Tu, io e Fabio. Io, tu e Fabio. Acela, tu e Fabio. Giustino e Fabio... Giustino che è Fabio. Eusebio Leal lo chiama Fabio ed ha ragione perché la presenza di Fabio è indiscutibile in ogni sua parola, in ogni atto, in ogni sguardo e, ovviamente, in ogni ricordo. Di Giustino, suo padre.
Le lacrime scorrevano sul viso di Giustino ieri, perché pensava a Fabio. Giustino piange se parla di Fabio. Giustino, che ci riporta Fabio al fianco quando vede un cane, quando guarda il mare, se guarda dei bambini giocare al pallone, perché Fabio amava gli animali (aveva una cockerina), gli piaceva il mare, giocava al calcio...
Chi ha ucciso non sa quanto bene ha eseguito il suo crimine, quanto incisivo è stato nel provocare un dolore infinito, che si rinnova come un'araba fenice. Si rinnova in chi, come me, vede che accade, infinitamente forte, in Giustino.
I genitori non sono mai fatti per sopportare la morte dei figli, è un fatto contro natura, e la morte di Fabio ha straziato tanto questo padre che, dopo tanti anni, per ritrovare la propria volontà di vita e di lotta, si è fatto Fabio, come ha scritto tanto bene Raúl Valdés Vivó nella sua poesia
Chi ha mandato i mercenari ad uccidere non poteva sperare che il suo comando fosse meglio eseguito: Fabio è morto e suo padre è morto di dolore con lui, e solo l'amore lo ha fatto ritornare e Giustino è vivo con dentro Fabio, come una guida.
Giustino, che ha saputo placare l'odio per gettare le sue energie nella lotta contro il terrorismo, nella cultura, nello studio, per la libertà dei Cinque, per la giustizia, per Cuba.
Giustino che mi ha detto: