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Cuba |
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Una identità in movimento
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Chiacchierata con Celia Hart Santamaría
Ida Garberi
Il 20 ottobre 1927, a Cuba, nasceva a Encrucijada (provincia de Las Villas) Abel Santamaria Cuadrado, un "angelo" della Rivoluzione Cubana, o "l'anima del Movimento 26 luglio", come lo avrebbe definito poi Fidel Castro Ruz.
La definizione invece di uno "spirito celeste", che quest'anno avrebbe compiuto 80 anni, che protegge questa grande rivoluzione è di sua nipote, Celia Hart Santamaria, figlia della sorella maggiore di Abel, una delle eroine dell'attacco alla Caserma Moncada, Haydée Santamaria, soprannominata affettuosamente Yeyé.
Ho visitato Celia nella sua casa a L'Avana per conversare con lei ed in questo modo commemorare questo suo grande zio, questo giovane che immolò la sua vita a soli 25 anni perché era convinto che bisognava cambiare le vicende politiche del suo paese.
Credo che la prima volta che ho sentito parlare di Abel Santamaria, è stato proprio dalle labbra del comandante Fidel Castro, avevo 4 anni ed ero andata a trovarlo con Celia Sanchez Manduley nell'appartamento del Vedado, a Calle 11, e lui mi ha riconosciuto dicendo che avevo lo sguardo inconfondibile di mio zio, che non potevo essere altri che la figlia di Yeyé".
"Mia madre non amava molto raccontare i fatti dolorosi del Moncada, io guardavo sempre incantata le foto dove mio zio appariva sorridente con tutta la famiglia".
"Il fatto che sia morto così giovane, così entusiasta, così generosamente disposto a sacrificarsi per salvare quello che lui stesso aveva definito "l'uomo di Cuba", cioè Fidel Castro, me lo ha sempre fatto vedere come un angelo protettore di questa Rivoluzione".
Abel Santamaria era nato nel Central Costancia (che oggi porta il suo nome) da due residenti spagnoli a Cuba, (suo papà era capo falegname nello zuccherificio); la sua vita ben presto si sviluppò conoscendo le tristi situazioni sia dei contadini che degli operai dell'epoca, in un ambiente rurale ed industriale contemporaneamente ed ha respirare una grande urgenza di cambio ascoltando nelle riunioni sindacali le parole del famoso "General de las Cañas", Jesús Menéndez.
Da questo grande dirigente sindacale, Abel ha saputo assorbire letteralmente la sua intelligenza naturale, la sua esigenza profonda di giustizia.
Avido di conoscere più profondamente quella Gioventù Ortodossa (chiamato anche Partito del Popolo Cubano), che lui sa sta operando a L'Avana, decide di recarsi nella capitale cubana per studiare e lavorare.
Questo era l'unico partito che cercava di fare opposizione alla corruzione della partitocrazia dell'epoca e con il quale si identificava la maggioranza della gioventù cubana; così anche Abel incomincia a partecipare alle attività del gruppo e convince sua sorella Haydée a seguirlo a L'Avana.
Ben presto affittano l'appartamento di 25 y O, che si trasforma in un centro di riunione molto attivo della Gioventù Ortodossa, assolutamente decisa a porre fine alla struttura putrida della repubblica neocoloniale.
Abel e Fidel stavano parlando la stessa lingua, che reclamava una rivoluzione nazionale liberatrice, senza conoscersi e solo dopo il golpe di stato del 1952 di Fulgencio Batista si incontrano nella commemorazione di un compagno morto, al Cimitero Colon de L'Avana.
Subito Abel riconosce in Fidel il leader, "l'uomo di Cuba", l'unico che può restituire al suo paese una condizione di libertà.
"La cosa davvero impressionante del carattere di mio zio è stato il suo senso della giustizia così grande, questo pensamento martiano quasi naturale, innato".
"I soldi dell'epoca della casa del Vedado erano molto pochi, se si compravano i libri o le munizioni e i fucili, spesso non potevano mangiare".
"Dunque non stiamo parlando di rivoluzionari colti e preparati dal punto di vista letterario, erano giovani puri, con un forte senso della giustizia sociale, che sono stati marcati dall'evidenzia del vivere quotidiano, dall'osservazione della corruzione generalizzata, che portavano dentro di loro il desiderio di cambiare le cose con equità"; così Celia continua a parlarmi del secondo uomo del Movimento 26 luglio".
"Solo Fidel e Abel sapevano tutto il progetto dell'attacco alla caserma, avevano preparato minuziosamente tutti i particolari e proprio per proteggere gli altri compagni non gli avevano detto niente fino all'ultimo".
"Mia mamma mi ha raccontato che anche se non sapevano esattamente che questo era il primo atto della loro Rivoluzione, erano preparati ad affrontare questo passo, prima o poi, e Abel diceva che dopo la prima rivolta sarebbe stato più difficile vivere che morire, che lei doveva vivere mentre probabilmente a lui sarebbe toccato morire".
"E nonostante le torture che lei ha dovuto subire, l'orrore di vedere gli occhi di mio zio Abel messi su un vassoio, utilizzati come ricatto perché denunciasse i compagni, Haydée affermava che gli uomini non erano cattivi, lei nel Moncada aveva capito che era il sistema quello che doveva essere cambiato, non l'uomo".
Celia aggiunge che Abel e gli altri martiri del Moncada sono rimasti come anime protettrici della Rivoluzione, cuori enormi con grandi potenzialità che non si sono potute realizzare, figure notevoli stroncate sul nascere.
"E nonostante mio zio Abel abbia sacrificato la sua vita, aveva compiuto il suo obbiettivo di incominciare la lotta, di aprire un cammino e permettere che Fidel continuasse vivo".
"Mia mamma, anche lei ha saputo affrontare il suo dolore traendone una forza enorme, come afferma nella lettera scritta ai genitori dalla prigione di Guanajay, dove da coraggio a mia nonna dicendole che è una madre privilegiata, che sempre avrà un figlio giovane che non invecchierà, che continua ad essere sempre bello, con la sua forza e la sua tenerezza infinita".
"Le dice che bisogna pensare ad Abel in modo diverso, che lui continua ad essere accanto a tutti noi perché Fidel è vivo e può fare di Cuba quello che Abel desiderava, che mia nonna dovrà perpetrare ciò che lui stava cercando, amare quello che tanto amò e dedicarsi alla difesa di quella che era la ragione della sua vita, cioè i lavoratori del Central e non dei suoi padroni sfruttatori".
Mentre Celia parla di questo ragazzo del Moncada non posso fare a meno di pensare che Abel, Fidel, Haydée, Melba.. questa progenie preziosa del popolo cubano hanno dato il via, con l'attacco alla caserma Moncada, ad una lotta permanente che è continuata dopo il 1959, dopo il trionfo della Rivoluzione Cubana, si è riflessa nelle lotte del Che Guevara ed ora è più che mai presente nell'opera grandiosa di questa America Latina che sta nascendo. Loro, gli illuminati dal destino rappresentavano già quell'uomo nuovo che cercò poi di insegnarci il Che Guevara.
Come italiana e europea posso solo sperare che al più presto questo germe ribelle possa scuotere anche i cuori e le anime del mio paese, perché anche nel seno della Vecchia Europa possiamo renderci conto che il neoliberismo ha fallito, che solo una consapevole giustizia sociale è il futuro del nostro pianeta, che per difendere la rivoluzione socialista bisogna lottare per la rivoluzione mondiale.
Voglio chiudere questa chiacchierata con Celia su Abel con una frase dell'altro angelo protettore della rivoluzione mondiale, anche lui morto giovane e sempre vivo, come Abel, puro e senza difetti, il Che Guevara, che ci ricorda che
"... vale, però milioni di volte di più, la vita di un solo essere umano, che tutte le proprietà dell'uomo più ricco della terra".
L'autrice è responsabile della pagina in italiano di "Prensa Latina".
Cuba. Una identità in movimento
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