comandante Guevara, è la Maiuscola America[6], non per la vastità dei suoi confini ma per la forza dell'autodeterminazione popolare. Noi siamo molto attenti a questi aspetti, a questi processi rivoluzionari, ai movimenti sindacali, di base e di lotta che con la forza dell'organizzazione politica sanno prendere e gestire il potere di classe.
La seconda è una rivista di politiche economiche, Proteo, che fa capo al Centro Studi CESTES, il Centro Studi delle Rappresentanze Sindacali di Base, RdB, che si occupa di formazione e cultura di classe ed è diretto da Rita Martufi.
I.: Questa lettura della situazione del continente sud americano perché non viene approfondita anche dai partiti della sinistra europea? Sappiamo, invece, che i movimenti sociali e gli intellettuali militanti sono molto interessati a questi processi di cambiamento, seppur avanzando delle critiche. Al contrario la struttura classica dei partiti è molto scettica a proposito dei nuovi processi che stanno avvenendo in America Latina. Come mai non riescono a sviluppare una relazione teorica capace di creare una nuova visione del mondo, dell'uomo e della società, ossia quello che stiamo cercando di fare qui in Bolivia grazie anche al paradigma del Vivir Bien, e in generale in molte altre parti dell'America Latina, al concetto di Buen Vivir[7]?
L.V.: Proprio per questo prima mi sono definito un intellettuale organico marxista. Si potrebbe parlare dell'America Latina in senso romantico e sentimentale, ma non è questo l'approccio che noi vogliamo adottare. Ad esempio moltissime persone in Europa amano Cuba, la Bolivia, e, in generale, l'America Latina perché affascinati dai luoghi naturali, dalla musica, dagli indigeni e dal modo di vivere. Per noi le cose non stanno affatto così. In Latinoamerica il conflitto tra capitale e lavoro è il punto cruciale in cui si ritrovano più alte le tante contraddizioni del modo di produzione capitalista, ovviamente in modo diverso da paese a paese. Perché i partiti della sinistra europea non trattano l'argomento in modo corretto? Quando parlano di Cuba affermano l'esistenza di uno Stato dittatoriale, la stessa cosa vale per il Venezuela e la Bolivia i cui processi politico-sociali vengono definiti nazional-populisti e non democratici. Lo fanno perché ormai in Europa le distinzioni politiche di fondo tra destra e sinistra sono quasi impercettibili.
Possiamo certamente sostenere che la sinistra europea ha perso il suo significato originario, ossia il punto di riferimento anticapitalista da affermare con il conflitto attraverso la lotta di classe.
Nel mondo ci sono più di 4 miliardi di persone che soffrono la fame e vivono in condizione di differenti livelli di povertà e poche centinaia di individui che detengono una ricchezza uguale a quella di quei quattro miliardi. La sinistra europea ritiene che questa condizione possa essere risolta senza adottare misure radicali di trasformazione anticapitalista, ossia attraverso un capitalismo a carattere keynesiano, sociale e temperato e che la crisi strutturale e sistemica si possa risolvere mantenendo sempre le leggi del valore del capitale, dell'accumulazione e dei profitti per pochi. Questa sinistra europea pensa che l'unico e ultimo orizzonte possibile per l'umanità sia solo il capitalismo.
I partiti della sinistra europea non hanno alcuna idea della trasformazione, hanno abbandonato l'orizzonte del socialismo, le categorie del materialismo dialettico e del materialismo storico. Sono un intellettuale militante marxista, ritengo che la storia sia semplicemente storia dei processi della lotta di classe e, in quanto processo, è in continua trasformazione. La storia è un processo dinamico, non lineare con rotture imposte dai rapporti di forza delle soggettività in campo. Si può pensare che la storia politico-sociale si basi, come la matematica, sulla logica astratta, ma non è affatto così, perché stiamo parlando di un processo non lineare e che ha in sé infiniti momenti di pause e accelerazioni, di crisi e di ripresa su cui si giocano le sorti reali del conflitto capitale-lavoro.
L'interpretazione storica della società da fare deve essere effettuando i percorsi del movimento che distrugge e supera lo Stato di cose presenti in chiave di lotta di classe. Non ho nessun problema a parlare e a discutere di riforme strutturali o di momenti tattici, ma rimangono per me pur sempre chiare le strade, gli orizzonti e le visioni strategiche della costruzione del socialismo.
Scendiamo nel concreto e vediamo negli anni cosa è successo in Europa e in particolare in Italia.
Da noi è stata sempre molto forte l'ideologia e la prassi marxista anche nell'impostazione gramsciana, che oggi è attuale qui in America Latina. Questo grazie anche al Partito Comunista Italiano, il più grande partito comunista d'Occidente che, nel 1976 raggiunse il 34,4%[8] dell'elettorato e grazie al sindacato CGIL vicino al partito che aveva una concreta visione e strategia di classe. Negli anni ‘70 ed in seguito con l'avvento del neoliberismo, il PCI ha rinunciato all'idea forte del comunismo e di forzare l'orizzonte della transizione al socialismo, dando vita ad una nuova concezione politica: l'accettazione del sistema capitalista in modo consociativo, abolendo così dal suo programma politico la conquista del socialismo attraverso la lotta di classe. Tutto ciò ha fatto sì che i comunisti che erano la forza politicamente e culturalmente egemone nella società e, che prima raggiungevano, come abbiamo visto, anche il 35% dei voti nelle elezioni, attualmente contano a mala pena il 3% dell'elettorato. Ora alcuni intellettuali che erano marxisti e gramsciani militano o sono passati alla destra o alla sinistra liberista moderata.
La visione di classe del conflitto e quindi anche della cultura operaia, del mondo del lavoro, è quindi diventata un lontano ricordo. Nella migliore delle ipotesi si sviluppa una concezione di compatibilità eurocentrica, ossia ciò che non si riesce a fare in Europa non si potrà fare nel mondo e di conseguenza ciò che fa la sinistra europea deve diventare un modello per il resto del mondo. Partendo da queste premesse non si riuscirà mai a capire il processo politico boliviano, che è un processo creativo e totalmente nuovo basato sui movimenti sociali di base ma che pone al centro le dinamiche della lotta di classe nei processi di transizione al socialismo.
I.: Perché l'Europa e i partiti di sinistra si sono trincerati in questa visione? Poco tempo fa in Bolivia c'è stato un incontro di intellettuali latinoamericani che affermavano chiaramente che la Bolivia è un centro della trasformazione in cui si stanno sviluppando strumenti nuovi. Questi strumenti servono per cercare di capire che la struttura epistemologica sta producendo una profonda rottura e la perdita di senso di alcuni concetti che non servono per intendere questa realtà. Un esempio è la visione e il ruolo della classe operaia che negli ultimi anni, in Bolivia, è cambiata radicalmente. Questi intellettuali hanno discusso sul ruolo fondamentale che stanno svolgendo i movimenti sociali, i veri guardiani del processo di trasformazione. Come mai questo non viene capito in Europa?
L.V.: Non è che non viene capito, è che non si vuole capire. La politica è lotta, è sacrificio; significa mettersi a disposizione del popolo e avere coscienza di dover vivere momenti di forte contraddizione anche nella tua vita personale, è vivere per la e nella continua resistenza. Il problema della sinistra europea non è un problema di tattica, perché se fosse questo si potrebbe discutere, affrontarla la contraddizione nella tattica, indirizzarla e cambiarla. Il problema è che la strategia complessiva del cambiamento radicale e della transizione in grado di farci superare il capitalismo non esiste più nelle diverse sinistre europee, poiché la politica è diventata pratica di interessi giochi personali di potere, ossia mera gestione del denaro, dei favori elettoralistici e dei posti dirigenziali per il dominio sociale.
Quando le imprese e la destra hanno cooptato la sinistra offrendogli di detenere i luoghi di potere — creando così condizioni di favore personale nella gestione della società del capitale — è iniziata, in modo assai lenta, una visione differente da quella socialista rivoluzionaria, per approdare alle compatibilità di gestione della società capitalista con la concertazione e la pratica consociativa. Stiamo parlando di una visione individualista e allo stesso tempo collettiva poiché l'interesse personale si giustifica con un cambiamento di strategia politica collettiva. In Europa non si possono fare rivoluzioni e non sto assolutamente parlando di rivoluzioni armate, ma di semplici processi di trasformazione dello status quo.
In Europa non si può pensare al socialismo come ad un modello economico sociale, tantomeno possiamo lavorare al superamento del capitalismo. Siamo costretti a vivere con questo ingiusto e guerrafondaio modello economico e politico-sociale. La proposta degli esponenti della sinistra è l'attuazione di un capitalismo più sociale, con una redistribuzione della ricchezza più equa. Tali affermazioni permettono loro di rimanere nei luoghi di potere, favorendo di conseguenza il clientelismo e confermando il potere personale. Questa è l'unica trasformazione iniziata già negli anni '70, cioè la sinistra come gestore del potere di classe dalla parte del capitale, magari di quello cosiddetto "buono".
I.: Quindi la sinistra europea propone una riproduzione capitalista del sistema di privilegio, ma con alcune argomentazioni sociali.
L.V.: Esatto, con argomenti sociali che però nella società capitalista si perdono facilmente. È tutto iniziato proprio nel modo in cui hai detto tu, quando il neoliberismo crea le condizioni, con la complicità di cogestione assunta a modello dalla sinistra e dal sindacato storico, dell'assenza di un'opposizione forte, può intraprendere manovre politiche senza trovare nessun ostacolo, come ad esempio, tagliare la spesa pubblica per la scuola e la sanità, decurtare gli stipendi e portare avanti l'assurdità del lavoro precario e della precarietà del vivere sociale. Sotto questi aspetti la sinistra europea moderata e cosiddetta radicale si è comportata nello stesso modo della destra. Dal 1990, in Italia, i governi di centro-sinistra — non stiamo assolutamente parlando quindi solo dei governi Berlusconi — sono stati i primi ad accettare anzi a proporre e legiferare per il lavoro precario, la privatizzazione della sanità, lo sviluppo dei fondi pensione e lo smantellamento della scuola pubblica. Il processo neoliberista in Italia non lo ha cominciato Berlusconi ma il governo Prodi negli anni ‘90. La Legge Treu, che ha destabilizzato e destrutturato totalmente il mondo del lavoro, è stata appunto approvata dal governo di centro-sinistra dell'onorevole Prodi. La prima forma di privatizzazione dell'istruzione universitaria è stata fatta dalla sinistra. In Europa, l'Italia è stato punto di riferimento per gli altri paesi a intraprendere questi percorsi liberisti e contro gli interessi dei lavoratori.
Un altro dato importante, a questo proposito, è il fatto che, sia in Francia che in Spagna, così come in Italia, in pratica non esistono più i partiti comunisti e ciò che rimane è nel migliore dei casi riformista e compatibile con il sistema del capitale e stiamo parlando di tre partiti che avevano una forza e un consenso popolare molto ampio.
Tornando ai processi latinoamericani, il problema della sinistra europea non consiste nel fatto di non comprenderli, ma di non accettarli e questo a causa della loro sporca coscienza che ha rinunciato alla idea e alla pratica anticapitalista.
Ad esempio, qui in Bolivia si sta dimostrando che un processo di trasformazione delle dinamiche della transizione al socialismo che dieci anni fa sembrava impossibile, sta piano piano diventando realtà.
Facciamo invece un esempio italiano: settimane fa il nostro Parlamento ha approvato una vergognosa legge, sconsiderata e opprimente socialmente, non solo per l'Italia, ma per l'umanità intera: la legge sulla privatizzazione dell'acqua. In Bolivia contro il tentativo di privatizzare i beni comuni e in particolare l'acqua si è formato un movimento sociale di base importantissimo, con una forza di cambiamento incredibile. In Italia invece in pratica solo una piccola componente sociale e il sindacalismo di base si è opposto con forza, e ciò anche perché quando nasce un movimento, i partiti della sinistra dapprima l'appoggiano quasi incondizionatamente, ma quando il movimento acquisisce maggiore importanza e visibilità viene fagocitato e strumentalizzato a fini elettoralistici dalle strutture di partito. Questo fa sì che la maggioranza delle persone si guarderà bene dal partecipare nuovamente alla nascita e allo sviluppo di un movimento sociale e si attivi per la politica di base.
Al contrario, qui i cocaleros[9], i minatori e gli operai hanno continuato a mantenere una certa specificità nel processo rivoluzionario e un'autonomia che li ha resi quasi imprescindibili, indispensabili per la qualità del processo di trasformazione. Si sono dotati di uno strumento politico proprio di confederazione dei movimenti sociali, come il MAS, che anche se può avere qualche contraddizione interna, fa prevalere l'aspetto più importante di questo processo e cioè che nessuna struttura burocratica di partito gestisce e dirige i movimenti popolari e sindacali di base. È il movimento sociale nelle sue diverse componenti che sente la necessità di ricorrere a uno strumento politico per darsi rappresentanza politica del blocco sociale.
In Europa questo non avviene. Per noi che facciamo parte dei movimenti e del sindacato di base, è molto importante dare forza al processo boliviano, perché pensiamo che la recente vittoria elettorale del Presidente Evo Morales sia un ottimo risultato per tutto il processo d'integrazione latinoamericana e di stimolo e di esempio per una disperata sinistra eurocentrica.
Spero vivamente che nel prossimo futuro questi avvenimenti diventino un riferimento forte per i partiti della sinistra europea, perché bisogna farla finita con la visione eurocentrica del mondo, retaggio del colonialismo europeo e dell'attuale impostazione imperialista di una Unione Europea così voluta proprio da una sinistra legata ai centri di potere. La sinistra anche radicale e cosiddetta di alternativa non può arrogarsi il diritto di insegnare qualcosa ai movimenti sindacali, sociali e ai governi che operano per la transizione socialista in America Latina. Non può insegnare nulla a nessun ma può solo imparare, partendo dalla riattivazione del conflitto nella lotta di classe. È importante sottolinearlo: bisogna tornare alla pratica della lotta di classe e all'autodeterminazione popolare.
I.: In Europa una delle caratteristiche dei partiti comunisti era la formazione dei quadri. Nella realtà latinoamericana e in particolare in quella boliviana, non è mai esistita — in termini classici — la formazione dei quadri di partito, ma c'è sempre stata una forte coscienza storica e culturale. Noi, dopo più di 500 anni di colonialismo e neocolonialismo, siamo riusciti a scrivere la nostra storia, la storia latinoamericana. È vero che si è solo all'inizio, ma siamo consapevoli che questo processo, seppur cominciato da poco, si sta già consolidando grazie anche a quelle armi intellettuali che ci permettono di vedere le tante contraddizioni e difficoltà insite nel processo di trasformazione.
L.V.: È sempre un problema di relazione tra teoria e prassi. Il problema dei partiti comunisti europei non è stato quello di aver portato avanti le scuole di formazione — magari avessero continuato — ma dopo gli anni ‘70 l'aver pensato di istituire scuole per formare manager politici funzionari ben pagati, i quadri formati come burocrati e non quadri politici d'organizzazione provenienti dai movimenti sociali. La formazione è passata dalla lotta ideologica alla creazione di quadri d'apparato consociativo dirigenziale. Era diventata già da fine anni '70 una scuola partitica di politicanti, senza più ideologia e assolutamente di funzionar iato per gestire il potere conto gli interessi dei lavoratori. Credo, a questo proposito, che il MAS[10] e i movimenti sociali boliviani debbano istituire una scuola di formazione ideologica che sia colonna vertebrale di organizzazione ad ampi settori del MAS e che quindi fra i militanti riesca a sviluppare una forte coscienza di classe. Questa scuola di formazione non deve necessariamente essere di esclusiva impostazione marxista ma di culture diverse ma tutte anticapitaliste, isolando ed espellendo i personalismi dei politicanti e dei burocrati e non riproducendoli a modello, come è avvenuto in Europa. Se in campo ci sono solo i movimenti sociali senza una organizzazione con una prospettiva ideologica, le cose saranno ancora più difficili, perché i movimenti sono entità che operano su fasi congiunturali. Se esistesse una coscienza di classe e una scuola di formazione politica, il processo di trasformazione boliviano sarebbe quello più importante di tutta l'area del cambiamento geopolitico latinoamericano e non solo.
I.: Credo comunque che rispetto agli altri paesi noi abbiamo dei vantaggi, ad esempio, le caratteristiche culturali. La visione collettiva e comunitaria che i movimenti hanno adottato fanno sì che la realizzazione individuale avvenga solo in funzione della realizzazione collettiva. Oggi noi boliviani stiamo mettendo in pratica una nuova dinamica sociale, ossia un nuovo modo di vita e di pensiero. Da qui deriva il nostro vantaggio rispetto alla situazione europea. Infatti in Europa è ancora fortemente radicato l'individualismo. L'Io viene messo davanti a tutto e tutti, mentre al contrario, qui poniamo al centro della società e della vita un concetto più ampio e integrante: il Noi.
L.V.: La visione individualista è determinata dalla competizione economica globale del mercato. Quale è la grande novità del processo di transizione che si sta vivendo in Bolivia? Si sono create le condizioni per la contaminazione della cultura sindacale, operaia e marxista, ma soprattutto delle culture contadine e indigene originarie e quindi del socialismo comunitario. Voglio specificare: il socialismo comunitario non è il socialismo marxista, però è un'idea collettiva che lavora per l'integrazione di tutti gli individui con modalità politico-economico-sociali che determinano relazioni fuori mercato e di alternativa al capitalismo.
I.: Possiamo dire, quindi, che è un'idea "completa", ossia che non ha un'aspirazione meramente economica ma soprattutto organizzativa, ambientale e perfino spirituale.
L.V.: Oggi, ad esempio, il paradigma del Vivir Bien è centrale non solo per la Bolivia ma per l'umanità intera. Come economista, è da diversi anni che sto analizzando la crisi del sistema capitalista; l'attuale crisi del capitale non è una crisi che risale a 1 o 2 anni fa, al contrario perdura da 35 anni. Non è una crisi che danneggia solo il settore finanziario o economico: è una crisi sistemica. Stiamo subendo drammaticamente, a livello internazionale, una crisi finanziaria, economica, ambientale, ecologica, alimentare, climatica, di genere e dei diritti umani. Questo significa che in discussione non c'è la qualità della vita di singoli individui o una singola comunità o sistema paese o polo geoeconomico, ma la stessa sopravvivenza dell'umanità.
Da diverso tempo porto avanti uno studio sui movimenti sociali internazionali — e a questo proposito vorrei citare il libro del Vicepresidente Alvaro García Linera Sociología de los movimientos sociales. Questo mi permette di dire che il superamento della crisi non avverrà grazie all'adozione di un capitalismo dal volto più umano, ma ciò avverrà solo grazie ad una forte trasformazione rivoluzionaria in grado di collocare i diritti, non dell'uomo, ma dell'umanità al centro di un pensiero politico.
Bisogna aver rispetto delle popolazioni, della natura, e dei loro processi di autodeterminazione e della loro spiritualità, in una pratica politica che si ponga nella strategica del superamento del capitalismo, e che quindi percorra le diverse strade del socialismo nel e per il ventunesimo secolo, la quale può essere assunta a riferimento per il futuro dell'umanità.
Questa è una critica che io, da marxista, faccio agli altri intellettuali che si muovono nelle e per le compatibilità di un capitalismo "buono e verde", pur definendosi ancora marxisti. Dobbiamo, a tutti i costi, attualizzare la teoria marxista, in termini di rottura e trasformazione concreta di sistema, nel contesto attuale e differente nei vari paesi, perché se viene applicata come un dogma non sarà in grado di risolvere l'attuale crisi. Il modo ideale per uscirne è proprio quello che state attuando voi in Bolivia, ossia con la contaminazione e con la mezcla tra culture differenti, così da riuscire a pianificare la visione di un mondo diverso.
I.: Il Presidente Morales ha detto più volte che il mondo continuerà ad esistere e resistere anche senza la presenza dell'essere umano, ma l'uomo soccomberà senza le risorse che il pianeta custodisce. Il processo boliviano sta contribuendo, a questo proposito, alla creazione di una visione olistica e generale del problema. Però io sono convinto, allo stesso tempo, che dobbiamo dare ascolto alle critiche che arrivano dai movimenti e sindacati di base e dai suoi intellettuali organici dell'Europa, qualora siano costruttive.
L.V.: In primo luogo, bisogna dire che qualunque tipo di modello economico deve essere subordinato alla politica. La politica dovrà avere sempre un ruolo centrale e solo dopo verrà l'economia, poiché se l'economia domina la politica — sto parlando di politica in senso nobile e alto — il disastro sociale è assicurato. La politica ha il dovere di occuparsi delle necessità della popolazione e dell'umanità. Per me non è sufficiente affermare che questa crisi farà crollare il modello economico e politico statunitense e quello del G8. Bisogna pensare alle alternative possibili già iniziando a ristrutturare dalla base tutti gli organismi internazionali. Ad esempio l'ONU, in cui sono rappresentati circa 200 paesi e sono convinto del fatto che tutti i paesi del mondo debbano partecipare e decidere nella stessa maniera e con lo stesso ruolo contro le logiche di dominio imperialista a varie sfumature.
Questo è il futuro, non il contrario. A questo proposito voglio ricordare Chávez quando, diversi anni fa, ha iniziato a parlare del Socialismo del XXI secolo — anche se io preferisco chiamarlo Socialismo nel o per il XXI secolo — come dell'unico modello possibile per una società nuova e giusta, in cui poter istaurare differenti relazioni internazionali. Ma per far sì che tutto ciò si realizzi bisogna superare il modello capitalista che si basa sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Dobbiamo costruire una società socialista, seppur con le dovute differenze da paese a paese. La Bolivia non è il Venezuela, come il Venezuela non è Cuba; ogni paese ha le sue caratteristiche specifiche che vanno rispettate e integrate nel nuovo sistema economico e sociale. Ogni popolo deve raggiungere l'autodeterminazione, al di fuori delle regole capitalistiche per costruire la società degli uomini liberi ed uguali sul terreno strategico della transizione socialista, ciò stanno facendo Cuba, Venezuela e Bolivia.
I.: Ogni popolo ha le proprie dinamiche interne. Per concludere, puoi dirci cosa ti riporterai, intellettualmente parlando, dalla visita nel nostro paese? Quali sono le tue speranze?
L.V.: Innanzitutto voglio dire che è da 32 anni che viaggio in America Latina, però purtroppo questa è stata la mia prima volta in Bolivia. Dico purtroppo perché mi sarebbe piaciuto da prima vivere direttamente questa grande trasformazione politica. Sociale e culturale sin dall'inizio. Mi sento molto coinvolto da questo processo di transizione e proprio per questo vorrei tornare quanto prima, perché studiarlo e analizzarlo dall'Europa è tutt'altra cosa che viverlo.
Non ho mai pensato di venire come una sorta di maestro che dà consigli, perché è uno sconsiderato metodo che non mi appartiene; lavoro nel e per il sindacato di base RdB, sono dirigente della Rete dei Comunisti e sono e siamo qui per imparare, per ricevere linfa vitale da questi movimenti sindacali e sociali, senza altresì voler importare modelli ma nella consapevolezza di vivere di fatto nella quinta internazionale socialista e della solidarietà.
Voglio semplicemente ringraziare il popolo boliviano perché la rivoluzione che sta portando avanti è fondamentale per tutta l'America Latina e anche per noi europei. Non voglio perdere la speranza e visto che la storia non è affatto lineare, nulla mi vieta di pensare che qualcosa di simile possa avvenire anche altrove, anche nel cuore dell'impero. Spero che proprio grazie all'esempio che ci state dando, le cose possano cambiare anche in Europa.
Voglio ringraziare infinitamente il Presidente Evo Morales, il Vicepresidente Alvaro García Linera, il Governo e le popolazioni originarie, contadine e indigene che sono parte fondamentale del processo di transizione al socialismo, non attraverso una visione e un approccio antropologico, "etnico" ma soprattutto con una pratica politica a connotati di classe.
Molte persone in Europa, della cosiddetta sinistra "estrema", criticano Evo per non aver ancora fatto tutto che deve essere fatto in Bolivia in termini di trasformazione radicale. In parte ciò può essere vero, ma altrettanto vero è che il Governo di Evo è al potere da soli 4 anni, e in un lasso di tempo così breve non si possono risolvere i problemi causati da 500 anni di colonialismo, tanto è già stato fatto in termini di riforme strutturali anche a significativo carattere antimperialista e anticapitalista. Sono processi molto lunghi e faticosi.
Auguro ai contadini, agli indigeni originari, ai mineros, agli operai, al popolo boliviano di continuare a lottare, a resistere, a costruire l'alternativa alla società del capitale, perché se esistono problemi nella transizione bisogna risolverli. Qualsiasi processo al suo interno ha delle contraddizioni, perché se così non fosse non si potrebbe chiamare processo.
Il popolo del lavoro e della rivoluzione boliviana deve imporre la propria autodeterminazione e il mondo intero deve farsi carico di accettarla e rispettarla.
Tutto ciò che ho visto e sperimentato in queste meravigliose giornate boliviane mi ha confermato l'idea che mi ero fatto in precedenza: