Cuba

Una identità in movimento


Prof. Luciano Vasapollo: "La sinistra europea non può insegnare nulla a Cuba, al Venezuela e alla Bolivia. Invece, se facesse attenzione a questi processi riuscirebbe a rilanciare una nuova forma di politica di classe in Europa, e non il contrario con il consociativismo"

Ramón Rocha Monroy


Luciano Vasapollo è professore di Economia Applicata della Facoltà di Filosofia presso l’Università "La Sapienza" di Roma, docente da 20 anni nel Dipartimento di Economia. È Direttore Scientifico del Centro Studi di Trasformazione Economico-Sociale, Dirigente Nazionale della Rete dei Comunisti.

Tiempo Universitario lo ha intervistato poco prima della firma di una Convenzione e di vari Protocolli esecutivi con il Rettore della UMSS.



  • L’Università "La Sapienza" e il tuo lavoro politico e culturale come intellettuale organico e militante.

    Attualmente l’Università "La Sapienza" di Roma sta vivendo un cambiamento strutturale, scientifico, accademico e ideologico. È una grande università, con una lunga tradizione, con più di 170 mila studenti e con 4500 tra professori e ricercatori; però in questo momento sta soffrendo per l’involuzione della cultura e dell’accademia europea, e non solo per sua colpa, poiché, in questo periodo di neoliberismo anche sul piano dei saperi, tutte le università hanno adottato una cultura tecnicista e informatica che fa perdere la tradizione culturale, storica, la centralità della formazione a carattere sociale e politico, la distruzione del ruolo centrale formativo delle materie classiche e quelle umanistiche, ormai rimpiazzate dall’informatica e dai modelli matematici, senza spiegare agli studenti il significato sociale ed economico a cui porta ciascuno dei suddetti modelli. Per questo penso che l’università pubblica debba dare allo studente una visione completa ad esempio delle scuole economiche del capitalismo – la scuola ricardiana, keynesiana, liberale, neoliberale — ma dare il giusto peso anche ai metodi scientifici di impostazione marxista, lo studio dell’economia alternativa che proviene dalle popolazioni indigene originarie, di tutto quello che è avvenuto in America Latina negli ultimi 50 anni, dalla Rivoluzione cubana ai suoi modelli di pianificazione economica, fino al progetto dell’ALBA. Ossia, l’università pubblica deve dare un sistema culturale di base ampio e chiaro allo studente, affinché possa crearsi in seguito le proprie preferenze anche politiche. Però questo non avviene con il modello culturale neoliberale e con l’impostazione economica mainstream, e proprio a ragione di ciò, quest’anno, dopo anni di riflessione, sono passato alla Facoltà di Filosofia, perché lì i piani di studio, la composizione dei corsi di laurea, i piani culturali e didattici sono più liberi e quindi anche gli studenti hanno una mentalità più aperta, non sono affascinati dal modello matematico e dai tecnicismi, interessa loro molto di più la teoria economica con i suoi risvolti sociali, come si realizza, come si mette in atto, come si passa dalla teoria alla pratica e all’applicazione.

    Come intellettuale militante marxista che studia i problemi di classe nel mondo, ho una rapporto molto forte con la cultura cubana, con l’Università dell'Avana e con quella di Pinar del Río. È da molto tempo che a Cuba lavoro con le università, con i centri studio, con il Ministero dell’Economia e con vari istituti di ricerca e centri di quello dell’Educazione Superiore; ho relazioni simili in varie parti dell’America Latina privilegiando, per i processi politici di trasformazione in corso, il Venezuela la Bolivia. Per questo, in Italia cerco di dare agli studenti strumenti concettuali che permettano di conoscere quale è la relazione tra la teoria e la pratica della trasformazione socio-economica, del cambiamento; cerco di dare agli studenti gli strumenti per capire la cultura del conflitto sociale per il cambiamento e l’ alternativa.

  • Anche per questo hai favorito e costruito la possibilità che la UMSS e l’Università di La Paz abbiano potuto sottoscrivere accordi quadro, protocolli esecutivi, convenzioni, con "La Sapienza".

    Non è una casualità che abbiamo firmato convenzioni con la Università di Cochabamba UMSS e con la Università San Andes di La Paz. Esiste da parte mia una ragione specifica di politica socio-culturale per dare un aiuto politico-culturale e impulso e per apprendere dalle università di quei paesi che si muovono realmente con i percorsi della trasformazione economica-sociale, come d’altra parte sto facendo da molti anni con le università cubane. Ormai da molti anni, lavoro con diversi intellettuali boliviani, abbiamo pubblicato due libri: Alerta que camina e Futuro Indígeno, articoli pubblicati sulla rivista "PROTEO" dal Centro Studi di Trasformazione Economico-Sociale, di cui sono Direttore Scientifico, come centro di formazione e studi delle rappresentanze sindacali di base. Abbiamo inoltre dedicato l’intero numero della Rivista Nuestra América al processo boliviano.

    Sarà utile una relazione accademica con le università di San Andres e San Simón affinché i suoi docenti e alunni capiscano la nostra visione sul processo boliviano e affinché noi possiamo avvicinarci con rispetto alla conoscenza della cultura indigena del socialismo comunitario, alle esplicitazioni concretamente alternative delle economie locali; però penso che tutto ciò è politicamente e culturalmente molto più utile per noi, perché così si potrà dare ai professori e agli studenti europei una visione di un mondo differente che agisce e costruisce la sua via autodeterminata al socialismo in una transizione che va abbandonando il capitalismo distruggendo le sue diseguaglianze e nefandezze.

  • Ecco la tua passione e scienza marxista che entra nel vivo del processo di cambio boliviano.

    Ho una grande curiosità politica e culturale per la rivoluzione in Bolivia che si inserisce nell’ALBA e nel processo di integrazione latino americano nei percorsi della transizione al socialismo nel ventunesimo secolo.

    Ho conosciuto il Presidente e compagno Evo circa due anni fa a Roma, quando ho organizzato in occasione della sua visita un programma di iniziative con i movimenti sociali; abbiamo anche indetto una grande conferenza in un incontro nell’Università "La Sapienza" a cui hanno partecipato 1500 giovani. Oggi sono interessato oltre che a una relazione accademica scientifica più diretta con la UMSS e altre università, a una relazione da intellettuale militante che metta in relazione al processo rivoluzionario boliviano anche e soprattutto le strutture politiche, culturali e sindacali che mi onoro di rappresentare. Insisto su questo perché è importante. Un intellettuale, da solo, seduto ad un tavolo a scrivere penso che non serva, perché oggi scrivono tutti. Un intellettuale militante è colui che si mette al servizio del processo di cambiamento, riferendosi attivamente ai movimenti sociali, alle organizzazioni politiche e sindacali con cui sviluppa iniziativa politica. Per questo cerco una relazione con i movimenti sociali, con i movimenti politici e quindi con gli accademici militanti dell’UMSS e delle altre università. Abbiamo già stipulato una convenzione e un protocollo esecutivo simile con la UMSA; abbiamo avuto vari incontri con il Rettore e il Segretario Generale della UMSS, così come con alcuni professori, centri studi e facoltà, per lo studio di materie che sono di mia specialità, come lo studio delle economie locali, alternative e i processi educativi di base, sviluppo sostenibile, sviluppo locale, l’economia internazionale; vorrei mettere in relazioni questi temi con l’educazione delle popolazioni che è un fenomeno naturale tra le popolazioni indigene originarie. Parlando di indigeni non parlo solo di etnie, ma anche di classe; parlo dei contadini, dei minatori e lavoratori che con la loro cultura e la loro tradizione danno forza al processo a cui ha dato vita Evo con i tanti movimenti sociali di classe.

  • Il tuo modo di ragionare e di vivere la militanza politica e culturale sembra richiamare concretamente la grande eredità gramsciana nel marxismo italiano.

    Sento una grande tristezza a parlare di questo tema, perché il marxismo teorico italiano e il ruolo del Partito Comunista Italiano (PCI) sono stati determinanti in Italia e nel mondo, riferimento forte per il movimento operaio internazionale, grazie allo sforzo di grandi teorici intellettuali organici, a partire da Gramsci. Fino alla fine degli anni ’70 esisteva in Italia un movimento operaio molto forte e un Partito Comunista che era il più grande d’Occidente, con il 35% dell’elettorato e un gran numero di organizzazioni comuniste di classe e rivoluzionarie, e un movimento sindacale storico che agiva nella e per la classe Ma tutto questo ha cessato di esistere circa trenta anni fa, a causa di una trasformazione lenta, graduale però definitiva del PCI e del movimento sindacale italiano, che è passato dall’essere un partito e un sindacato di classe, di lotta, a un partito e a un sindacato concertativo, consociativo, d’accordo con il neoliberismo e con l’impostazione socio-economica della destra. Molti intellettuali in origine gramsciani si sono allineati con la destra e con il neoliberismo; alcuni hanno una posizione di sinistra ma moderata.

    Siamo rimasti in pochi tra gli intellettuali marxisti a far parte di un percorso storico di classe, e ciò lo si ritrova ormai in poche organizzazioni a partire dalle nostre come la Rete dei Comunisti, o il nostro Centro Studi, il CESTES e continuiamo attivamente e concretamente questa relazione di teoria e pratica della lotta.

    Attualmente in Europa è molto importante attualizzare il marxismo e il leninismo perché esiste una relazione contestuale distinta dopo 50 anni. Bisogna attualizzare il pensiero di Gramsci che è fondamentale per comprendere la situazione attuale dell’America Latina.

  • E torniamo alla tua visione marxista e quindi in quest’ottica alla lettura del processo boliviano.

    È un processo importante perché ha delle nuove caratteristiche: non è il partito politico ciò che riunisce i movimenti sociali; le cose sono proprio al contrario. La forza dei movimenti sociali ha fatto sì che lo strumento politico, il MAS, si faccia coordinamento confederativo, direi, affinchè militi nel processo di cambiamento e non lo diriga dall’alto, non lo sussuma come forza esterna ai movimenti sociali. Mi pare molto interessante questa creatività che deriva dagli operai, contadini, cocaleros, minatori e popolazioni originarie: la guerra dell’acqua, la difesa dei beni comuni, i paradigmi del Vivir Bien e della Pachamama, sono i nuovi orizzonti del vivere e costruire la vostra via al socialismo; la relazione di armonia con la natura e la denuncia del disastro ambientale provocato dal capitalismo non contro una persona o un settore di classe, ma contro tutto l’umanità, perché questa che stiamo vivendo è una crisi ambientale, alimentare, ecologica ed energetica: è un disastro per l’umanità intera e solo le diverse pratiche del socialismo costituiscono una risposta concreta di alternativa realizzabile.

    Questa della rivoluzione boliviana è una cultura politica che parte dai movimenti di base, dai movimenti sociali, dalla gente povera che può plasmare il fare governo nel socialismo, questa è la peculiarità della vostra transizione, dico vostra perché ne parlo con gran rispetto. È una sfida anche alle contraddizioni di questo processo rivoluzionario, poiché se non ce ne fossero non sarebbe un processo (un processo ha sempre in sé delle contraddizioni, il superamento delle quali indica il percorso concreto della transizione al socialismo). È una grande sfida che dapprima ha vinto le elezioni quattro anni fa e ha approvato la Nuova Costituzione affinché ora, con la gran vittoria del 6 dicembre, nei prossimi cinque, dieci anni, si possano realizzare riforme strutturali, economiche, nazionalizzazioni e redistribuzione a tutti i lavoratori della ricchezza sociale, dopo secoli di sfruttamento colonialista, imperialista, neocolonialista.

    L’obiettivo ora è la formazione di quadri di una organizzazione che rafforzi il MAS con una scuola ideologica, formare ideologicamente in chiave anticapitalista i formatori politici, cioè che sappiano trasmettere al popolo quando una cosa si può fare e quando no, la relazione quindi fra strategia e tattica; perché nell’ordine mondiale non esiste solo la Bolivia, Cuba o il Venezuela ma soprattutto un mondo imperialista, capitalista, una realtà che non ti appartiene e che vuole distruggerti e quindi tu oggi devi costruire un processo di transizione al socialismo adesso con mercato, non di mercato;e affermo decisamente che nel medio-lungo periodo solo con forza ideologica si potrà superare questa contraddizione, i movimenti sociali da soli e le lotte non bastano, ora bisogna lottare e governare la transizione al socialismo dotandosi anche di una organizzazione politica fortemente strutturata sul piano ideologico.

    Questa è la grande novità del XXI secolo, è per questo che preferisco parlare di socialismo nel o per il XXI secolo, perché nel secolo passato i partiti comunisti hanno commesso molti errori, però stiamo parlando della storia come processo dialettico nel quale quindi non si può dire che tutto sia stato un errore, ma va salvaguardato il patrimonio storico del movimento di classe, socialista e comunista.

    Oggi dobbiamo parlare di una nuova idea di socialismo, attualizzata. È un socialismo nuovo e diverso, in base alle condizioni di ciascun paese. In Bolivia il socialismo è differente da quello di Cuba o da quello del Venezuela; l’aspetto più importante è la strategia del cambiamento, ossia contrapporre una alternativa forte all’imperialismo, essere rivoluzione antimperialista ma prima ancora anticapitalista, per creare una società differente e quindi socialista, perché non è possibile vivere in una società globale con più di 4 miliardi di persone che anche se a livelli diversi soffrono la fame, una società in cui poche centinaia di straricchi individui possiedono la ricchezza di 4 miliardi di persone supersfruttate. Non bisogna essere socialisti per capire che questo mondo è impossibile, che è un disastro per l’umanità. Oggi viviamo una crisi economica e ambientale. Sono quindici anni che parlo di una crisi sistemica del capitalismo poiché dura già da quaranta anni; è una crisi finanziaria, economica, alimentare, energetica, ecologica, di genere, dei diritti umani; è una crisi che continuerà a provocare disastri umanitari. Esiste un solo modo per risolvere questa crisi: attraverso l’autodeterminazione dei popoli, il rispetto delle culture e la trasformazione radicale antimperialista e anticapitalista.

  • Cerchiamo infine di dare un quadro di riferimento della valutazione europea del processo cubano, venezuelano e boliviano.

    Questa è una domanda interessante. Molte persone pensano che in Europa esista una sinistra matura e pronta a capire questi processi. Però non è così. La sinistra europea non esiste, è sparita. Oggi la sinistra europea è moderata, neoliberale e conservatrice; solo in alcuni casi può ancora tuttalpiù definirsi riformista. Non ha idea del cambiamento o della trasformazione, ha rinunciato a lavorare politicamente verso l’orizzonte del superamento del modo di produzione capitalista. Non parliamo della destra, sono gli stessi dirigenti ma anche uomini di base della sinistra europea, che facendo riferimento a questi processi latinoamericani, parlano di dittatura, di democrazia limitata, di nazionalismo, di populismo, di mancanza di democrazia, perché l’idea è sempre eurocentrica, è una ideologia europeista della compatibilità con il capitalismo moderato e "buono"ma sempre colonialista. Ciò che si pensa in Europa deve essere pensato in Bolivia e nel resto del mondo. Esiste solo la democrazia europea come modello.

    Quando si parla di queste democrazie partecipa tive ci si aspetta rispetto, ma i partiti della sinistra europea lo rifiutano, perché con l’America latina si devono fare sono buoni affari utili per il grande capitale europeo. Questo deriva nella migliore delle ipotesi, anche nella cosiddetta sinistra radicale e alternativa, da una posizione errata della sinistra europea contro i processi politici di Cuba, Venezuela o Bolivia, perché questi paesi, popoli e governi si muovono contro il capitalismo e per le forme autodeterminate di socialismo; e allora se la sinistra cosiddetta d’alternativa sembrerebbe che si pone contro, nel migliore dei casi, agisce da benefattrice, cioè la logica è quella dell’elargizione caritatevole; anche questo un modo di fare affari con la cooperazione internazionale e le tante ONG di comodo. Esiste, infatti, una piccola parte della sinistra che è molto vicina ai processi latinoamericani. Sono, ad esempio, persone che fanno parte di alcune ONG o gruppi di giovani, però lo fanno in modo sbagliato, assistenzialista commettendo un grave errore, un errore basilare. "Come sono buoni gli indigeni! Mi ricordano l’inca, il maya, il sioux, diamogli carità cristiana, diamogli aiuti e acqua". Con queste argomentazioni le ONG fanno affari e soldi: "Ti aiuterò e quello che resta dopo i miei grandi profitti te lo regalo". Considerare queste popolazioni miserabili, mi sembra una mancanza di rispetto incredibile: "Ti aiuterò però non crearmi problemi".

    Se si possono fare affari, la Bolivia, il Venezuela e Cuba vanno bene, però questo avviene sempre in funzione di concezioni capitaliste eurocentriche del mondo, nella competizione globale che pone l’Europa del capitale in concorrenza con l’imperialismo USA: l’idea però è sempre quella di fare affari, di sfruttare con una assoluta mancanza di rispetto, con il soffocamento delle decisioni e dell’autodeterminazione popolare.

    Molta sinistra e pensatori ed economisti keynesiani pensano che alla fine sia tutto riconducibile in modo positivo nel capitalismo, basta regolarlo, renderlo più morbido e a carattere sociale; non è così, perché si è passati da una teoria e un agire colonialista duro, a un comportamento neocolonialista, di dominio commerciale, non sempre di guerra militare ma di condizionamento economico, di guerra sociale, economica e finanziaria, grazie ad esempio ai piani di aggiustamento strutturale del FMI o attraverso le condizioni imposte dalla Banca Mondiale. Penso che non si possa dominare il mondo allargando il G7 a 10 o a 20 paesi. Tutti i paesi, i 190 o 200 che ci sono al mondo, devono partecipare e cercare un ruolo in un nuovo modello e strutturazione delle Organizzazione delle Nazioni Unite, con una nuova mentalità e metodo decisionale che parta dai contenuti delle democrazie partecipative, con una gestione sociale ed economica planetaria nella quale a decidere in modo equo, ugualitario siano i popoli; il contrario sarebbe una nuova forma di colonialismo

    L’unica condizione per capire questi processi è viverli, stare qui, rispettarli e non condizionarli. È doveroso rispettare l’autodeterminazione popolare e farla finita con la visione occidentale ed eurocentrica. È ora di dirlo: la sinistra europea non può insegnare nulla a Cuba, al Venezuela e alla Bolivia. Se prestasse attenzione a questi processi potrà rialzarsi una sinistra rivoluzionaria e di classe con una nuova prospettiva in Europa.

  • Bene, tante grazie, passiamo ai saluti al popolo boliviano.

    In primo luogo, un saluto al popolo boliviano, popolo maturo che si è comportato, in queste elezioni nonostante una destra stupidamente aggressiva, in modo molto democratico, attuando nei fatti i percorsi reali di questa grande e moderna democrazia partecipativa. Siamo stati invitati come osservatori e abbiamo visto ovunque indios, contadini, lavoratori, pazienti e tranquilli che votavano e accettavano, perché le avevano costruite, le regole e le forme della democrazia partecipativa. Il 6 dicembre per la Bolivia è stato un giorno di grande vittoria della democrazia partecipativa.

    La formula del MAS che ha vinto e che rimarrà altri cinque anni al governo, ha avuto rispetto assoluto per l’opposizione. Ora dismettendo l’imparzialità, poichè non sono più qui come osservatore, posso dirlo a piena voce, invece non mi sembra vero il contrario, ossia non penso che l’opposizione abbia sempre rispettato il governo e il popolo: come si può si può dire che quella del 6 dicembre è stata una vittoria dei narcotrafficanti. Questa espressione mi fa vergognare non come militante della sinistra di classe ma come uomo. Come si può parlare, in una cultura come quella boliviana, di un cocalero come di un narcotrafficante? Come si possono attribuire relazioni tra un grande presidente e un grande popolo come relazioni mafiose di narcotrafficanti? Guardo di continuo i giornali e trovo insulti gravissimi, menzogne contro il Presidente; se questo succedesse in Italia, i giornalisti sarebbero sanzionati con il carcere. La popolazione che ha votato per la. formula vincitrice, ma anche parte di quella che ha votato per l’opposizione, si è dimostrata matura.

    Per queste ragioni voglio esprimere il mio saluto e quello della mia organizzazione, la Rete dei Comunisti, al popolo boliviano e al Presidente Evo Morales, affinché vadano avanti perché con questa votazione il governo avrà la forza per radicalizzare il cambiamento verso il socialismo attraverso un appoggio solido e una relazione continua con i movimenti sociali. Vogliamo esprimere il pieno appoggio con il cuore e la mente ai cocaleros, ai minatori, alle donne, ai lavoratori delle fabbriche, agli operai, ai contadini; un grande abbraccio alle popolazioni indigene originarie però non con una passione romantica, perché le consideriamo un movimento di classe internazionale. Hanno sofferto un sacrificio di supersfruttamento e di morte, unico, enorme per più di cinque secoli, sin da quando è iniziato il colonialismo, ma ora hanno un Presidente indigeno al potere, il Presidente Evo che rappresenta pienamente la volontà del suo popolo. Questo è un grande successo, un trionfo di tutto il mondo.

    Avanti con la autodeterminazione per il socialismo nel ventunesimo secolo!





  • Ramón Rocha Monroy
    Professore di Filosofia Politica, Facoltà di Scienze Politiche, UMSS




    Traduzione dallo spagnolo di Violetta Nobili







    Pagina inviata da Luciano Vasapollo
    (18 dicembre 2009)


    Cuba. Una identità in movimento

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