Cuba

Una identità in movimento


Cuba è bianca o nera?

María Ileana Faguaga Iglesias


Anni fa un'intellettuale italiana, bianca, sposata a un intellettuale cubano nero, mi ha confessato che, prima di visitare Cuba, pensava fosse "un paese bianco". La convinzione si era formata sulle immagini che pubblicavano i giornali e andavano in onda nelle Tv italiane. Interviste a politici e scrittori. Ma arrivata all'aeroporto dell'Avana, si è accorta che la realtà era diversa e guardando la Tv dell'isola l'ha attraversata un pensiero: neri e meticci cubani dovevano sentirsi "molto offesi" nel vedersi trattati così.

La signora aveva parzialmente ragione. A volte mi è capitato di vedere immagini — non proiettate nel nostro paese — girate da Gianni Minà durante la visita di Giovanni Paolo II, 1998. Davanti alla cattedrale cattolico-romana dell'Avana, mulatte voluttuose si contorcevano davanti alla macchina da presa. E non trovano spazio nella propaganda usata per il turismo, le scene che in tantissime occasioni mostrano ragazzi neri slanciati, e nere e mulatte giovanissirne, nelle pose sensuali dei finto folklore. Scrive un grande poeta meticcio: "Siamo vicini ma molto lontani, — giovani e vecchi neri e bianchi, tutti mescolati". Ma Nicolás Guillén più tardi si corregge "uno comanda e l'altro obbedisce, sempre mescolati".


Razzismo di vecchia data

Che il razzismo a Cuba sia di vecchia data lo spiega la genesi etnica della società. Dopo quella che chiamiamo "società precolombiana" si è formato il popolo cubano di oggi con due componenti fondamentali: europei ispanici, bianchi e cristiani da un lato, e africani, neri e animisti o — per dirla nel linguaggio contemporaneo — "sincretistici". Due componenti che fin dall'inizio sono arrivate nell'isola in una situazione di disuguaglianza. I primi con l'auto percezione di "civilizzati", di conseguenza incaricati della "civilizzazione"; agli altri è stata imposta con la forza la condizione di "barbari". Signori e schiavi. I primi manterranno nel tempo la condizione di creoli, vale a dire europei nati in America; gli altri non avranno altra scelta che adattarsi all'idea di essere cubani o afrocubani, legati alla situazione economica e al livello di coscienza etnica. L'origine della disuguaglianza socio-classista, giustificata ideologicamente dal potere religioso e razziale — discriminazione che dipende dal colore della pelle, tipo di capelli, e fisionomia dei viso — introduce e radicalizza convinzioni chiaramente razziste nell'immaginario nazionale, dipendenti dal livello sociale-economico, dal tipo di istruzione, differenze che ancora resistono. Arléen Rodriguez, giovane giornalista che appare spesso in Tv e dirige la rivista "Tricontinental", afferma pubblicamente "la nostra è una società razzista".

Ed ha ragione, non c'è altra definizione in un paese dove l'essere nero viene considerato da molte persone ancora "un difetto", una minusvalenza o, quanto meno, un "inconveniente": condizione che può costituire una limitazione sociale, economica e politica.


Razzismo e imperialismo

A dispetto di ciò che si afferma da trent'anni, e cioè che a Cuba non esiste discriminazione razziale, ma solo pregiudizi — come se il pregiudizio non sia parte della discriminazione — la realtà è diversa. Autorità politiche e accademiche hanno "scoperto" che il razzismo esiste davvero, ed è chiaro che si sta "lavorando per attenuarlo", ma l'esercizio non è facile: stiamo a vedere cosa si può fare. È la tesi di alcuni, mentre altri ricordano — una volta di più — che "siamo un paese assediato e che a 90 miglia ci sono gli Stati Uniti": affrontare il tema della discriminazione a Cuba può aprire conflitti e pregiudizi.

Altri — per niente originali — ripetono dai tempi della colonia che "è in gioco l'unità nazionale" di modo che i neri e meticci cubani devono astenersi dal rivendicare interessi particolari sacrificando i macro interessi nazionali. Come nel periodo neocoloniale, le stesse classi meno fortunate corrono il rischio di venir classificate "razziste" (sia pure un razzismo rovesciato) o — più recentemente — "agenti dei nemico", comunque masse confuse nel momento in cui reclamano il diritto di avere le stesse opportunità dei conterranei bianchi.

Nell'accademia cubana — che continua ad essere bianca, elitaria e discriminatoria — vi è chi considera che il tema non possa essere studiato da neri o meticci, insinuando un supposto "soggettivismo" o condizionamento che porta a risultati "parziali ed emotivi".


Parlano le statistiche?

Le statistiche non vanno d'accordo — "la cosa non è facile" — sulla distribuzione proporzionale della popolazione cubana, diversità di colore e di pelle, meglio non parlare di razza, definizione scartata dalla genetica la quale sta dando ragione a Ortiz: negli anni quaranta rifiutava questa classificazione anticipando le conclusioni genetiche. Ogni volta si vedono più bianchi, più neri o più meticci: dipende dalla cultura degli osservatori e dai loro interessi. Che culturalmente siamo un popolo meticcio non è una scoperta, però l'addolcimento della definizione "meticciato" in molte occasioni è servito a coprire il razzismo, non riconoscendo il comportamento razziale e culturale nero della popolazione. Nel migliore dei casi viene folklorizzato.

Per quanto sia impossibile accedere alle statistiche individualmente, lo studioso, non avendo cifre a disposizione, passeggiando per le strade registra l'esistenza di una importante presenza nera e meticcia, così è come è facile notare la mancanza di neri e meticci nella rappresentanza politica e burocratica dei paese. Se in passato si obiettava che ciò dipendeva dalla mancanza di una istruzione adeguata di questo segmento della popolazione, nessuno ormai, può sostenerlo. Recentemente, un ricercatore bianco — di quelli ufficialmente designati ad affrontare il problema — ha detto che i neri non sono stati rappresentati da alti ufficiali nella Guerra di Indipendenza "perché non in grado di leggere e di scrivere".

Oggi la situazione è cambiata. Le scuole militari registrano una forte presenza di neri e meticci, ma gli alti comandi continuano ad essere bianchi.

Ad eccezione di alcuni vice ministri e dirigenti di partito nelle province — quasi tutti arruolati di recente nelle strutture dei potere — al di là del comandante della Rivoluzione Juan Almeida Bosque, di Rose Leal, segretario generale dei sindacato lavoratori e di Esteban Lazo che occupa la segreteria ideologica dell'ufficio politico nel comitato centrale del partito, è difficile incontrare dirigenti neri nelle sfere che prendono decisioni.


Neri e meticci: delinquenti?

La soggettività di un popolo non si trasforma per decreto, ma con pazienza ed educazione, con sincera volontà nello sviluppare programmi concreti, non nascondendo il problema sotto qualche tabù.

Nei primi giorni che seguono il trionfo della Rivoluzione, la legge cubana elimina la discriminazione razziale, dimostrandone gli effetti negativi. I versi di Guillén ripetono quasi in forma di canzone "Tengo, vamos a ver — tengo lo que tenia que tener", realtà che oggi può farlo sembrare sovversivo. Questa realtà rivela che sono nere e meticce le persone che più frequentemente vengono arrestate dalla polizia, e sono quasi sempre neri e meticci che vengono sospettati d'essere potenzialmente portati a delinquere. Studi realizzati da centri governativi, notano come sia minima la partecipazione di questo tipo di popolazione alle imprese miste, imprese dove la paga è più alta e in moneta convertibile: dollari. Stessa cosa nel campo dei turismo dove neri e mulatti occupano posizioni quasi sempre subalterne, cameriere, portieri, cuochi. È difficile credere ciò che affermano certe informazioni e cioè che neri e meticci non siano maggioranza nelle prigioni: trovandosi alla base della piramide sociale, l'esclusione può metterli nei pasticci.


Congresso del Partito Comunista Cubano

Durante il terzo congresso dei Partito (1991), il presidente Fidel Castro si mostra allarmato per la poca presenza di neri, meticci e donne nella struttura del potere. Risultato, una timida incorporazione di alcune di queste categorie. Tema discusso in molte occasioni nei diversi settori della popolazione, specialmente nel mondo degli artisti e intellettuali, ma la discussione si non può approfondire — assicurano — "in quanto non siamo ancora pronti ad affrontare il tema" che interessa, per lo più "solo gli intellettuali neri".

Qualche volta i media affrontano i problema e alla televisione — riproduttrice per eccellenza dei canoni razziali — si comincia a vedere qualche faccia nera in più. Nelle file di chi si interessa all'assistenza dei bambini, e anche nella dirigenza politica spunta la presenza ancora striminzita di chi finora era messo da parte. Quando i compagni di scuola di Elián Gonzáles, quel bambino naufragato a Miami dove voleva portarlo la madre annegata nella traversata; Elián il cui prozio rifiutava di restituirlo al padre rimasto a Cuba; quando, al ritorno, i compagni di classe si sono impegnati ad aiutarlo nel recupero psicologico dopo trauma e tensioni, fra loro c'era un solo bambino nero. La maestra era meticcia e non deve meravigliare: infermiere, atleti ed atlete, artisti e carriere militari restano lo spazio — forse il rifugio — concesso ai non bianchi che vogliono migliorare la propria posizione economica. Recentemente Fidel Castro ha detto in uno dei suoi lunghi discorsi pubblici e televisivi, che fino a quando un solo cubano non goda di tutti i diritti, bisogna continuare la lotta. E in un altro intervento ha sottolineato che a Cuba "non esiste piena uguaglianza. Sopravvivono marginalità razziali", neri e bianchi divisi.


La dignità nera

Qualcuno insiste nel dire che il colonialismo spagnolo è stato il colonialismo "meno severo". Ma la storia contraddice l'affermazione. Nell'epoca coloniale gli afro-religiosi venivano considerati delinquenti comuni: riti proibiti o regolati dal codice penale, eredità che sopravvive dopo il 1959. La Rivoluzione socialista si è sentita obbligata a eliminare "i residui della religione borghese", ma solo agli afrocubani si proibiscono le pratiche private, ed era vietato iniziare i figli al sincretismo, con minaccia di denunce per "corruzione di minori", possibilità lasciata ai capricci della polizia. Gli articoli dei giornali e serie televisive, rappresentano i fedeli afro-religiosi come esseri estranei alla realtà, spesso sono prostitute, macrò, ladri, assassini per spaventare la gente con un falso stereotipo.

Movimenti socio culturali come quelli dei Rastafaris — originari della Giamaica —, e più recentemente i Raperos — sono a volte impegnati in posizioni estreme tanto da essere considerati fondamentalisti.





Tratto da: Quaderni dell'America Latina. n. 4, 45 anni dopo, a cura di Maurizio Chierici, 2004, pp. 204-210.

Quaderni dell'America Latina. n. 4, 45 anni dopo, a cura di Maurizio Chierici, 2004


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