Cuba

Una identità in movimento


Don Eduardo (Córdova): sulla via del tambor.
Il liutaio delle percussioni afrocubane unisce forma e suono. Il suo capolavoro ha siete bocas, un'opera che "parla" diverse lingue

Gian Franco Grilli


Eduardo Córdova Reyes è una figura di rara versatilità nel contesto artistico cubano. Si esprime con la musica, la scultura e la pittura che unisce alla lavorazione artistica del legno; la interrelazione di linguaggi e l'originale modalità di trasmetterli rappresentano una sorta di nuova disciplina tra arte, spettacolo e comunicazione.

Il pensiero di Eduardo trae ispirazione dall'energia terrestre, dall'ambiente naturale in cui opera e da una visione personale di rapportarsi con gli antenati. Non aderisce a nessun culto, ciò nonostante, osservando le opere e il suo agire, non si può dire che Eduardo sia esente da influenze della cultura Yoruba, in particolare della Santería o di altre religioni popolari afrocubane, quei sincretismi che colpiscono soprattutto per l'immaginazione, i colori intensi, i disegni e le poliritmie presenti nelle manifestazioni. Ogni cubano — lo voglia o no — porta nel sangue un po' del mondo magico proveniente dal continente africano perchè fa parte della cultura del Paese e, in un modo o nell'altro, tutti sono entrati in contatto con quelle espressioni, che hanno segnato la vita del cubano e ne hanno influenzato lingua, abbigliamento, arte, colori, danza e musica. E tracce di questo microcosmo mitologico le ritroviamo, appunto, nei molteplici linguaggi di Córdova e soprattutto nell'arte di creare strumenti musicali, che ha imparato da autodidatta. Oggi è un fabbricante talentuoso di percussioni firmate che espone con disinvoltura in giro per il mondo, tra manifestazioni artistiche, fiere specializzate di strumenti musicali, rassegne di dischi o festival dedicati alle culture dell'America Latina. E proprio a Latinoamericando 2008 di Milano — la principale rassegna che ha fatto conoscere al pubblico italiano questo protagonista indiscusso dell'arte delle percussioni — abbiamo ritrovato Eduardo, qui di casa ogni estate da oltre un lustro con la sua mostra-laboratorio itinerante. Infatti, si muove poi nel Bel Paese, tra la Fiera di Bari e il festival Latino di Desenzano del Garda per far conoscere il suo pezzo più prestigioso e comunicativo che — non a caso — si chiama tambor de siete bocas e riassume bene il percorso artistico dell'autore. Córdova ci racconta la progressione del suo cammino sfociato nella liuteria delle percussioni afrocubane.



Chi è Eduardo Córdova Reyes?

Eduardo Córdova e Gian Franco Grilli. Foto: Gian Franco GrilliSono nato il 19 luglio 1963 all'Avana, cresciuto nel quartiere del Cerro fino a dieci anni e poi in quello di Luyanó. Lì incominciai a studiare il violino ma a diciott'anni mi entusiasmai per le percussioni e mi iscrissi all'ENIA, Escuela Nacional Instructores de Arte. All'età di 18 anni entrai nella banda militare dello Stato Maggiore, dove restai fino all'età di 25 e mi permise di approfondire gli studi musicali: fu un buon laboratorio per apprendere le varie tecniche per bombo, piatti, grancassa, batteria, xilofono, timpani ecc. e un po' quelle della tradizione afrocubana, che non si studiava nei corsi accademici.
Questo limite, in parte, lo superai grazie al direttore della banda, Ney Milanés, una mente aperta, che ci creò le condizioni per sviluppare altri indirizzi musicali, quindi non solo musica per banda, ma concetti generali di musica e, nel repertorio che suonavamo, uno spazio era dedicato alle musiche internazionali. Fu un'esperienza variegata e utile per conseguire il titolo di Insegnante di Musica e Percussioni, sia di tipo classico sia di musica popolare. Come docente iniziai ad insegnare ai bambini della Scuola d'Arte svolgendo il programma di percussioni classiche che integravo con studi sulla percussione tradizionale con enfasi sui ritmi e gli strumenti cubani.

Poi cosa succede?

Mentre insegnavo e suonavo con gruppi cominciò a frullarmi in testa l'idea di costruire percussioni diverse, innovative. Non avevo conoscenze di nessun tipo sui legni da usare, come tagliarli, ma tentai l'avventura e mi trovai con un piccolo tamborcito irregolare e pieno di buchi dovuti a miei errori. Deluso e demoralizzato, gettai in un angolo quello strumento ottenuto da un tronco di cedro. Un bel giorno, guardando il tamborcito abbandonato, apparve nella mia mente una figura misteriosa e così lo ripresi in mano per dare forma a quell'illuminazione e uscì un volto che la gente identificò in Elegguá. Completai il tamburo con la pelle di capra e cinque ganci per tirarla. Ero soddisfatto dei giudizi della gente, che scorgeva in me una grande energia e...

... una specie di folgorazione sulla via... del tambor, guidato da Elegguá.

Eduardo Córdova ai bongos. Foto: Gian Franco GrilliQuel tamburo, che aveva più significato artistico che musicale, lo realizzai non pensando a Elegguá perchè non conoscevo l'immagine di quell'Orisha e neppure le altre della Santería in quanto non sono un credente. Al di lá di questa eredità degli antenati africani, io sento una energia universale, quella che hanno tutti gli esseri umani, e vivo questa dimensione spirituale come un missione da svolgere e che si è manifestata in quel tamburo.
Il mio animo prese forza soprattutto quando artigiani del legno e scultori mi fecero i complimenti e così mi resi conto che potevo fare alcuni oggetti di artigianato e creare piccole percussioni. E, paradossalmente, il periodo especial (forte crisi economica degli anni Novanta — NdA) fu eccezionale per me: il governo cubano aprì le porte ai privati per commerciare, regolarizzai la mia posizione e incominciò a decollare il lavoro vendendo nei fine settimana nella piazza della Cattedrale dell'Avana.

Ma quel mercatino è soprattutto per turisti, quindi proponevi strumenti non professionali, è così?

Eduardo Córdova ai bongos. Foto: Gian Franco GrilliProducevo percussioni di differente livello, per turisti, semiprofessionali e una linea "artistica", scolpendo immagini sul fusto, un tamburo di forma e suono. Gli acquirenti erano in prevalenza stranieri, appassionati e professionisti, ma quando si resero conto del valore acustico dei prodotti arrivarono anche i clienti cubani.
Cominciai la produzione costruendo bongo con legno di cedro o di majagua, pelli di capra (per il "maschio") e vitello (per la "femmina") che conciavo io. Eppoi, tumbadoras e la gamma quasi completa delle percussioni afrocubane: maracas, claves, chequeré, ma soprattutto tamburi artistici.

Tamburi, assemblando doghe o con la tecnica antica che affonda le radici nell'Africa?

È importante questa domanda. Io non faccio strumenti con le doghe, i miei tamburi sono ricavati sempre da un corpo unico di legno, con una tecnica ancestrale come dicevi tu. Svuoto il tronco, ma a monte c'è un lavoro apparentemente semplice: sapere quando e come tagliare quel legno, quanto stagionarlo ecc. e all'inizio era tutto più difficile perchè utilizzavo legnami di recupero o tronchi di alberi abbattuti dai cicloni e di cui non sapevo nulla. Poi per varie esigenze iniziai a rifornirmi da magazzini di legnami e...

...gli affari incominciarono a girare, e ti sentivi soddisfatto. E' così?

Eduardo Córdova ai batá. Foto: Gian Franco GrilliNon potevo lamentarmi, è vero, ma a un certo punto venni travolto da una forte inquietudine: inventare uno strumento che potesse sintetizzare diverse percussioni tra cui batteria (che amo moltissimo) e batá. Dopo lunghi ragionamenti nacque il mio primo tambor de siete bocas, sette bocche, altrettanti suoni ricavati da quattro tamburi (tre orizzontali, come da tradizione, e uno verticale) scavati in unico tronco cedro.
Alcuni tratti originali del siete bocas sono questi: il quarto tamburo — quello aggiuntivo rispetto alla classica triade — è incastrato verticalmente nel corpo dell'Iya, che è il tamburo più grande dei batá; solo un percussionista (contro i tre che servono nei batá "classici") può dominare le sette pelli, i timbri raccolti in un registro molto ampio che ingloba tumbadora, batá, bongo, cassa, bombo ecc., una nuova batteria di suoni afrocubani.

Quindi un "siete bocas" rivoluzionario, ma anche sensazionalistico e un po' eretico. Tutto questo non ha prodotto irritazione o malintesi nel mondo dei santeri?

Eduardo Córdova ai bongos. Foto: Gian Franco GrilliNo. Forse avrà creato qualche perplessità, ma nessun conflitto importante, perchè il mio non sostituisce il tambor de fundamento, quello sacro della liturgia Yoruba che ha il potere divino chiamato añá. Il mio è un batá profano — come quello che il gruppo Irakere impiegò nel Settanta — uno strumento che offre nuove possibilità, una fusion di tradizione e modernità e io adoro il primo siete bocas tanto che non lo vendo per nessuna cifra.

Quanto tempo impieghi per realizzare un "siete bocas" e dove si possono comprare i tuoi strumenti?

Mi servono circa otto mesi per fare un siete bocas , è un'opera d'arte nel tamburo batá. La mia produzione la vendo nelle mostre e all'Avana, nel negozio musicale "Longina" (calle Obispo y Compostela, Habana Vieja) oppure presso il laboratorio (taller) dove lavoro con tutta la mia famiglia che è nel barrio Luyanó (calle Rosa Enrique 655 entre Calzada de Luyanó y Pedro Perna) (www.tamborescordova.com).

I tuoi tamburi artistici hanno superato i confini di Cuba. Puoi ricordarci i momenti più importanti e i contesti dove muovi le tue opere?

Eduardo Córdova ai bongos. Foto: Gian Franco GrilliPer dimostrare che stiamo parlando di strumenti musicali di qualità, e non solo decorativi, mi piace ricordare che ho suonato queste percussioni con artisti importanti come il dominicano Kinito Méndez, il venezuelano Oscar de León, i brasiliani Olodum.
Ho avuto l'onore di duettare, anche se non in concerto, con il portoricano Giovanni Hidalgo che ha provato i miei strumenti e a Milano, pochi settimane fa, sul palcoscenico di Marc Anthony il pubblico ha potuto sentire i miei strumenti suonati dal percussionista di Anthony. In passato, una cosa analoga è avvenuta con i percussionisti brasiliani di Carlinhos Brown e Daniela Mércury, i giapponesi dell'Orchestra de la Luz e i cubani de Los Papines e del gruppo di Compay Segundo.
Espongo i miei lavori in mostre internazionali di dischi, di strumenti musicali, rassegne di percussioni, di artigianato artistico, di arti plastiche e questo significa vivere all'estero 3 o 4 mesi all'anno. Tra i principali paesi fin qui visitati: Italia, Francia, Spagna, Cile e Saint Kitts & Nevis, isolette nelle Piccole Antille. Lí ho svolto un progetto articolato, con esposizione di strumenti, laboratorio e concerti nella capitale Basseterre. E' stato molto importante perchè in quel luogo i colonizzatori vietarono agli schiavi africani di mantenere i loro strumenti e nell'aprile 2008 i tamburi locali — chiamati djembe — suonati da un gruppo di percussionisti diretto da Royd Phipps si sono intrecciati a melodie, ritmi e strumenti afrocubani, e ne è uscito un bell'evento culturale.

Eduardo Córdova ai bongos. Foto: Gian Franco GrilliSogni nel cassetto e prossimi progetti?

Un'idea che continuo a cullare è la "Casa del Tambor", uno spazio che mi piacerebbe aprire a Cuba o in un altro paese. Ma dipende anche da chi vuol condividere e collaborare economicamente per concretizzare la mia idea.
Al centro dell'iniziativa c'è il mondo della percussione cubana, affiancato da percussioni tradizionali, contemporanee e universali, un luogo dove proporre manifestazioni artistiche ad ampio spettro, con esibizioni, corsi, clinics, mostre d'arte vincolate in particolare al tamburo.
Progetti nuovi? Sto pensando di fare un happening tra estetica e suoni riunendo le varie espressioni, un esposizione dei miei quadri con un concerto di percussioni variegate assieme a Obbara, il gruppo di ritmi, canti e danze folkloriche che ho fondato nel 1999. Inoltre, sto preparando con Bis Music un dvd didattico sulle percussioni: come si possono costruire e suonare.


Congas. Foto: Gian Franco Grilli Decorazioni batá. Foto: Gian Franco Grilli

Eduardo Córdova. Tambor. Foto: Gian Franco Grilli Eduardo Córdova. Eleguá. Foto: Gian Franco Grilli

Foto: Eduardo Córdova Eduardo Córdova. Eleguá. Foto: Eduardo Córdova

Collage. Foto: Eduardo Córdova Siete bocas. Eduardo Córdova. Eleguá. Foto: Eduardo Córdova






    Copertina del numero 01 (gennaio 2009) della Rivista Percussioni
    Su Percussioni — n. 01, gennaio 2009 —
    è stata pubblicata un'intervista all'artista cubano Eduardo Córdova.

    Ringraziamo il mensile di Percussioni s.c. a r.l.
    per averci consentito l'utilizzo e la diffusione del materiale
    raccolto dal nostro collaboratore Gian Franco Grilli.







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Eduardo Córdova: sulla via del tambor.
Il liutaio delle percussioni afrocubane unisce forma e suono;
il suo capolavoro ha siete bocas,
un'opera che "parla" diverse lingue


Percussioni — n. 01, gennaio 2009

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Pagina inviata da Gian Franco Grilli
Giornalista, responsabile del Caribe (Associazione culturale)
(28 febbraio 2009)


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