Cuba

Una identità in movimento

L'impero de La Habana: mafia italo-americana a Cuba (Parte I)

Francesco Vespoli



Prologo

La malavita organizzata negli Usa iniziò la sua attività a Cuba sin dai primi anni '20, con il traffico di rum e alcool. La creazione di un impero definitivo iniziò alla fine del 1933, quando si produssero i primi accordi tra il colonnello Batista e il finanziere della mafia Meyer Lansky, per ordine del grande Charles "Lucky" Luciano.

Subito si organizzarono quattro famiglie mafiose per creare varie attività a Cuba: Amleto Battisti y Lora, Don Amedeo Barletta Barletta, Santo Trafficante (padre) e Meyer Lansky.

Nel 1935, Amleto Battisti occupò le installazioni dell'antico "Hotel Sevilla" ad un costo di 2.500.000 pesos. L'Hotel aveva una ipoteca dal 1922 a carico della City Bank Farmers Trust Company e, dopo averne assunto l'ipoteca Battisti stabilì il suo nuovo quartiere operativo in quel vecchio ed elegante centro turistico, il più elegante de La Habana, a cento metri dal palazzo presidenziale. Due anni più tardi per legalizzare le sue molteplici attività fondò il "Banco de Créditos e Inversiones S.A."

Del calabrese Don Amedeo Barletta Barletta, si dice con ragione che era "l'amministratore dei beni della famiglia Mussolini in America". Si affermava che fosse una spia (in realtà era un doppio agente) nascosta nell'area dei Caraibi. Per certo è che l'Fbi lo incluse nella lista nera del 1942, ordinando di arrestarlo e confiscare i suoi beni. Avvertito dalle spie della mafia con base a La Habana, scappò dall'isola e andò a rifugiarsi in Argentina; alla fine della seconda guerra mondiale, ritornò nella capitale cubana come rappresentante di grandi compagnie nordamericane (continuò ad essere una autorità finanziaria del paese); rappresentante della General Motors: pullman e camion; auto Cadillac, Chevrolet, Oldsmobile e altre; importante azionista di laboratori farmaceutici; costruì un edificio tra "Infanta y Malecón", conosciuto come la "Ambar Motors"; realizzò il secondo canale della televisione cubana e controllò il periodico "El Mundo", acquisendo in poco tempo attraverso il "Banco Atlantico" una scalata vertiginosa nel commercio, con decine di compagnie di copertura.

La presenza a Cuba di Santo Trafficante (padre), si rifà nei giorni nei quali Lansky si stava incontrando segretamente con il colonnello Batista. Trafficante aveva una straordinaria esperienza delle sale da gioco nel sud degli Usa: fu designato prontamente luogotenente di Lansky. Nel 1940, quando Lansky andò a vivere a New York (stava per divenire uno degli artefici della coordinazione che si realizzò tra la mafia nordamericana e i servizi segreti Usa per gli sviluppi della seconda guerra mondiale), il vecchio Trafficante passò a controllare tutti gli interessi della mafia a Cuba. In questo periodo predispose "teste di legno" tra i gruppi della politica cubana, per amministrare le faccende della mafia a La Habana.

Durante gli anni '30 gli affari nella capitale cubana erano gestiti da siciliani, corsi, ebrei e nordamericani; a partire dai primi anni '40 (grazie agli accordi di Trafficante con i politici cubani), in queste organizzazioni furono inseriti elementi nazionali (vicini alla politica cubana), per dirigere gli affari in assenza dei titolari. Questi "elementi" non fecero altro che consegnare alla mafia, secondo i piani di Trafficante tutto il controllo delle precedenti organizzazioni.

Senza dubbio il più importante di tutti i mafiosi a Cuba fu il secondo capo della mafia nordamericana: Meyer Lansky, creatore e capo dell'impero a La Habana. Grande amico di Lucky Luciano sin dagli anni dell'infanzia; studiarono nella stessa scuola e appena adolescenti si organizzarono nel mondo della malavita a New York. Accumularono grandi fortune negli Usa e tra il 1930 e il 1931, dopo la morte dei boss Masseria e Marangano, Luciano organizzò tutta la vecchia mafia negli Usa. Più di 100 bande di diverse origini furono organizzate in 24 grandi gruppi che formarono, nel tempo, la mafia Usa attuale.

Per la totale comprensione del processo che condusse alla creazione a Cuba di uno stato al servizio della malavita nordamericana, è necessario far riferimento a quelli che erano gli interessi degli Usa sin dall'inizio del XIX secolo: appropriarsi dell'isola attraverso la vendita, l'acquisto, o l'annessione del suo territorio con il preciso progetto di annientare gli interessi e le aspirazioni della nazione cubana. Attività avvertita e denunciata dal genio politico e militare di José Martí.

Le ambizioni Usa si possono riassumere con un frammento della lettera di istruzioni che Washington inviò al generale dell'esercito americano nel 1897, pronto per sferrare un assalto militare alla terra cubana:

"Il popolo cubano è indifferente in materia di religione, pertanto la maggioranza della popolazione è immorale; allo stesso tempo è portato a vive passioni, molto sensuali; non ha nozioni per capire il giusto e l'ingiusto ed è propenso a procurarsi il piacere non tramite il lavoro, ma tramite la violenza; il risultato che ne deriva da questa mancanza di moralità è il disprezzo della vita. Resta chiaro che l'annessione immediata alla nostra federazione di elementi tanto perturbanti e così in gran numero sarebbe una pazzia e, prima di farlo dobbiamo bonificare il paese; dunque sia applicato il sistema che la Divina Provvidenza applicò a Sodoma e Gomorra. Dobbiamo portare la distruzione con la potenza dei nostri cannoni, con il ferro e con il fuoco; dobbiamo spingere agli estremi il blocco affinché la fame e la peste, loro costanti compagne, non arrechino danno a popolazioni pacifiche... "

Con questi intenti la politica nordamericana tra il 1902 e il 1933 intensificò in modo sempre più crescente i propri interessi a Cuba.

Varie forze si installano a Cuba accrescendo sempre di più la loro presenza:

Nella prima decade degli anni '30 vi fu una eccellente penetrazione nell'economia cubana di gruppi finanziari collegati alla famiglia Rockfeller in special modo con la Standard Oil Company of New Jersey ed in seguito con la City Bank, Chase National Bank e piu tardi la Chase Manhattan City Bank e altre holding entrarono a rafforzare il dominio imperialista negli spazi chiave dell'economia cubana. La mafia si fondeva sempre di più con la borghesia della capitale e i servizi segreti degli Usa avviarono una stretta collaborazione con il governo cubano e con la mafia per controllare eventuali movimenti insurrezionali e tenere costantemente sotto controllo il popolo cubano.


Charles "Lucky" Luciano

Agli inizi degli anni '40 Luciano lascia Cuba per collaborare con i "servizi" Usa negli sbarchi alleati in Sicilia e in altre zone dell'Italia meridionale (riceve per questa collaborazione il proscioglimento di tutte le accuse a suo carico). Alla fine della II guerra mondiale, ritornò a New York, per dirigere le sue attività che nel contempo erano passate sotto il controllo di Don Vito Genovese.

Ma, le relazioni segrete tra le cosche, imposero a Lucky Luciano, l'esilio in Sicilia, sua terra natale. Nel giugno 1946, dopo vari mesi di permanenza, abbandonò clandestinamente la Sicilia, trasferendosi prima all'Hotel Excelsior di Napoli ed in seguito a Roma, occupando una lussuosa suite in via Veneto, in attesa di "corrispondenza".

Dopo molte settimane, senza alcuna notizia né da La Habana né da New York, ricevette un messaggio:

"Dicembre, Hotel Nacional".

Queste tre parole, furono per Luciano sconcertanti.

"Che voleva esattamente Lansky?"

"Forse la riunione da lui proposta, con tutte le "famiglie", si teneva a dicembre?"

"Era a Cuba, che in dicembre si potevano fare gli accordi?"

Il messaggio, proveniva da un vecchio amico e dava notizie recenti: i capi che reggevano le più importanti famiglie nordamericane erano in attesa, Genovese aveva iniziato a comportarsi a New York come se Luciano non dovesse più tornare. Frank Costello, suo informatore, gli diceva che le cose si complicavano sempre di più: Buggy Seigel, in California, si stava appropriando dei fondi, senza fornire alcuna spiegazione alle altre famiglie.

Luciano, con un passaporto a nome di Salvatore Lucania, partì da Roma per Barcellona il 19 settembre, da lì raggiunse Lisbona, poi andò in Brasile ove arrivò il 27 settembre.

A Cuba, giunse con un volo diretto dal Brasile che atterrò all'aeroporto di Camagüey, ove era atteso da Lansky con molte guardie del corpo. Da Camagüey raggiunse direttamente l'Hotel Nacional (camera 924).

La riunione a La Habana era stata convocata per dicembre. La mafia aveva accumulato favolose fortune; iniziava una crescente penetrazione nell'economia Usa, incluso il sistema bancario e spazi vitali della politica. In altre parole, compravano, corrompevano, mentre avanzava il processo di legalizzazione di grandi fortune, in un connubio con il capitale finanziario che si rendeva sempre più disponibile e tollerabile; senza tralasciare gli interessi tradizionali quali: l'apertura dell'impero di Las Vegas, le catene turistiche in Florida o altri investimenti.

All'importante riunione presero parte quasi 500 persone; tra capi, vice capi delle famiglie, direttori, guardie del corpo, assessori, invitati speciali e più di 100 avvocati vincolati ai grandi affari. Si stabilirono all'Hotel Nacional per un convegno di vari giorni (dal 22 al 26 dicembre 1946). Era uno dei maggiori incontri mai realizzati fino ad allora, presieduto da Charles Lucky Luciano, Frank Costello, don Vito Genovese, Albert Anastasia, Meyer Lansky ed altri.

All'incontro confermarono la loro presenza Mike Miranda, con affari in agenzie di autoveicoli, slot machine, ippodromi, compagnie di assicurazione e soprattutto una grande esperienza nel dominio dei sindacati. Un altro che confermò la sua presenza fu Joseph Magliocco, i cui interessi erano relazionati con imprese di importazione ed esportazione, catene di lavanderie, distribuzione di olio di oliva e influenze nelle sfere sindacali. Anche Giuseppe Bonanno, rispose in maniera positiva: aveva interessi nelle imprese di pompe funebri, nei trasporti, import-export, catene di lavanderie, distribuzione di olio di oliva e formaggi. All'incontro aderirono i capi delle famiglie di New York: Joe Adonis, oltre ad Albert Anastasia e Frank Costello. Del New Jersey: Tommy Lucchese, Joe Profaci, Willie Moreti e Angie Pisano. Per Chicago erano presenti: Tony Accardo, i fratelli Fischetti, cugini ed eredi di Al Capone. Da New Orleans: Carlos Marcello. Da Buffalo: Steve Maggdino. Per la Florida, il vecchio Sante Trafficante.

Anche se gli interessi di don Vito Genovese erano enormi, in quell'incontro aspirava ad essere riconosciuto come capo indiscusso della mafia nordamericana, al fine di controllare per intero l'immenso traffico di droga.

I capi furono tutti alloggiati all'Hotel Nacional, mentre il personale ausiliario negli Hotel Presidente, Inglaterra, Seville Biltmore.

All'inizio dei "lavori" l'Hotel Nacional chiuse le sue porte: nessuno poteva entrare né giornalisti né polizia né funzionari del governo cubano. Cinquanta auto con autista e una selezionata commissione erano incaricati di ricevere gli invitati e di rendersi disponibile per tutte le esigenze. Gli accessi all'albergo e al malecón furono presidiati da uomini scelti e il 15 dicembre 1946 (una settimana prima dell'arrivo dei personaggi che dovevano prendere parte all'incontro), la Nacional Airlines inaugurò un volo diretto La Habana — New York.

Dopo la conclusione del conclave, dove si discussero le sfere di influenza, problemi territoriali, traffico di droga, apertura dell'impero di Las Vegas con il famoso Hotel Flamingo, tutti partirono.

Lansky andò in Florida, solo Lucky Luciano rimase a La Habana.. Nell'ambito del conclave mafioso e nella stessa città di La Habana, era in posizione di svantaggio. Espulso dagli Usa, senza possibilità di farvi ritorno, non aveva altra possibilità che fermarsi sull'isola: Cuba offriva ancora numerosi vantaggi economici, in particolare con il traffico della droga. È necessario precisare che a partire dal 1942 il peggiore nemico di Luciano, non era rappresentato né dagli Usa né dai servizi speciali, ma dalla crescente influenza economica e politica delle famiglie mafiose statunitensi collegate a don Vito Genovese. Luciano, aveva il centro operativo a La Habana, dove passava l'immenso traffico di droga diretto verso gli Usa. Questo polarizzò su di lui molte attenzioni e timori, tanto da pensare di allontanarlo dalla capitale cubana e in modo definitivo dagli Usa. Un altro problema per Luciano era rappresentato da Meyer Lansky, suo luogotenente e capo dell'Impero di La Habana che, non poteva compromettere i suoi interessi con i capi della mafia nordamericana. Si pensa che lo stesso Lansky contribuì segretamente alla caduta di Luciano. Il terzo e ultimo problema per Luciano, proveniva dal governo Usa che faceva continue pressioni sul governo cubano, nel "consigliare" di espellerlo da Cuba con l'accusa di essere "il pericolo pubblico numero uno", e poterlo così confinare definitivamente in Sicilia.

È bene chiarire che gli interessi Usa, non erano certamente rivolti a destabilizzare l'impero di La Habana né ad intralciare i piani della mafia, ma solo ad estromettere dai giochi di potere una persona sgradita alla stessa mafia.

Nonostante le "ingerenze" Usa, rivolte allo stesso Presidente Grau San Martín, il governo cubano non era d'accordo con le decisioni nordamericane e considerava Luciano una persona onorevole, rispettosa delle leggi e non certo un pericolo pubblico. Quindi non vi erano motivazioni per allontanarlo dal paese.

Il governo Usa, nell'ottenere lo scopo che si era prefisso, minacciò il blocco dei prodotti farmaceutici verso Cuba, sostenendo che tale embargo era in vigore fino alla partenza di Luciano da Cuba. Questo ennesimo atto provocò un acceso dibattito tra le forze politiche cubane fino al punto di mettere in crisi lo stesso governo.

Nel risolvere il problema, Lansky si recò a Daytona Beach (Florida), residenza del generale Batista, amico di Luciano e della controparte rappresentata dalle famiglie di New York. Fece ritorno con due idee suggerite dallo stesso Batista: la prima era di inviare Luciano a Caracas con regolare visto di entrata, attraverso la Repubblica Dominicana. A Caracas Luciano poteva dirigere vari casinò. La seconda soluzione era più audace: il governo cubano, in risposta al blocco dei prodotti farmaceutici, instaurava un proprio blocco per l'esportazione dello zucchero verso gli Usa.

A Luciano la seconda proposta non parve attuabile e dello stesso parere erano i suoi amici Amedeo Barletta Barletta e Amleto Battisti. Cuba, non poteva resistere a lungo a quel braccio di ferro. Lo stesso Batista in una lettera inviata a Luciano, consigliava di abbandonare Cuba, ritornare in Italia, in attesa di tempi migliori.

Il 23 febbraio 1947, in un ristorante del Vedado, Luciano fu avvicinato da un ufficiale del governo cubano che lo invitò a seguirlo, passando per la sua residenza nel prendere ciò che ritenesse più opportuno. Questo evento, non fu certamente un segnale di repressione verso la mafia nordamericana a Cuba, anzi un ulteriore incremento e un'estensione ai loro affari e una assoluta impunità verso le loro attività. L'unica cosa che il governo americano e la mafia desideravano, l'avevano ottenuta (anche se con motivazioni diverse): la partenza di Lucky Luciano da Cuba.

In pochi giorni cessò il blocco dei prodotti farmaceutici e tutto ritornò come prima. Don Vito Genovese si era liberato di un pericoloso concorrente, suo rivale come capo dei capi della mafia negli Usa e, Lansky con l'estromissione del suo capo, poteva considerare sotto il suo controllo l'impero di La Habana.

Il 29 maggio 1947 Charlie Lucky Luciano lasciò Cuba con una nave turca. Molti i politici che si recarono a salutarlo, come sempre fu generoso, splendido, cortese con tutti. In particolare, i saluti più calorosi gli furono fatti da "Paco" Prio, fratello maggiore del futuro Presidente cubano.


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Testo tratto da ENRIQUE CIRULES, El Imperio de La Habana (La Habana, Casa de las Américas, 1993)


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