Da più di 15 anni stiamo dicendo che con la globalizzazione ci troviamo davanti a una competizione globale nel bel mezzo di un tracollo che non solo è congiunturale ma è anche strutturale e sistemico. Molti studiosi dicevano che la mia tesi da intellettuale marxista non era esatta, poiché, a loro parere, in quel periodo l'economia viveva momenti di crescita.
Afferma con enfasi il nostro interlocutore che spiega che la crescita internazionale del capitale risponde in primo luogo alla partecipazione delle economie emergenti, come ad esempio la Cina, il Brasile e l'India con entrate annuali del Prodotto Interno Lordo (PIL) che vanno dal 10 al 12%. A tutto ciò bisogna aggiungere l'effetto dell'economia di guerra degli Stati Uniti e la pratica dei principi keynesiani a carattere militare.
Io direi che la piccola crescita quantitativa degli ultimi 30 anni corrisponde proprio a questi due fattori, poiché se fosse stato il contrario avremmo dovuto parlare di depressione e recessione totale. Al momento dello scoppio dell'attuale crisi, molti esperti privilegiavano nei loro rapporti ed analisi, l'aspetto finanziario ed economico, ignorando il fatto che era davanti ad una crisi strutturale e sistematica che genera a sua volta una crisi alimentare, ecologica, etica, dei valori, dello Stato sociale e del diritto.
A questo punto il professore arriva ad una profonda riflessione che gli fa affermare:
Tutto ciò significa che l'attuale sistema globale non funziona affatto. Noi intellettuali militanti insieme a tutti i compagni della Rete dei Comunisti sosteniamo che questo è un problema di tutta l'umanità e non solo di una classe sociale. Penso che sia una crisi peggiore di quella del '29, perché ora siamo in presenza di una globalizzazione dell'economia-mondo nel mercato capitalista internazionale che comporta il fatto che il fenomeno critico e gli elementi di scomposizione e rottura si trasmettono immediatamente in tutti i paesi del mondo. La natura della crisi del '29 era solo finanziaria ed economica, questa invece è strutturale e sistemica, ossia ripetibile a cascata senza freni e possibilità reali risolutive.
Giornalista: Diversi studiosi, soprattutto negli Stati Uniti, affermano che la crisi può essere risolta grazie alle formule economiche di John Keynes, con un nuovo intervento di carattere statale. Lei cosa ne pensa?
Prof. Vasapollo: A mio giudizio gli intellettuali keynesiani non hanno più ragioni da spendere e la loro ipotesi è totalmente sbagliata, perché, dire che si può uscire dalla crisi grazie a miglioramenti nella distribuzione dei redditi e nel miglioramenti salariali, genera confusione ed è un falso storico , economico e politico. La soluzione è e rimane esclusivamente politica.
La politica deve dominare l'economia, tornando a una programmazione socialista e a una pianificazione centralizzata, che si sappia accompagnare a quella decentralizzata incentrata sulle economie locali a sostenibilità socio-ambientale. Solo con una forte ripresa di dinamici e attuali modelli di pianificazione imposti dalla volontà di una soggettività rivoluzionaria per il cambiamento radicale si può risolvere questa drammatica situazione.
Per un marxista l'unica soluzione possibile è creare le condizioni per la transizione politica al socialismo. Non sto dicendo che domani il capitalismo soccomberà, perché come sappiamo bene quando si è passati dal feudalesimo al capitalismo è trascorso davvero molto tempo. La borghesia è riuscita a togliere all'aristocrazia il potere e a diventare quindi la classe dominante solo dopo la Rivoluzione francese e quella industriale inglese. Anche se oggi esistono le condizioni economiche e oggettive per superare il capitalismo, non esiste ancora la soggettività politica internazionale di classe organizzata che possa portare a termine tale obiettivo. E questo è un elemento indispensabile, essenziale perché, altrimenti il capitalismo potrebbe andare avanti ancora per 20, 50 o 300 anni, a causa del fatto che riesce ad adottare diverse forme per mediare le proprie contraddizioni.
Noi intellettuali marxisti dobbiamo avere una visione concreta e praticabile del socialismo nel XXI secolo. Dobbiamo lavorare a un socialismo nuovo per questo contesto storico e politico oltre che economico, ma sempre partendo dalla nostra storia, dagli eventi positivi e da quelli negativi, visto che abbiamo un patrimonio con cui iniziare un nuovo cammino.
È doveroso, quindi, creare le condizioni, non solo economiche ma soprattutto politiche; in primo luogo la soggettività necessaria per trasformare la crisi in una grande opportunità per il movimento di classe,comunista, progressista e anticapitalista, poiché non possiamo dimenticare che in situazioni come questa, la soluzione può essere rivoluzionaria o reazionaria, come è stato dimostrato dalla nascita del nazismo in Germania".
Latinoamerica, una nuova esperienza
Giornalista: Cosa ci può dire dei processi rivoluzionari della regione?
Prof. Vasapollo: L'America Latina rappresenta una esperienza nuova con concreti e diversificati processi di transizione in atto. Vedo un forte triangolo rivoluzionario tra Cuba, Bolivia e Venezuela, tre processi diversi tra loro, con caratteristiche proprie di pianificazione,con caratteri specifici politici, sociali, culturali ed economici. Sono processi rivoluzionari perché stanno mettendo in discussione il potere costituito del capitale e stanno creando forme di socializzazione come, ad esempio, la redistribuzione non solo dei redditi, ma con statalizzazioni accompagna teda forme reali di redistribuzione soprattutto della ricchezza sociale che appartiene a tutti i lavoratori.
Il Venezuela e la Bolivia stanno attuando nazionalizzazioni e processi di cambiamento politico, economico e sociale, con una nuova visione concretamente contraria alla proprietà privata dei mezzi di produzione; tutto ciò conferma l'avvicinamento al socialismo. Voglio fare riferimento anche all'idea rivoluzionaria di un socialismo democratico che viene applicata in Ecuador e ora anche nel polo progressista del Nicaragua e dello stesso contraddittorio Brasile.
Oggi il punto centrale dell'internazionalismo per il cambiamento politico,sociale ed economico parte proprio dall'America Latina e l'imperialismo vuole fermare queste grandi esperienze di trasformazione.
Anche se il Presidente Barack Obama preannuncia una nuova era nelle relazioni estere degli Stati Uniti, sappiamo bene che la realtà è un'altra. Quando appoggia un colpo di Stato come quello avvenuto in Honduras, quando permette un'invasione militare con scuse di carattere umanitario come quella di Haiti, quando installa basi militari in Colombia e utilizza la lotta al narcotraffico come mezzo militare contro i governi socialisti e progressisti, quando non risolve la questione dei Cinque antiterroristi cubani arrestati a Miami e quando fa permanere il blocco economico contro La Isla, come si può parlare di diversa collaborazione con l'America Latina? Inoltre, la posizione aggressiva di questo paese a guida imperialista contro la popolazione afghana, in appoggio ad Israele contro i palestinesi, contro l'Iran e il Medio Oriente, indicano che l'unica politica messa in atto è quella della guerra.
Giornalista: Il passaggio dal G7 al G20 rappresenta forse un cambiamento importante?
Prof. Vasapollo: Secondo me non ha significato nulla, è stato puro marketing, una grande bugia, una semplice verniciatura di facciata che voleva svelare il lato più democratico e meno aggressivo del capitalismo, che invece è per sua natura aggressivo e ingiusto. Ad esempio, perché non instaurano una nuova e concreta relazione paritaria internazionale e decidono quindi di annullare il debito estero dei paesi del cosiddetto Terzo Mondo? Perché non ritirano tutte le forze militari e accettano l'autodeterminazione economica, sociale, culturale e politica dei popoli? Perché trattano Cuba, Bolivia e Venezuela come Stati criminali solo per il fatto che hanno deciso di uscire dalla logica del dominio imperialista e delle multinazionali?
Credo che questa crisi globale e sistemica metterà fine al comportamento unipolare degli Stati Uniti, perché è venuto il momento che si relazionino con il resto dei paesi accettando rapporti ugualitari tra pari. Ritengo, inoltre, che le Nazioni Unite debbano svolgere un ruolo nuovo e autenticamente democratico; l'ONU deve diventare l'organizzazione di tutti i paesi in cui tutti hanno lo stesso livello di rappresentatività e lo stesso potere".
Fonte:
Pagina inviata da Luciano Vasapollo
(3 marzo 2010)
Cuba. Una identità in movimento
Webmaster: Carlo Nobili — Antropologo americanista, Roma, Italia
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