Altari della Santería (Scuderie di Palazzo Aldobrandini, Frascati, 25-26 Marzo 2006). Una Esposizione
Carlo Nobili
Allestita nelle Scuderie di Palazzo Aldobrandini ed organizzata (in occasione della Festa per il Tesseramento) dal Circolo "Celia Sánchez" di Frascati e dal Sito WEB Cuba. Una identitŕ in movimento — con la collaborazione del Comune di Frascati (Assessorato alle Politiche Culturali) e della Provincia di Roma —, l'Esposizione "Altari della Santería cubana" ha rappresentato una prima occasione per far conoscere al pubblico romano, accorso in gran numero ed alquanto entusiasta ed incuriosito, alcuni aspetti che compongono una delle piů complesse, resistenti e vitali religioni afroamericane. A proposito di questa vitalitŕ un amico cubano, l'Olocha e Mayombero, Usniel Daniel González, mi ricorda che per capire a fondo la cultura cubana non č possibile prescindere dalla Santería e dai suoi rituali, perché essa č uno stile di vita, un modo per conoscere il mondo circostante... la Santería a Cuba č ovunque, nella musica, nel cibo, nel modi di vestire, nelle risa delle figlie di Ochún, Oyá o Yemayá, la troviamo nelle strade dell'Avana, nella gente vestita tutta di bianco, nei cortei funebri… nei passaggi a livello, nel lungomare della capitale, il Malecón, e... persino nell'aria che si respira.
L'Esposizione — ideata e curata da Carlo Nobili e Donatella Saviola del Museo Nazionale Preistorico Etnografico "Luigi Pigorini" di Roma, con la consulenza di Yohanka Alfonso Contreras (antropologa, ex direttrice del Museo di Bejucal, L'Avana) e la collaborazione di Violetta Nobili, Antonio Maiorino e Paolo Martini (rispettivamente Segretario ed Economo del Circolo di Frascati) — era costituita da:
- un grande altare di oltre 100 oggetti rituali e un numero indeterminato di oggetti non convenzionali (velari multicolore ed altro);
- 11 pannelli didattici (testo e foto), che avevano lo scopo di introdurre il tema e creare il contesto attraverso il quale si ascrive questo fenomeno religioso che svolge un ruolo fondamentale nella determinazione della cultura e dell'identitŕ cubana;
- 80 fotografie di grande formato in cui vi erano rappresentati, oltre alla festa habanera del Día de Reyes (il Giorno dei Re) del 6 gennaio, anche numerosi altari domestici ripresi tra il 1996 e il 2002 nei barrios di Regla e Guanabacoa all'Avana;
- una postazione audio da dove veniva irradiata per tutta la sala musica, cantos y rezos della Santería (Lázaro Ros, Merceditas Valdes, Yoruba Andabo, Muńequitos de Matanzas, ecc.)
- una postazione video a grande schermo con proiezioni di film e materiali inerenti al tema trattato;
- un postazione informatica con il multimediale "Los Orishas en Cuba", di Natalia Bolívar Aróstegui.
L'altare
Gli altari della Santería a Cuba, esempi di un'arte plastica ancora poco studiata e che in genere, anche nei modelli domestici e personali (quelli che č possibile vedere in quasi tutte le case dei cubani, anche in quelle piů povere), mescolano il disegno con la pittura, la scultura con la scenografia e manifestano, anche grazie a piante, fiori, frutta, pietre, strumenti di lavoro e musica, la straordinaria ed intima relazione tra uomo, natura e divinitŕ, dandoci cosě una visione ontologica di questo paese caraibico. Questo fenomeno ci mostra come tra le culture della Diaspora il patrimonio mitico-rituale dell'etnia di origine — malgrado le molte coercizioni abbiano scomposto da subito i vincoli di lignaggio e compromesso l'organicitŕ delle mitologie originarie — non sia stato mai dimenticato del tutto, ovvero come la cultura afroamericana, nello specifico afrocubana, sia riuscita a ricomporre e ricontestualizzare, anche in forme sincretiche e imprestiti culturali dalla cultura bianca (e per certi versi dalla india), quella porzione di culti africani di cui non perse mai la memoria. Di fatto, arrivando a Cuba, gli schiavi trovarono una molteplicitŕ di santi e li adottarono nel loro sistema religioso reinterpretandoli e utilizzandoli come un mezzo per esprimere le loro concezioni religiose, permettendo cosě che gli "dei africani in esilio" si trasformassero in potenze regnanti sui territori dei culti afroamericani.
Formato grazie ad una Collezione Privata di oggetti santeri ed allestito con stoffe che richiamavano colori ed elementi naturali a raffigurare simbolicamente ciascuno oricha del ricco pantheon yoruba (l'etnia di origine nigeriana diffusasi nell'Isla in seguito alla Trata negrera), l'altare ricostruito nella prestigiosa sala delle Scuderie di Palazzo Aldobrandini voleva essere una ricostruzione filologica di questo aspetto materiale e consueto della fede religiosa del cubano, il quale dinanzi ad esso si prostra, chiede grazie e favori agli orichas, gli parla delle proprie inquietudini o gli fa offerte simboliche: venerare questi oggetti su un altare, accendendo candele e offrendo cibi, costituisce uno degli aspetti piů importanti della religiositŕ del cubano.
La parte centrale dell'altare era dedicata a Yemayá, la sensuale divinitŕ dei mari e della maternitŕ, con i suoi attributi: la sopera (ricettacolo in terracotta dove vengono contenuti tutti gli attributi di una divinitŕ) di color blu, il corallo, le collane e la rappresentazione del santo in cui a Cuba viene assimilata, la Virgen de Regla. A fianco a questa, la postazione di Ochún, la dea dei fiumi e della bellezza, con i suoi ventagli (abebe), la corona dorata e il colore giallo, a rappresentare l'oro. All'altro lato č stata posta, con il colore viola e le sue collane, la rappresentazione della padrona dei cimiteri, Oyá, colei che rappresenta uno dei cinque elementi vitali, l'aria, ma anche colei che simboleggia il passaggio dalla vita alla morte. A fianco di questo primo gruppo di tre divinitŕ, il poderoso Changó, divinitŕ del fuoco, del lampo, del tuono e della guerra, rappresentato attraverso un mortaio capovolto, la batea di legno di cedro (Cedrela mexicana), l'ascia bipenne (oché) e la spada. Su tutti, con il suo colore bianco e l'agogó (chiamato anche guataca o rebj), i bracciali e gli anelli metallici a forma di serpente, Obatalá, il creatore del genere umano, oricha della pace e della giustizia, "dueńo de todas las cabezas".
A terra, su di una stuoia africana, vi erano le postazioni di Orula, l'oricha della divinazione, con i suoi parafernalia divinatori, l'ekuelé (o cadena de Ifá) ma soprattutto il tablero de Ifá (Até o Opón Ifá), un grande piatto in legno di cedro — entrambi di esclusivo uso del babalawo (letteralmente "padre del segreto", massimo sacerdote nella gerarchia santera) —, l'iruké (uno strumento fatto con una coda di cavallo che serve per liberare dalle cattive influenze), l'irofá (uno strumento in corno di cervo con il quale si battono colpi sul bordo del tablero durante le cerimonie di divinazione per attirare l'attenzione degli oddun), l'uke, un pennello di crini di cavallo che serve per pulire il tablero dalla polvere yefá, ecc.; di Elegguá, la divinitŕ, capricciosa ed imprevedibile, spietata ma anche burlona ed irriverente, che possiede le chiavi del destino umano e con le quali puň aprire o chiudere, a suo piacimento, le porte della disgrazia o della felicitŕ grazie allo strumento che gli č proprio, il garabato, una sorta di gancio o di ramo curvo in legno di guayabo (Psidium guayava); di Oggún, dio dei metalli e delle fucine, rappresentato da un mariwo di fibre di palma, il caldero di ferro, i suoi strumenti di fabbro e il colore verde delle stoffe; di Ochosi, il dio della caccia, con arco e frecce; del taciturno e distaccato Osun, che forma insieme ad Elegguá, Oggún ed Ochosi, il particolare gruppo di orichas denominato dei guerreros. Tra gli orichas trovava posto anche un Embomba, ossia la rappresentazione in ceramica dell'indio cubano, a testimoniare quanto, malgrado la loro precoce scomparsa, i Taíno e i Siboney, le due etnie che abitavano l'isola prima dell'arrivo degli Spagnoli, siano ancora ben presenti nella memoria storica del cubano, il quale gli riconosce un ruolo non certo marginale nell'ereditŕ culturale e nel processo di transculturazione del paese. Ancor'oggi, nella zona che va da Punta Maisí (nella provincia di Guantánamo, sulla costa meridionale), e a Puerto Gíbara (sulla costa settentrionale) — dove numerosi sono i caseríos, nuclei familiari di discendenza indiana —, ma soprattutto a Caridad de los Indios, nei pressi del Municipio di Yateras — dove assai vasta č la comunitŕ costituita da discendenti indocubani ben riconoscibili grazie ai caratteri somatici —, č possibile raccogliere testimonianze di letteratura orale indigena (miti, canti e leggende).
Sempre a terra č stata allestita la plaza, quello spazio piů prossimale al fedele, in cui trovano posto le varie maracas con le quali vengono salutati i santi (moyugbar) e tutte le offerte che ad essi vengono fatte, soprattutto frutta, zucche, dolci, sigari, ron, candele e denaro. Sulla parte di fondo dell'altare sono stati quindi collocati 12 piccoli quadri, acquerelli su legno, in cui vi erano rappresentati, in maniera allegorica, gli orichas Elegguá, Oggún, Changó, Orula, Obatalá, Yemayá, Ochún, Ochosi, Oyá, Aggayú Solá (bellicoso e collerico, padrone della terra secca, del deserto e dei vulcani), Babalú Ayé (l'oricha del vaiolo, della lebbra, delle malattie veneree e delle affezioni della pelle, rappresentato come un vecchio malato e sofferente, appoggiato a delle stampelle ed in compagnia dei suoi due fedeli cani) e Obba (l'oricha, custode e guerriera senza rivali, sincretizzato con Santa Rita da Cascia o Santa Caterina da Siena).
Oru del Igbodú (o Oru seco) e Oru de Eyá aranlá (o Oru cantado)
Davanti all'altare, domenica 26 marzo, un Conjunto de Tambores Batá (i tre tamburi sacri usati nelle cerimonie santere) ha quindi celebrato un Oru del Igbodú o Oru seco, una sorta di presentazione dei vari toques propri di ogni santo che ha sostanzialmente la funzione rituale di chiedere il permesso agli orichas per dar inizio alla cerimonia, di salutarli e di chiamarli a partecipare alla festa. Ricordiamo che i toques rispettano un preciso ordine di chiamata, a cominciare da Elegguá, che č sempre la prima e l'ultima divinitŕ a ricevere omaggi e offerte in qualsiasi cerimonia santera; dopo un secondo toque a Elegguá, sarŕ la volta di Oggún, quindi Ochosi, Obaloké, Inlé, Babalú-Ayé e via via tutti gli altri. Diversamente dalle altre cerimonie, l'Oru del Igbodú non termina con un toque a Elegguá in quanto questa non č realmente la fine, ma l'inizio della festa che poi si svolgerŕ, distante dall'altare, fuori del Igbodú; il canto a Elegguá verrŕ poi intonato alla fine della cerimonia pubblica.
Il Conjunto, formato dall'olú-batá (il percussionista piů esperto) Humberto "La Película" Oviedo all'Iyá (il tamburo piů grande, letteralmente "madre"), Reynaldo "Gollito" Hernández all'Itótele o Omelé enkó (il mediano, "colui che segue sempre") e da Antonio Nigro all'Okónkolo o Kónkolo o Omelé o omó (il piů piccolo, "figlio"), non ha mancato di mostrare, in un continuo dialogo e incastro ritmico, quanto varia sia la ricchezza poliritmica di questi tamburi bimembranofoni di origine yoruba. Il continuo, a volte grave e al contempo acuto, repiqueteo dei cuoi battuti a mano limpia (ossia senza l'ausilio di bacchette o bastoncini) ha coinvolto il pubblico e ha creato un'atmosfera di grande entusiasmo ed apprezzamento nei confronti dei musicisti e di quello che andavano, in maniera cosě partecipativa, rappresentando. Il Conjunto ha poi eseguito un Oru de Eyá aranlá o Oru cantado, ossia una musica cantata e danzata in cui il coro (ankorí) risponde al cantante solista (akpwón). In questo contesto si sono inserite le performances dei maestri ballerini della Scuola di Folklore Cubano Aché di Roma, Ulises Mora e Irma Castillo. Il primo ha eseguito la danza di un Elegguá, dispettoso ed allusivo, ma anche dagli atteggiamenti protettivi, come a voler ricordare, cosě come recita un suo patakí (mito), che questa sorta di trickster č sempre pronto a correre in aiuto di chi lo chiama e a far cadere barriere e ostacoli se deve favorire un suo protetto. Irma Castello — in onore dell'altare, la cui parte centrale era dedicato alla divinitŕ del mare — ha invece impersonato Yemayá in una danza dapprima dolce e soave, quindi sempre piů intensa e dai movimenti agitati ed irrequieti, come a voler rappresentare l'allegro andirivieni delle onde marine, ma anche i mulinelli e le ondate minacciose del mare in tempesta.
A chiusura della manifestazione la cantante russo-cubana Renata Mezenov Sá ha offerto un recital di canzoni cubane in versione solista. Con le sue straordinarie capacitŕ espressive e la sua estensione vocale, accompagnata dalla sola chitarra, la Mezenov Sá ha ripercorso diversi stili, intrecciando temi d'amore e patriottici attraverso i classici della canzone cubana: Sindo Garay, Miguel Matamoros, Benny Moré, Nico Rojas, Eusebio Delfín, Moisés Simons, Joseíto Fernández, Carlos Puebla, ecc.
Organizzazione:
- Circolo di Frascati "Celia Sánchez" della Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba (con il contributo del Comune di Frascati — Assessorato alle Politiche Culturali — e la Provincia di Roma);
- Sito WEB "Cuba. Una dentitŕ in movimento";
- Disco Risto "El Tocororo", Associazione Culturale Intrigo (ROMA, Via Casilina, 497).
Hanno partecipato all'evento (organizzazione e realizzazione):
Carlo Nobili, Donatella Saviola, Yohanka Alfonso Contreras, Violetta Nobili, Antonio Maiorino, Paolo Martini, Irma Castillo, Ulises Mora, Reynaldo "Gollito" Hernández, Humberto "La Película" Oviedo, Antonio, Renata Mezenov Sá.
Si ringraziano per il loro contributo:
Rubén Pino Martínez, Franco Forconi, Lucia Nardi, Roberto Ravenna, Enrico Venti, Alberto Granado, Grazia Maria Bulgarelli, Egidio Cossa, Mario Mineo, Lavinia Monaco, Pasquale Faenza, Emiliano Martinello, Federica e Marco Demanuele, Filippo Neroni, Massimiliano Martini, Ercole Zangrilli, Studio Grafico Rino Usai (Roma), Punto Copie 2001 (Roma).
Un ringraziamento particolare al Sindaco del Comune di Frascati, Francesco Paolo Posa e all'Assessore alle Politiche Culturali, Stefano Di Tommaso, sempre pronti ad aprire le porte del loro Municipio ogni qualvolta a Frascati si parla di Cuba.
Vedi tutte le foto della manifestazione:
- Altare
- Conjunto de Tambores Batá
Vedi i video della manifestazione:
- Altare, Oru del Igbodú (o Oru seco) e Oru de Eyá aranlá o Oru cantado
- Photo Album Video dell'Oru seco e dell'Oru cantado