Se si parla di Cuba nell'attuale congiuntura internazionale, mi pare difficile sottrarsi ad un confronto e ad un ragionamento. Infatti, un'altra prospettiva su cui sono puntati gli occhi del mondo, e in particolare degli osservatori "di sinistra", si trova singolarmente vicina a Cuba: il Messico dell'Esercito Zapatista e del SubComandante Marcos. È stato sottolineato più volte che tra Marcos e Cuba non sembra correre buon sangue; o comunque sembra dominare una prudente indifferenza.
Marcos sembra mantenere le distanze[1], aderendo, mi pare, all'immagine di Cuba arroccata, rappresentante della specie in via di estinzione dei paesi del socialismo reale. Sul Granma, tra le parche notizie internazionali, ricordo un breve occhiello su un criminale eccidio perpetrato dall'esercito messicano, nulla più. Mi sembra che vi sia una reciproca sottostima, dovuta soprattutto ad un prudente sospetto per il diverso.
Ovviamente, bisognerebbe essere ciechi per non vedere le differenze tra le due situazioni. A Cuba vi è un regime che governa incontrastato (all'interno) da 40 anni, e che ora cerca di uscire dalle difficoltà create dalla situazione internazionale negli ultimi 10 anni. Il Chiapas non è propriamente Terzo Mondo: piuttosto è una realtà di Terzo (o Quarto) Mondo all'interno di un paese che pretende di essere entrato tra quelli del Primo Mondo (a costo, appunto, di queste contraddizioni). Una di quelle contraddizioni, appunto, che a Cuba sono scomparse (almeno in questa forma). Per inciso, chi visiti il Messico e Cuba non può mancare di stupirsi per la profonda differenza tra i due paesi, i due popoli, le due culture, che non hanno assolutamente nulla in comune! (Se non la lingua attuale, escluse tante parole di uso comune)"[2].
Anche i problemi attuali che si affrontano nelle due situazioni sono ovviamente completamente diversi. Non c'è quindi da stupirsi che si siano elaborate (o si stiano elaborando) due strategie diverse. Marcos ha bisogno di un particolare tipo di attenzione e di solidarietà internazionali: la presenza di delegazioni straniere per impedire l'offensiva dell'esercito messicano, forse certi tipi di aiuti. Castro non corre rischi interni e cerca la solidarietà internazionale contro gli USA per rompere il bloqueo. Marcos ha elaborato negli ultimi anni le sue idee, e indubbiamente ha saputo confrontarsi (mostrando anche una sensibilità non comune) con i temi più nuovi ed attuali (anche se, nel leggere i suoi peraltro stimolanti messaggi, non riesco a sottrarmi all'impressione di una certa approssimazione, di un taglio o un linguaggio forse a volte un po' infantili). Castro viene dal tronco ufficiale[3] del marxismo ortodosso, ha alle spalle un'elaborazione e un'eredità con questo, non si pensi che a Cuba il dibattito sia solo "grigio": vi è indubbiamente il grigiore, con tanti aspetti negativi, ma vi è anche un grosso e vivace dibattito sull'attualità e le fonti del marxismo, sulle prospettive, sull'economia (il problema semmai sarebbe di valutare quanto di questo dibattito arriva al vertice). Marcos insiste molto sui temi ambientali, e li coniuga con il pensiero marxista. Su questo, come dicevo nell'articolo, a Cuba il livello ufficiale sembra meno sensibile, se non per la campagna di risparmio di energia elettrica, che sembra generata soprattutto dalla strozzatura economica attuale: non mi ripeto invece sulle altre forze che stanno operando in questo senso. I recenti interventi di Fidel Castro in Svizzera (ma anche quello che pronunciò a Roma), il suo abbraccio con Mandela, rimangono però le espressioni ufficiali più alte, al livello almeno di Capi di Stato, nel dibattito politico ed economico mondiale (nel brindisi al pranzo offerto dal Primo Ministro svizzero egli si è rifatto in primo luogo ai problemi ambientali, anche se non mi sembra che ne abbia tratto le conseguenze, come ha fatto invece per la situazione economica e sociale mondiali).
Forse ci sarebbero tante altre differenze da rilevare e discutere. Ma il problema interessante mi sembra di cercare di capire se "oggettivamente", "in prospettiva", tra le due situazioni e le relative posizioni e strategie vi sia convergenza o conflitto. La risposta non mi pare né facile né ovvia: se non altro perché tutt'altro che facile mi sembra prevedere come evolveranno le due situazioni nel contesto dell'evoluzione mondiale. Cuba attualmente non mostra problemi politici interni. Io ho il dubbio che, se da un giorno all'altro l'embargo venisse completamente tolto, il paese potrebbe attualmente non reggere l'impatto: o comunque subirebbe conseguenze e trasformazioni difficili per me da immaginare. Il problema mi sembra semmai se l'evoluzione della situazione che cercavo di discutere nell'articolo riuscirà a realizzare una base materiale nel paese che consenta una trasformazione "dolce" anche del regime (con l'incognita, tutt'altro che semplice, di che cosa accadrebbe il giorno che Castro morisse). Al contrario, la situazione in Chapas mi sembra dipendere in modo sostanziale dall'evoluzione della situazione politica interna del Messico (senza con questo trascurare l'importanza della solidarietà internazionale, che del resto è fondamentale anche per Cuba, sia in termini politici, sia in termini economici, per la realizzazione dei progetti che discutevo nell'articolo). Vale la pena di sottolineare anche l'importanza che tuttora il Messico, quello ufficiale, riveste per Cuba: personalmente non ho dati sul commercio, ma vedo che dall'Università e dai centri scientifici cubani il Messico è (dopo la caduta del blocco comunista) il paese in cui più frequentemente viaggiano i ricercatori, anche per lunghi soggiorni.
Se dovesse perdurare un mondo endemicamente conflittuale, controllato solo dalla forza monopolare degli USA, il Chiapas e Cuba potrebbero proseguire nelle loro strade non comunicanti. Ma se i paesi (e i popoli) "sfruttati" riuscissero a stabilire una qualche strategia comune (come predicano sia Castro che Marcos), è pensabile che l'incomunicabilità possa perdurare? Se la crisi ambientale sul pianeta dovesse precipitare e si dovessero seriamente prenedere provvedimenti energici a livello mondiale, è pensabile che queste due situazioni spazialmente così vicine non dovranno confrontarsi, e semmai riconoscere e utilizzare i reciproci meriti di elaborazione e di realizzazioni concrete? Se la situazione interna al Messico dovesse precipitare in una crisi politica e sociale generalizzata, come potrebbe Cuba ignorare quello che accade, tirarsi fuori, non prendere partito?
Un altro aspetto molto importante che meriterebbe di essere analizzato sarebbe un'analisi approfondita delle elaborazioni teoriche, delle posizioni politiche cubane e zapatiste. Mi sembra però un'analisi molto ardua da affrontare seriamente, in primo luogo perché nel caso di Cuba credo che un paio di maniche siano le posizioni ufficiali, e tutto un altro paio di maniche quello che si muove ed opera concretamente nella società cubana. Se ad esempio paragoniamo l'elaborazione che viene presentata nella rivista di "Cubasolar", Energìa y Tu, non vedo differenze sostanziali rispetto alle posizioni di Marcos, se non il fatto che queste ultime riguardano il livello strategico mondiale, mentre quelle di "Cubasolar" si concentrano soprattutto sui problemi ambientali ed energetici, anche se non trascurano quelli economici e del neoliberalismo imperante, ma non per tracciare strategie politiche mondiali. Lo stesso, credo (ma lo conosco meno), per il dibattito economico e teorico più nuovo e vivace cubano, dove hanno inevitabilmente il sopravvento i problemi delle scelte interne del paese.
Non sono in grado di trarre conclusioni, ma mi sembra un tema molto interessante da discutere, con risvolti "teorici" non indifferenti.
Note
- Ricordo vagamente un libro di intervista a Marcos in cui egli fa riferimento a Cuba, ma non ricordo i termini: mi sembravano più di "freddezza", o presa di distanza, che non di aperta critica. Sarebbe interessante ritrovarla e riportarla.
- La storia ha in queste differenze un ruolo fondamentale. Gli indios del Chiapas, e in generale del Messico, sono sostanzialmente gli eredi delle popolazioni originarie al momento della conquista: i reduci dal genocidio sono rimasti separati e discriminati dai conquistatori bianchi, il meticciato è relativamente limitato. Bisogna girare per i mercati messicani per vedere, praticamente solo lì, gli indios con i costumi tradizionali che scendono dalle montagne per vendere le poche merci.
La storia di Cuba è assolutamente diversa. Le popolazioni originarie in breve tempo scomparvero completamente (molto rari sono oggi i caratteri somatici misti con tratti delle popolazioni originarie). Invece nei secoli XVIII e XIX vennero portati dall'Africa gli schiavi negri (in questo semmai Cuba è forse più simile al Brasile, come si può verificare direttamente attraverso i riti della religione sincretica, anche nei romanzi di Jorge Amado). Anche se permangono a Cuba segni di differenza razziale, non si può certo parlare di discriminazioni paragonabili a quelle imperanti in Messico: colpisce il fatto di vedere a Cuba tutte le sfumature del colore della pelle dal bianco latte al nero fumo, senza differenze abissali di condizione economica e sociale. La "cultura afrocubana" è il vero tratto caratteristico di quest'isola, che la differenzia da tutti i paesi del mondo (Fernando Ortiz è il sociologo, chiamato non a caso il "terzo scopritore di Cuba" dopo Colombo e von Humboldt, che ha approfondito questi temi in opere magistrali dal punto di vista scientifico e letterario).
- Parlo di "tronco" e non di "radici", perché sono tra coloro che pensano che l'URSS e Marx avessero poco in comune!