Fina García Marruz (La Habana, 1923). Premio Nazionale di Letteratura 1990.
Fina García Marruz è considerata attualmente come una delle voci più audaci, belle ed inquietanti della poesia cubana. Ha esordito nel 1942 con Poemas una raccolta influenzata dal magistero poetico di Juan Ramón Jiménez che a Cuba aveva fatto tappa nel cammino del suo esilio dalla Spagna in guerra. Fina apparteneva già insieme a Cintio Vitier, suo compagno di vita, ed a Eliseo Diego che lo fu di sua sorella Bella, ad un "lignaggio petico" che ben presto sarebbe confluito nello straordinario gruppo guidato da José Lezama Lima intorno alla rivista "Orígenes". Allieva ed amica di Maria Zambrano con cui mantenne una fedele corrispondenza quando la filosofa lasciò Cuba per il Messico, Roma, la Svizzera e finalmente di nuovo la Spagna, ha coltivato insieme agli "origenistas" una poetica della resistenza, animata da un cristianesimo razionale leggibile nel suo Transfiguración de Jesús en el monte (1947) pubblicato poi nella raccolta Las miradas perdidas (1951) in cui si rende evidente il suo pensiero poetico trascendentale e la sua originale estetica dell'esteriorità delle cose. Nel 1970 pubblica Visitaciones e negli anni ottanta riscrive l'avventura rivoluzionaria sandinista nel Viaje a Nicaragua e negli anni novanta pubblica Verso amigo con un evidente richiamo al suo ammirato José Martí. Fina García Marruz coltiva i temi della cubanità, della memoria e del cattolicesimo, individuando l'eterno nella fugacità, rilevando l'intimità nell'epicità, conciliando l'arte pura con un impegno che non diventa mai retorica. Per dirla con le sue stesse parole:
"Ama la sua vita ordinaria, la sua partecipazione alle cose comuni, come fossero il più elevato mistero".
da Visitaciones, 1970.
ADESSO ANCH'IO SONO FRA GLI ALTRI
Adesso anch'io sono fra gli altri
che dicevano guardandoci, con l'aria
di una finissima tristezza "Suvvia, giocate"
per allontanarci. E nella penombra bella
delle panche dei parchi al tramonto
Di cosa parlavano, oh dì, e chi erano?
Superiori, come dei, facevano pena.
Si assomigliavano moltissimo se lenti
ci guardavano distanti, come un gruppo
di alberi uniti da un giorno d'autunno.
Adesso anch'io sono fra gli altri
di cui ci burlavamo a volte,
lì come sciocchi, così stanchi.
Noi, i piccoli, noi che non avevamo
nulla, guardavamo, senza vederli,
quel loro modo di essere tutti d'accordo.
E adesso
che ho camminato lenta fino alle loro panche
per riunirmi a loro per sempre,
adesso anch'io sono fra gli altri,
i maggiori di età, i malinconici,
ma come sembra strano, non è vero?
da In morte di Ernesto Che Guevara, 1983.
1
I NOMI E I FATTI
Da La Paz giungono telegrammi di guerra.
Il leggendario guerrigliero è morto ieri in uno scontro.
A che ora? Si sa? All'alba, di notte...?
È vivo o è morto? sussurrò un boschetto.
Il crepitio delle mitragliatrici
nel silenzio della puna occhio di tigre.
I militari si riunirono a Santa Cruz
per negare il cadavere.
"La faccenda dei suoi resti è affar nostro",
farfugliarono i militari.
"Tuo fratello è già stato sepolto", disse
una piccola valle di Bolivia;
È una perdita continentale", tuonò un retorico.
Gli esperti assicurano che il guerrigliero crivellato
è lo stesso che a diciannove anni
è andato di leva.
Le autorità voglio circondare il fatto
con tutte le garanzie necessarie.
Tutte le Garanzie Necessarie:
bisogna portare il morto a La Paz.
Il padre non crede alla morte del figlio.
Il corrispondente britannico certifica
di essere l'unico ad averlo conosciuto vivo.
(Gesti di dubbio fra gli astanti).
"Sembra più piccolo e magro
di quando ho parlato con lui in ambasciata".
"Ma le fatiche sopportate, la selva boliviana,
l'assedio, possono spiegare il cambiamento".
"Non sorprende", assicura gelido.
L'agente nordamericano
lanciò un grido nel vederlo e scappò via.
"Dove scappa?", chesero. "In nessun posto".
fu la sua brusca risposta.
Torrenti di parole e torrenti di versi
si riverseranno adesso sull'eroe.
Ma il nudo fatto sarà sempre il suo miglior epitaffio.
La silenziosa geografia americana
porterà adesso il figlio
sulle vette del suo livido argento.
Fu sepolto in segreto, a Valle Grande.
da Créditos de Charlot, 1991.
CINEMA MUTO
Non è che gli manchi
il suono,
è che possiede
il silenzio.
da Verso amigo, 1999.
"Todo empieza como con queja,
y con los ojos arrasados".
José Martí
Non tutto finisce. Tutto comincia,
come con un lamento. Tutto comincia,
e con gli occhi arrossati.
Ah, padre. Il dolore genera.
L'amore dorme su di una foglia.
Incantesimo azzurro è l'amore.
Rosso, come garofano che esplode
nell'ombra, pallido, ardente
è l'amore. Tutto comincia.
A tratti, rompendo
la nuvolaglia, la pena
di aver tanto sperato.
Albeggerà. Sapremo
che l'ora del lutto
sarà ormai passata, da questa
strana dolcezza.
Basilia Papastamatíu (Buenos Aires, 1940. Dal 1969 risiede all'Avana).
Nata a Buenos Aires da una famiglia appena emigrata dalla Grecia, Basilia Papastamatíu ha scelto di vivere a Cuba dopo un breve passaggio nella Parigi del '68 e di "Tel quel". A Buenos Aires era stata fondatrice e redattrice della rivista "Airón" per i cui tipi aveva pubblicato El pensamiento común (1966). Nella Cuba della rivoluzione ha lavorato per anni come critica letteraria del quotidiano "Juventud Rebelde"; attualmente è consulente editoriale della casa editrice Letras Cubanas. ¿Qué ensueños los envuelven? (1984) è un testo di composizioni poetiche sperimentali che vanno dal flusso di coscienza alla citazione intertestuale, al frammento; Paisaje habitual (1986) esplora i pensieri e i sentimenti degli uomini e il modo in cui si manifestano nel linguaggio. In Allí donde (1996), confessa lo spavento e il rifiuto della logica perversa che sembra pervadere la fine del secolo e che rischia di annullare ogni etica. Il suo ultimo libro, Dónde estábamos entonces (1998), attraversa la storia liberandosi d' ogni orpello, alla ricerca di una lingua asciutta con cui porre le domande essenziali a un mondo che non crede più nel mistero. Uscirà nel 2003 Dorados recintos, per le edizioni Unión.
da Dónde estábamos entonces, 1998.
A CHE TI SERVE, SVENTURATO
per chi muori: non sei altro che un breve sospiro
perciò, se hai pudore
e ti commuove profondamente
e significa per te un dolce sollievo
che non ti irriti o scacci
alle porte della tua amata
per qualcosa di meno della lealtà
e se le sue lacrime ti han cacciato via malgrado te
resta forse qualche luogo nel tuo cuore?
È lecito aggrapparti
al falso godimento temendo
per tutto il suo amore insistente
e pretendere di accattivare con libere parole
che un sì scarso amore giustificano?
CI SARÀ MIGLIOR VITA IN QUESTA DIMORA DEL MONDO
Donna insensata
dal cuore a pezzi
che fugge dal suo letto
e in un ultimo lamento
seppellisce nel vino amaro
le rovine della sua fede
Annega così il vano fervore
della sua natura pietosa
per cedere agli eccessi
del suo pensiero catturato
L'ALTRA IMPRONTA
pensare che io ero l'unica che nella tua vita che ero
la tua gatta cianciosa e che ti davo con questo amore e con
questa pace per tranquillizzare il tuo spirito e il tuo incessante
che era come una grande sete
e con una tenacia che ti faceva cercare, laggiù,
nelle viscere, dove ancora nessuno c'era prima
e che, come una calamita, ti attraeva, e come un vulcano
spento?
che come una luce fugace, sognando? percorrevi
e con il tuo stesso splendore, illuminavi
il sentiero che conduceva (era possibile?) alla tua stessa
anima quella che con certezza dominava ogni altra
e ogni altro corpo per farti dimenticare
fra le sregolatezze e le meschinità che ti
facevano cavillare
e malgrado l'ostinazione e l'incomprensione
la resistenza che ti opponevano dura come
l'acciaio quelli che dai tunnel della loro cattiva
memoria si dedicano a cacciare e con la loro cattiva
sorte trascinano con sé (o dietro di sé?) perché sono
ossi duri da rodere, indesiderabili pietre nel nostro cammino di (eterni?)
come potremmo allora essere guide e popolari
e conduttori
come caduti dal cielo per estirpare con
la nostra lotta, una volta per tutte
e costruire e versando se fosse necessario
per questa felicità che un giorno tutti, senza eccezione,
perfino i più sospettosi e perfino quelli che avevano più
ragioni
per occultare e mentire, incessantemente
e per rinnegare, una e mille volte
le cose in cui tanto credevano e difendevano
(per cui non la smettevano di baciare e ringraziare
per questo,
anche se adesso vengono e giurano
lamentele di ingrati sospiranti? sospiri di
lupi mannari?
e così rotoliamo per questo mondo senza riposo
noi che non chiedemmo di nascere?
trasformati in re e principesse?
fino al giorno in cui
con il cuore a pezzi
(come quello di chi?)
come quelli di uno che come me? che sono stata
sempre per te?
come una gatta cianciosa e con amore e pace
per il tuo spirito
o di uno che come io con te?
e non è neanche facile esercitare e perdonare e ospitare
pensieri così (ma così)
come i tuoi? e con me? così gattina che ti ama
e cianciosa e per sempre e unica?
e per questo popolo che tu (come me
potresti forse dimenticare?
A TERRA!
dissero
e secondo il vecchio ordine, si dichiararono manipolatori delle loro anime deserte.
Capricciose fantasie della loro demenza o vendetta dei felici? Bisogna entrare
in azione ma come
Uomini miei, mal disposti all'oblio: come glorificare la loro venalità? Il loro
amore sta nel sangue o nella trascuratezza? Posso paragonarmi a questi
manichini armati? C'è qualcosa di più detestabile della loro pigra compiacenza?
Ai morti la risposta.
CHE LA NOSTRA SCONFITTA
non alimenti nuovi appetiti
Non seppelliamo ancora
i nostri pensieri
Che la nostra sconsolatezzav
non ci obblighi a mentire
(ma se non mentiamo potranno forse crederci?
GIRAVANO AL LARGO
portando a spasso la loro inumana immagine di nemici superbi
(dove eravamo allora?)
e per l'ebbrezza delle loro menti
pretendono magari adesso
di vivere liberi del nostro giudizio
vorranno essere così barbari
ambiscono un tale destino
che mitighi e protegga
ci saranno ragioni per piangere
Questi sono i ferri delle loro bocche
e queste le loro spoglie
(che non ci siano avverse)
Nancy Morejón (La Habana, 1944). Premio Nazionale di Letteratura 2001.
Saggista, traduttrice, giornalista, Nancy Morejón ha fatto parte della prima generazione che ha frequentato l'Università riformata dalla rivoluzione dove si laureata in lingue. Ha lavorato per anni a fianco del grande poeta mulatto Nicolás Guillén con il quale condivideva la condizione razziale, l'interesse per il Caribe multietnico, multiculturale e plurilinguistico e l'amore per la bellezza che traspare nella sua opera poetica. Ha esordito nel 1962 con Mutismos cui fece seguito, nel 1964, Ciudad atribuida. Nel 1967, Richard trajo su flauta y otros argumentos, attrasse l'attenzione su questa giovane poetessa afrocubana che cercava un equilibrio fra "il meglio di un passato che ci aveva sottomesso senza compassione alla filosofia dello sfruttamento, e un'identità travolta dalla ricerca della sua migliore definizione". Dopo un silenzio riempito da una produzione saggistica, Morejón torna alla poesia con Parajes de una época (1979), Elogio de la danza (1982) e, nello stesso anno, Octubre imprescindibile, dove presta alla grande storia la stessa attenzione che merita la piccola storia della nonna che ricama la tovaglia per la mensa del suo padrone. "La Rivoluzione sta in me come una scheggia nella ferita, come il sole di ogni giorno, come la cangiante luna del mio quartiere", ha dichiarato Nancy nel discorso di accettazione del Premio Nazionale di Letteratura. La rivoluzione vive e si nutre dentro la scrittura di questa poetessa che ha prodotto ancora Piedra pulida (1986), Paisaje célebre (1993) e La quinta de los molinos (2000), in cui approfondisce i temi della negritudine e del Caribe che nei suoi versi non sono ghetti della diversità, ma luoghi dell'incontro e dell'attraversamento.
da Piedra Pulida, 1986.
A UN RAGAZZO
Fra la spuma e la marea
si leva la sua spalla
quando la sera ormai
se ne scendeva sola.
Ebbi i suoi occhi neri, come erbe,
fra le brune conchiglie del Pacifico.
Ebbi le sue labbra fini
come un sale ribollente nell'arena.
Ebbi poi il suo mento di incenso
sotto il sole.
Un ragazzo del mondo su di me
e i cantici della Bibbia
modellarono le sue gambe, le sue caviglie
e le uve del sesso
e gli inni pluviali che nascono dalla sua bocca
coprendoci come due nauti
avvolti nel velame incerto dell'amore.
Fra le sue braccia vivo.
Fra le sue braccia dure volli morire
come un uccello bagnato.
MADRE
Mia madre non ebbe giardino
ma isole rocciose
galleggianti, sotto il sole,
con i loro coralli delicati.
Non ci fu un ramo pulito
nella sua pupilla ma molto garrote.
Che tempi quelli quando correva, scalza, sulla calce degli orfanotrofi
e non sapeva ridere
e non poteva nemmeno guardare l'orizzonte.
Non ebbe il trono d'avorio,
né la sala di vimini,
né le vetrate silenziose del tropico.
Mia madre ebbe il canto e il fazzoletto
per cullare la fede delle mie viscere,
per alzare la sua testa di regina inascoltata
e lasciarci le sue mani, come pietre preziose,
davanti ai resti freddi del nemico.
da Parajes de una época, 1979.
DONNA NEGRA
Sento ancora l'odore del mare che mi hanno fatto attraversare.
La notte, non posso ricordarla.
Nemmeno l'oceano potrebbe ricordarla.
Ma non dimentico il primo albatro che scorsi.
Alte, le nubi, come innocenti testimoni presenziali.
Forse non ho dimenticato né la mia perduta costa, né la mia lingua ancestrale.
Mi hanno lasciato qui, e qui ho vissuto.
E poiché qui ho lavorato come una bestia,
qui sono tornata a nascere.
Ho fatto ricorso ad ogni epopea mandinga.
Mi sono ribellata.
Sua Signoria mi ha comprato in una piazza.
Ho ricamato la casacca di Sua Signoria e gli ho partorito un figlio maschio.
Mio figlio non ebbe nome.
E Sua Signoria morì per mano di un impeccabile lord inglese.
Ho camminato.
Questa è la terra dove ho patito castighi e frustate.
Ho remato lungo il corso di tutti i suoi fiumi.
Sotto il suo sole ho seminato, ho raccolto ma non ho mangiato il frutto.
Per casa un barracón.
Io stessa ho portato pietre per costruirlo,
ma ho cantato al ritmo naturale degli uccelli nazionali.
Sono insorta.
Su questa stessa terra ho toccato il sangue umido
e le ossa marcite di tanti altri,
tratti ad essa, o no, come me.
Mai più ho immaginato il cammino per la Guinea.
Era la Guinea? Il Benin? Era il Madagascar? o Cabo Verde?
Ho lavorato ancora di più.
Ho fondato meglio il mio canto millenario e la mia speranza,
qui ho costruito il mio mondo.
Sono scappata nel monte.
La mia vera indipendenza fu il palenque
e ho cavalcato fra le truppe di Maceo.
Appena un secolo più tardi,
insieme ai miei discendenti,
da un'azzurra montagna
sono scesa dalla Sierra,
per farla finita con capitali e usurai,
con generali e borghesi.
Adesso sono: solo adesso abbiamo e creiamo.
Nulla ci è estraneo.
Nostra è la terra.
Nostro il mare e il cielo.
Nostra la magia e la chimera.
Gente come me vedo qui ballare
intorno all'albero che abbiamo piantato per il comunismo.
Il suo prodigo legno già risuona.
da Octubre imprescindible, 1982.
4
L'estate cade come un mistero sull'Avana.
Uno sguardo avvolge questo golfo di spume:
Sul mio dondolo sto traducendo Roumain. Gli strilli
e i rumori assaltano questa casa
alla maniera di Francis Drake, con una tempia per ogni piuma.
Posso tradurre a stento. La mia testa si esalta.
Quanta asfissìa mi chiedono. Quante enormi invasioni in me.
Fort-de-France esiste davvero? È la Madama Fort-de-France?
Mi porta la Giamaica queste carte, questi versi?
Sorvola la mia anima Port-au-Prince?
Le chiglie intorno a La Ferrière si incagliano
.
Barbados, un negro scaricatore?
E Guadalupe, un negro schiavo?
E dove hanno lasciato Portorico?
E Trinidad-Tobago, è vero forse che reclama
la presenza della Cuba insulare?
Qual'è la mia ansia e il mio ricordo?
Quali mi appartengono?
Reina María Rodríguez (La Habana, 1952).
L'autrice appartiene a una generazione poetica che da un conversazionalismo di alto livello (Ernesto Cardenal, Eliseo Diego) è andata derivando verso un intellettualismo che consente di raffreddare una passione che tuttavia continua a vibrare nell'ambito sensoriale, allo scopo di tenere a bada il rischio degli eccessi. Critica letteraria, redattrice di programmi per la radio, animatrice ospitale sulla sua celebre terrazza dell'Avana di gruppi di giovani inquieti, desiderosi di ricercare una propria originalità, Reina María Rodríguez ha esordito nel 1976 con La gente de mi barrio; con Cuando una mujer no duerme del 1980 vinse il prestigioso premio Julián del Casal e con Para un cordero blanco il premio Casa de las Américas del 1984. En la arena de Padua è del 1992.
da Para un cordero blanco, 1984.
NON PIÙ
non tornerò ad avere 28 anni
non sarò più bella e distante
non avrò mai i piedi dritti
il volto senza macchie
né le lingue che non son riuscita a imparare.
non terrò più una foglia di edera
buona salute e serenità
e non sarò mai Maria Egiziaca
né la prima donna di nessuno
e non pattinerò né mi scuoterò i difetti
come si scuote via una farfalla.
ormai davvero non avrò quelle domeniche
senza luna calante
né la velocità nel camminare nei paesaggi;
né una buona vista né un cuore ardente
né torneranno mio padre e mio fratello.
non riceverò più le tue carte con pioggia
né premonizioni né vuoti allo stomaco.
non avrò più un ombelico piccolo
dove ci sedevamo a guardare.
non imparerò i nomi degli alberi
dove resta il sud l'immensità
non saprò mai più le strategiche
come mettere la rotta nella bussola
nessuno mi toglierà più gli sbagli
né le cose che amai
non più
però.
A VOLTE MI PAR D'ESSERE ANTIPOETICA
pare che
l'amore abbia grandi problemi di trasporto.
prima con la peugeot blu venivi
scappavi dall'agenda
volavi sulle quattro ruote confortevoliv
e l'amore era un ponte.
adesso la macchina è rotta
e muovi il mondo dal tuo ufficio
organizzi la mia stanchezza io
sola in questo ospedale conto le gocce.
sono morti i Romeo di provincia
senza scala non salgono
anche se hanno messo tutti
i papaveri sulla corda.
fra un mese forse
verrai a prendermi con l'auto
rossa magari.
IMMAGINI VIA SATELLITE
gli aerei stanno volando basso.
la nostra difesa si addestra a un possibile combattimento.
si sentono le sirene l'altoparlante
ATTENZIONE ATTENZIONE ATTENZIONE
i bambini sono contenti come se fossero
aerei giocattolo.
marines yankees in manovre belliche nel Caribe
a Piura, Chimbote, Lambayeque e Libertad la popolazione
fustigata dalle inondazioni muore di fame e
di abbandono... marines yankees nella parte di Cipro occupata
dalla Turchia... i torrenziali acquazzoni flagellano
la costa atlantica della Repubblica Domenicana e il passaggio
della Patria in Argentina... ondata di terrore contro
civili palestinesi in Libano... a bordo del Challanger
anche una donna nordamericana per la prima volta viola
lo spazio... comincia la Conferenza per la Pace e la Vita
a Praga... Gli Stati Uniti hanno lanciato la loro prima prova
con l'MX, in mezz'ora l'uccello nero è arrivato sul Pacifico...
i bambini che invecchiano 10 anni ogni anno
gli invalidi quelli senza speranza per effetto
di Hiroshima e Nagasaki non vogliono
che la bomba come un fungo dorato
piombi e rubi loro l'infelicità.
la metà delle donne del terzo mondo
soffrono di anemia cronica
ma vogliono vivere e sperano.
un principe medioevale resuscita
nella sua cassa di piombo
ristretto e ancora roseo
vuole il suo pezzetto di immortalità.
IL MONDO IL MONDO IL MONDO
continuano ad arrivare immagini via satellite.
come una fiamma di petrolio
il futuro anche arriverà.
da En la arena de Padua (1992)
LE ISOLE
guarda e non le trascurare.
le isole sono mondi apparenti.
ritagliate nel mare
trascorrono nella solitudine di terre senza radici.
nel silenzio dell'acqua una macchia
per essersi ancorate solo quella volta
e aver posto gli avanzi della tempesta e le raffiche
sulle onde.
qui i cimiteri sono belli e piccoli
e stanno al di là delle cerimonie.
mi son bagnata per sedermi sull'erba
è la zona di bruma
dove accadono i miraggi
e torno a sorridere.
non so se sei qui o se è il pericolo
comincio ad essere libera fra questi limiti che si scambiano:
certamente farà giorno.
le isole sono mondi apparenti
coperture della stanchezza negli iniziatori della calma
so che solo in me stette quella volta la realtà
un intervallo fra due tempi
ritagliati nel mare
sono lanciata verso un luogo più tenue
le ragazze che saranno giovani ancora una volta
contro la saggezza e la rigidità di quelli che invecchiarono
senza i movimenti e le contorsioni del mare
le isole sono mondi apparenti macchie di sale
un'altra donna lanciata su di me che non conosco
solo la vita minore
la gratitudine senza fretta delle isole in me.
ESSE SCRIVONO LETTERE D'AMORE
scrivono fino a quando si spegne la luce
fino a quando si esaurisce la fiammella.
scrivono nei bagni negli uffici
nascoste dai loro maestri e dai ratti.
scrivono ancora senza riposo
per gettare nel fondo dei bauli
cosucce morte le lettere incollate alla carta
la sofisticazione delle parole
che volevano fare
qualche monellerie mai esatta.
esse scrivono lettere d'amore con preamboli
piccole carte messe e tornate a mettere
in modo differente.
lanciate dal globo dell'astuzia
dall'ospedale dal castello
dove appaiono i sogni che non potettero essere afferrati.
con lo stesso timore che serve per scendere da un piedistallo umido
sonnambule esse scrivono
senza altra tecnica se non un cuore leggermente corrotto
dalle feroci grinfie degli anni
dall'inchiostro blu pietrificato nelle notti d'attesa
esse scrivono per convincere qualcuno
per convincere una sola persona
che magari non è venuta
o si è persa definitivamente
fra la moltitudine.
CON LA PASSIONE DI GIOVANNA D'ARCO
che importa il freddo
se uno s'inventa il suo calore nelle parole
che si vanno bruciando
una contro l'altra fino alla chioma che comincia
ad ardere disperatamente.
che importa qui seduta
minuto dopo minuto
questo freddo e questo caldo alternandosi
con la morte e la luce:
la sensazione di una spada nel silenzio
taglia la mia lingua.
che importa se la protezione scaccia il fuoco.
può essere che la notte la faccia finita con la sua cupidigia
allora
inventerò la fiamma.