Cuba

Una identità in movimento


Chibás a 100 anni della sua nascita. Riflessione del Comandante in Capo (25 agosto 2007)

Fidel Castro Ruz


Quando ho letto sul Granma l'articolo del compagno Hart nella commemorazione della data, si menziona un paragrafo del discorso che ho pronunciato il 16 gennaio 1959 nel Cimitero di Colón, otto giorni dopo il mio arrivo all'Avana dopo il trionfo. Mi sono venuti in mente molti ricordi degli eroici compagni morti. Pensavo a Juan Manuel Márquez, brillante oratore martiano e secondo capo della forza del "Granma"; ad Abel Santamaría, sostituto al mando se io morivo nell'attacco alla Caserma Moncada; a Pedro Marrero, Ñico López, José Luis Tasende, Gildo Fleitas, i fratelli Gómez, Ciro Redondo, Julio Díaz e praticamente a tutti i membri del numeroso contingente di giovani di Artemisa morti nel Moncada o sulla Sierra. Sarebbe interminabile l'elenco. Tutti quanti venivano dalle file ortodosse.

Il primo problema da risolvere era Batista nel potere. Con Chibás vivo non avrebbe potuto dare il colpo di stato, perchè il fondatore del Partito del Popolo Cubano (Ortodosso) l'osservava da vicino e metodicamente lo esponeva al pubblico ludibrio. Morto Chibás, era sicuro che Batista avrebbe perso le elezioni che si dovevano realizzare il 1° giugno 1952, due mesi e mezzo dopo il colpo di stato. Le analisi d'opinione erano abbastanza precise e la respinta a Batista cresceva costantemente, giorno per giorno.

Ero nella riunione dove è stato scelto il nuovo candidato ortodosso, più come insolente che come invitato. Sarebbe entrato nel Parlamento dove avrebbe lottato per un programma radicale. Nessuno l'avrebbe potuto impedire. Già allora correva la voce che era comunista, parola che destava molte reazioni seminate dai settori dominanti. Parlare allora di marxismo-leninismo, addirittura nei primi anni della Rivoluzione, sarebbe stato insensato e sbagliato. In quel discorso davanti alla tomba di Chibás ho parlato in modo che le masse capissero le contraddizioni obiettive che la nostra società affrontava allora e ancora deve affrontare.

Tutti i giorni mi comunicavo attraverso una stazione radiofonica locale ubicata nella capitale e con messaggi inviati direttamente a decine di migliaia di elettori spontaneamente iscritti al Partito Ortodosso. Anche mi comunicavo con tutta la nazione attraverso edizioni speciali del quotidiano Alerta durante vari lunedì consecutivi con le denuncie provate della corruzione del governo di Prío formulate tra il 28 genaio e il 4 marzo 1952. Ho potuto intuire e approfondire le intenzioni golpiste di Batista. L'ho denunciato alla direzione e ho chiesto loro di utilizzare l'ora domenicale di Chibás per farlo. "Faremo delle indagini", mi hanno risposto. Due giorni poi hanno comunicato:

    "Abbiamo indagato per le nostre vie e non esiste nessun indizio".

È stato possibile evitare il colpo ma non si è fatto nulla. Già Chibás, mesi prima, a mala pena è riuscito a impedire "un patto senza ideologia", come lui l'ha qualificato, tra gli ortodossi e l'antico Partito Rivoluzionario Cubano (Autentico). La maggioraza delle direzioni provinciali hanno appoggiato il patto. Il sistema economico imperante ha agevolato che in quasi tutte le province l'oligarchia e i latifondisti si siano impossessati della direzione. Solo una è stata leale, quella della capitale con grande influenza degli intelettuali radicali nella direzione. Consumato il colpo e quando era necessaria l'unione, l'oligarchia ha lasciato la massa maggioritaria del popolo alla mercé del vento imperialista. Io ho continuato con il mio progetto rivoluzionario, nel quale sin dall'inizio, questa volta la lotta sarebbe stata armata.

Il giorno in cui Chibás sarebbe stato seppellito — il suo cadavere è stato vegliato all'Università dell'Avana — ho proposto alla direzione ortodossa di indirizzare quell'enorme massa verso il Palazzo Presidenziale e di prenderlo. Avevo passato tutta la sera rispondendo a domande dei giornalisti di radio e preparando gli animi del popolo per azioni radicali. All'Università nessuno faceva attenzione alle stazioni radiofoniche quella sera. C'era un governo disorganizzato e pieno di panico, un esercito demoralizzato e senza animo per reprimere quella massa. Nessuno avrebbe resistito.

Nella commemorazione del primo anniversario della morte dei Chibás ho scritto una proclama intitolata "Granfiata" stampata in mimeografo sei giorni dopo il colpo traditore. A continuazione il testo:

    Rivoluzione no, Granfiata! Patrioti no, liberticidi, usurpatori, retrogradi, avventurieri assetati d'oro e di potere.

    Non è stato un colpo di stato contro il presidente Prío, abulico, indolente; è stato un colpo di stato contro il popolo, prima di elezioni il cui risultato si conosceva in anticipo.

    Non c'era ordine, ma corrispondeva al popolo decidere democraticamente, civilizzatamente e scegliere i suoi governanti per volontà, non per forza.

    I soldi sarebbero corsi a favore del candidato imposto, nessuno lo mette in dubbio, ma questo non avrebbe alterato il risultato come non l'ha alterato lo spreco del Tesoro Pubblico a favore del candidato imposto da Batista nel 1944.

    È totalmente falso, ridicolo, infantile che Prío tentasse un colpo di Stato, grossolano pretesto. La sua impotenza e incapacità per tentar simile impresa è stata irrefutabilmente dimostrata per la codardia con cui si ha lasciato strappare il potere.

    Si soffriva il malgoverno, ma si soffriva da anni in attesa dell'opportunità costituzionale di congiurare il male, e Lei, Batista, che è fuggito codardamente quattro anni e ha inutilmente fatto il politicante altri tre, appare adesso con il suo tardivo, perturbatore e velenoso rimedio, facendo a pezzi la Costituzione quando solo mancavano mesi per giungere al traguardo per la via adeguata.

    Tutto quanto Lei ha allegato è falso, cinica giustificazione, simulazione di quello che è vanità e non decoro patrio, ambizione e non ideale, appetito e non grandezza cittadina.

    Era corretto abbattere un governo di malversatori e assassini, ed era quello che tentavamo per la via civica con il sostegno dell'opinione pubblica e della massa del popolo. Che diritto hanno invece di sostituirlo nel nome delle baionette coloro che ieri hanno rubato e ucciso senza misura?

    Non è la pace, è il seme dell'odio ciò che così si semina. Non è felicità, è lutto e tristezza ciò che sente la nazione di frnte al tragico panorama che s'intravede. Non c'è nulla così amaro nel mondo come lo spettacolo di un popolo che va a letto libero e si sveglia schiavo.

    Nuovamente gli stivali; nuovamente Columbia dettando leggi, togliendo e mettendo ministri; nuovamente i carri armati ruggendo minacciosi sulle nostra vie; nuovamente la forza bruta imperando sulla ragione umana. Ci stavamo abituando a vivere dentro la Costituzione, abbiamo vissuto 12 anni senza grandi contrattempi nonostante gli errori e spropositi. Gli stati superiori di convivenza civica non si raggiungono senza grandi sfrozi. Lei, Batista, ha appena mandato in malora in poche ore quella nobile illusione del popolo di Cuba.

    Quanto ha fatto di cattivo Prío in tre anni, lo ha fatto Lei in 11. Quindi il suo colpo è ingiustificabile, non si basa su nessuna ragione morale seria, ne su dottrina sociale o politica di nessun tipo. Solo trova ragione di essere nella forza e giustificazione nella menzogna. La sua maggioranza è nell'Esercito, mai nel popolo. I suoi voti sono quelli dei fucili, mai le volontà, con essi può dare un colpo di stato, ma non vincere le elezioni pulite. Il suo assalto al potere manca di principi che lo legittimino; rida se vuole, ma alla lunga i principi sono più poderosi dei cannoni. Di principi si formano e alimentano i popoli, con principi si alimentano nel combattimento, per principi si muore.

    Non chiami rivoluzione questo oltraggio, questo colpo perturbatore e inopportuno, questo colpo a tradimento alla Republica. Trujillo è stato il primo a riconoscere il suo governo, lui sa chi sono i suoi amici nella camarilla dei tiranni che minano l'America, questo dice meglio di nulla il carattere reazionario, militarista e criminale della sua granfiata. Nessuno crede nemmeno remotamente al successo governativo della sua vecchia e putrida camarilla, è troppa la sete di potere, è molto scarso il freno quando non c'è più costituzione nè più legge che la volontà del tiranno e i suoi seguaci.

    So in anticipo che la sua garanzia alla vita sarà la tortura e il ricino. I suoi uccideranno anche se Lei non ci vuola, e Lei consenterà tranquillamente perchè si deve completamente a tutti loro. I despoti sono padroni dei popoli che opprimono e schiavi della forza sulla quale basano la loro pressione. A suo favore pioverà adesso propaganda bugiarda e demogogica in tutti i portavoci con le buone o con le cattive e contro i suoi avversari pioveranno vili calunnie; così lo ha fatto anche Prío e a nulla è servito nell'animo del popolo. Che la verità illumini i destini di Cuba e guidi i passi del nostro popolo in questa ora difficile, questa verità che voi non permettete di dire, la conoscerà tutto il mondo, correrà sotterranea di bocca in bocca in ogni uomo e donna, anche se nessuno lo dica in pubblico ne la scriva sui giornali e tutti la crederanno e il seme del ribellismo verrà seminato in tutti i cuori, è la bussola che c'è in ogni coscienza.

    Non so quale sarà il piacere folle degli oppressori, nella frusta che lasciano cadere come Cain sulla schiena umana, ma so che c'è una felicità infinita di combatterli in alzare la mano forte e dire: Non voglio essere schiavo!

    Cubani: C'è tiranno nuovamente, ma nuovamente ci saranno Mellas, Trejos e Guiteras. C'è oppressione nella patria, ma un giorno ci sarà nuovamente libertà.

    Io invito i cubani di valore, i bravi militanti del Partito Glorioso di Chibás; l'ora è di sacrificio e di lotta, se si perde lea vita nulla si perde, "vivere in catene è vivire in obbrobrio e affronto sommerso. Morire per la patria è vivere".

      Fidel Castro

Non essendo pubblicato questo irriverente articolo — chi avrebbe osato pubblicarlo? — è stato distribuito nel Cimitero di Colón da amici e simpatizzanti ortodossi il 16 marzo 1952.

Il 16 agosto 1952 è stato pubblicato sul quotidiano clandestino El acusador un articolo intitolato "Racconto critico del PPC "Ortodosso" firmato da un pseudonimo dell'autore: Alejandro. Visto che ho fatto una valutazione critica di quel partito, mi è sembrato conveniente includere quest'analisi.

    Sopra il tumulto dei codardi, i mediocri e i poveri di spirito occorre fare un'analisi breve ma coraggiosa e costruttiva del movimento ortodosso, dopo la morte del suo grande leader Eduardo Chibás.

    La formidabile chiamata del paladino dell'Ortodossia ha lasciato al Partito una quantità così grande di emozione popolare che lo ha messo alle porte del Potere. Tutto era fatto, solo era necessario saper conservare il terreno guadagnato.

    La prima domanda che si deve fare ogni ortodosso onesto è questa: Abbiamo ingrandito l'eredita morale e rivoluzionaria che ci ha lasciato Chibás..., o per il contrario, abbiamo malversato parte di questo patrimonio...?

    Chi creda che finora tutto è stato fatto bene, che non abbiamo nulla da rimproverarci , quello sarà un uomo assai poco severo con la sua coscienza.

    Quelle lotte sterili che sono sopravvenute alla morte di Chibás, quei scandali colossali per motivi che non erano proprio ideologici ma di sapore puramente egoisti e personali, ancora risuonano come martellate amare nella nostra coscienza.

    Quel funestissimo procedimento di andare alla tribuna pubblica a delucidare bizantine discordie, era sintomo grave di indisciplina e irresponsabilità.

    All'improvviso è giunto il 10 marzo. Era da prevedere che così gravissimo avvenimento strappasse dalle radici nel Partito i piccoli diverbi e i personalismi sterili. Forse è stato totalmente così?

    Con meraviglia e indignazione delle masse del Partito, le torpide discordie sono tornate. L'insensatezza dei colpevoli non considerava che la porta della stampa era stretta per attaccare il regime; ma molto ampia per attaccare i propri ortodossi. I servizi offerti a Batista con simile atteggiamento non sono stati pochi.

    Nessuno si scandalizzerà perchè così necessario racconto si faccia oggi che ha toccato il turno alla grande massa che in silenzio amaro ha subito queste pazzie e nessun momento più opportuno che il giorno di rendere conto a Chibás davanti alla sua tomba.

    Quella massa immensa del PPC è in piedi, più decisa che mai. Chiede in questi momenti di sacrificio: Dove sono coloro che aspiravano, coloro che volevano essere i primi nei posti d'onore delle assemblee e gli esecutivi, coloro che ricorrevano territori e facevano tendenze, coloro che nelle grandi concentrazioni reclamavano un posto nella tribuna e adesso non percorrono i territori ne mobilitano la strada ne chiedono i posti d'onore della prima linea di combattimento?

    Chi abbia un concetto tradizionale della politica si potrà sentire pesimista di fronte a questo quadro di verità. Invece per coloro che abbiano fede cieca nelle masse, per coloro che credono alla forza determinata delle grandi idee, non sarà motivo di allentamento e scoraggiamento l'indecisione dei leaders perchè questi vuoti vengono occupati presto da uomini interi che escono dalle file.

    Il momento è rivoluzionario e non politico. La politica è la dedizione dell¡opportunismo di coloro che hanno mezzi e risorse. La Rivoluzione apre passo al vero merito, a coloro che hanno coraggio e ideale sincero, a coloro che espongono il petto nudo e predono in mano lo stendardo. A un Partitto Rivoluzionario deve corrispondere una direzione rivoluzionaria, giovane, di origine popolare che salvi Cuba.

      Alejandro.

Poi abbiamo creato una stazione radiofonica clandestina che ha fatto quel che poi ha fatto Radio Rebelde sulla Sierra. In tempo relativamente breve mimeografo, stazione radiofonica e quello poco che avevamo è andato alle mani dell'esercito golpista. Allora ho imparato le regole alle quali doveva rispondere una cospirazione che ci ha portato all'attacco del Moncada.

Prossimamente verrà pubblicato un piccolo volume con due idee fondamentali che sono state sintetizzate in due discorsi: quello di Rio de Janeiro nel Vertice delle Nazioni unite sull'Ambiente e lo sviluppo più di 15 anni fa, e quello pronunciato nella conferenza internazionale Dialogo di civiltà due anni e mezzo fa. Raccomando ai lettori di analizzare bene entrambi i documenti. Vi prego di scusarmi per questa pubblicità gratis.


    Fidel Castro Ruz
    Agosto 25, 2007
    18:32



Fonte: Granma Internacional Digital

Granma Internacional Digital. Edizione italiana

http://www.granma.cu/italiano/2007/agosto/lun27/reflexiones.html
L'Avana. 27 Agosto 2007


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