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Cuba |
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Una identità in movimento | ||
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Durante il VI Incontro Emisferico dell'Avana, discutendo il tema della produzione dei biocombustibili di origine alimentare, sempre più cari, la stragrande maggioranza si è opposta con indignazione. Era però indiscutibile che qualche personalità di prestigio, autorità e buona fede fosse stata persuasa dall'idea che la biomassa del pianeta era sufficiente per entrambe le cose in un tempo relativamente breve, senza pensare all'urgenza di produrre gli alimenti che, già di per se scarsi, servirebbero come materia prima per l'etanolo e l'agrodiesel.
Quando, viceversa, si è dibattuto il tema dei Trattati di Libero Commercio con gli Stati Uniti, le varie decine di persone partecipanti, hanno tutte unanimemente condannato sia le forme bilaterali che multilaterali di questi accordi stipulati con la potenza imperiale.
Prendendo in considerazione la necessità di spazio, torno ad utilizzare il metodo della sintesi per esporre tre eloquenti interventi di personalità latinoamericane che hanno espresso concetti d'enorme interesse, facendolo con grande chiarezza e peculiarità. Si rispettano esattamente, come in tutte le sintesi delle precedenti Riflessioni, le forme d'esposizione degli autori.
ALBERTO ARROYO (Messico, Rete messicana d'Azione contro il Libero Commercio)
Desidero condividere con voi i recenti piani dell'impero e cercare di avvertire il resto del continente su qualcosa di nuovo che sta nascendo, o che sta avanzando, una nuova strategia di una nuova fase dell'offensiva degli Stati Uniti. Il NAFTA o il TLC dell'America del Nord sono stati semplicemente il primo passo di ciò che si vorrebbe per l'intero continente.
Il nuovo tentativo sembra non considerare la sconfitta che ha significato il mancato conseguimento dell'ALCA , che incluso nel suo "Piano B" , riconosce di non potere raggiungere simultaneamente in tutti i paesi del continente ciò che definisce l'ALCA integrale; ci proverà frazionandola, negoziando bilateralmente degli Accordi di Libero Commercio.
È riuscito a firmarlo con il Centro America, ma il Costa Rica non l'ha ratificato. Nel caso della zona andina, non riesce nemmeno a riunire l'insieme dei paesi ad un tavolo di negoziazione. Ci è riuscito solamente con due e con questi non ha potuto nemmeno terminare i negoziati.
Cosa porta di nuovo l'ASPAN (Alleanza per la Sicurezza e Prosperità dell'America del Nord)? Mi sembrano fondamentali tre aspetti:
Primo: la sua reazione al trionfo del movimento che sta arrestando i suoi piani, è rafforzare i sistemi militari e di sicurezza per fronteggiare la resistenza popolare.
Non è solamente collocare delle basi militari nelle zone pericolose o nelle zone con abbondanti risorse naturali e strategiche, bensì cercare di creare una stretta coordinazione, stabilendone i piani con i vari paesi, per migliorare i sistemi di sicurezza, affrontando i movimenti sociali come se fossero dei criminali.
Questa la prima novità.
Il secondo elemento, anche questo per me nuovo: i grandi protagonisti di questo schema neoliberale sono sempre state direttamente le multinazionali. I governi, particolarmente quello degli Stati Uniti, erano i portavoce, coloro che intrattenevano formalmente i negoziati, ma realmente gli interessi che stavano difendendo erano direttamente quelli delle corporazioni. Erano i grandi attori nascosti dietro i TLC ed il progetto dell'ALCA.
La novità nel nuovo schema dell'ASPAN è che questi attori escono allo scoperto, passano in primo piano e questo rapporto s'inverte: i gruppi imprenditoriali parlano direttamente tra loro, in presenza dei governi, che cercano quindi di tradurre in politica, in cambi dei regolamenti, delle leggi, eccetera, i loro accordi. Non gli è bastato privatizzare le imprese pubbliche, stanno privatizzando la politica. Gli imprenditori non erano mai stati coloro che avevano direttamente determinato la politica economica.
L'ASPAN comincia con una riunione, con un cosiddetto "Incontro per la prosperità dell'America del Nord", cioè con degli incontri tra imprenditori di tre nazioni.
Tra gli accordi operativi che si decidono nell'ASPAN, uno è quello di creare delle commissioni settoriali tra tre nazioni, da loro definite tra "capitani d'industria", per stabilire nella regione nordamericana un piano strategico di sviluppo di un determinato settore. Ossia, la Ford si moltiplica o si divide in tre: la compagnia Ford direttamente negli Stati Uniti, le filiali della Ford in Messico ed in Canada, decidono la strategia per il settore automobilistico nordamericano. È la compagnia Ford parlando come in uno specchio, con i suoi impiegati, con i direttori delle imprese automobilistiche in Canada ed in Messico, a decidere il piano strategico da presentare ai governi, affinché lo traducano e lo mettano in pratica con concrete politiche economiche.
Esiste uno schema che comprende l'aspetto della sicurezza, un secondo punto che consiste nel privatizzare i negoziati e, ricordando una frase dei nostri nonni classici, il terzo aspetto è forse quella frase di Engels nella quale affermava che nel momento in cui con i meccanismi della democrazia formale il popolo può essere sul punto di prendere il potere, come lo zero nel termometro o il 100, cambiano le regole del gioco: l'acqua, o si congela o entra in ebollizione, e nonostante si stia parlando di democrazie borghesi, i primi che rompono le regole sono loro.
I Trattati di Libero Commercio devono passare l'iter parlamentare , ma succede che hanno sempre più difficoltà ad essere ratificati proprio dai congressi, compreso quello dell'impero, il Congresso degli Stati Uniti.
Dicono che non è un trattato internazionale, perciò non deve passare per il parlamento. Siccome toccano temi che sconvolgono il quadro legale dei nostri paesi, lo presenteranno in parti; decidono in un momento la modifica di una legge, in un secondo momento di un'altra; rendono effettivi decreti esecutivi, cambi di norme operative, di regole di funzionamento standard, mai l'intero pacchetto.
I Trattati di libero Commercio, nonostante siano stati decisi alle nostre spalle ed in generale alle spalle di tutti i popoli, primo o poi si traducono in un testo scritto per il congresso e così veniamo a sapere che cosa hanno stipulato. Pretendono che non veniamo mai conoscenza di che cosa hanno deciso, vedremo solo pezzettini della strategia, poiché non si trasformerà mai in un testo completo.
Terminerò con un aneddoto, per renderci conto, sotto l'aspetto della sicurezza, a che grado di perfezione sono arrivati gli accordi ed i meccanismi d'integrazione degli apparati.
Un giorno, un aereo stava partendo da Toronto con dei turisti che andavano in vacanza a Puerto Vallarta in Messico. Quando l'aereo entra in pista, controllando più minuziosamente la lista dei passeggeri, scoprono che è presente qualcuno della lista dei terroristi di Bush.
Appena il velivolo entra nello spazio aereo statunitense — raggiungibile da Toronto sorvolando in pochi minuti i Grandi Laghi — due F-16 si posizionano al suo fianco. Lo tolgono dallo spazio aereo nordamericano, lo scortano fino al territorio messicano, lo fanno atterrare nella parte militare dell'aeroporto ed arrestano il tipo e la sua famiglia la rimpatriano.
Potete immaginarvi la sensazione dei 200 poveri turisti che si trovavano lì, vedendo due F-16 armati che s'affiancano all'aereo facendogli cambiare rotta.
Successivamente, risulta che non era il terrorista che s'aspettavano e gli dicono:
JORGE CORONADO (Costa Rica, Alleanza Sociale Continentale)
La lotta contro il libero commercio nella regione possiede diversi aspetti. Uno dei progetti più dominanti dell'infrastruttura, dell'appropriazione della nostra biodiversità, è il Piano Puebla-Panama, una strategia che non è solo d'appropriazione delle nostre risorse, bensì parte di una strategia militare dell'impero che va dal sud del Messico fino alla Colombia, passando per l'America centrale.
Nella lotta contro le centrali idroelettriche, che spoglia e violenta i territori indigeni e contadini, abbiamo avuto casi in cui, mediante la repressione militare, sono stati sradicate dalla regione diverse comunità indigene e contadine.
Vi è la componente della lotta contro lo sfruttamento delle miniere. Multinazionali canadesi, europee, statunitensi hanno seguito questa strategia d'appropriazione.
Stiamo affrontando la privatizzazione dei servizi pubblici: energia elettrica, acqua, telecomunicazioni; la lotta nel settore agricolo, la difesa delle sementi, contro i brevetti riguardanti gli esseri viventi e contro la perdita della sovranità nei confronti dei transgenici.
Stiamo lottando contro la flessibilità del lavoro, uno degli orientamenti del settore e, ovviamente, contro lo smantellamento della nostra piccola produzione contadina.
Inoltre, la lotta contro il tema della proprietà intellettuale che priva la nostra previdenza dell'uso dei medicinali generici, il principale asse di distribuzione dei nostri istituti di previdenza sociale nella regione.
Un fattore centrale in questa lotta contro il libero commercio è stato contro i Trattati di Libero Commercio e, particolarmente, contro i Trattati di Libero Commercio con gli Stati Uniti, approvati in Guatemala, in Honduras, El Salvador e Nicaragua, con il sangue e con il fuoco. E non è una frase retorica.
In Guatemala, alcuni compagni di lotta sono stati assassinati mentre ne contestavano l'approvazione. Quella lotta ci ha permesso di garantire un asse per articolare e mobilizzare nella regione una maggiore unità del movimento popolare.
Nel caso del Parlamento honduregno, i deputati se ne sono andati dal Parlamento, non garantendo il minimo legale istituzionale.
Nel seno del movimento popolare, non l'abbiamo considerata una sconfitta. Abbiamo perso una battaglia, ma ci ha permesso un salto qualitativo nell'organizzazione, nell'unità e nell'esperienza di lotta contro il libero commercio.
Il Movimento Sociale Popolare ed il popolo del Costa Rica, che finora hanno impedito l'approvazione del TLC, fondendosi uniti con diversi settori accademici, politici e perfino imprenditoriali, per creare un grande fronte nazionale di lotta, diverso ed eterogeneo, sono riusciti al momento a fermare il governo costaricano, la destra neoliberale, che non ha potuto approvare il TLC. Attualmente in Costa Rica si sta studiando la possibilità di definire il tema del TLC mediante un referendum.
In Costa Rica, siamo alle porte di una giornata fondamentale nell'impedire l'avanzata del programma neoliberale. Una sconfitta di questo trattato significherebbe, simbolicamente, aggiungere un'altra vittoria, come è stato fermare ed arrestare l'ALCA.
Oggi abbiamo bisogno della solidarietà del movimento popolare, oggi chiediamo alle organizzazioni sociali e popolari che vengano in Costa Rica come osservatori internazionali. La destra si prepara ad incoraggiare, se è possibile, una frode che le garantisca vincere una battaglia persa, e la presenza d'osservatori internazionali provenienti dal movimento popolare, sarà un apporto importante di solidarietà attiva e militante con la nostra lotta.
Dopo un anno, in nessun paese dell'America Centrale il TLC ha portato maggiore occupazione, maggiori investimenti, né condizioni migliori nel bilancio commerciale. Oggi lanciamo, in tutta la regione, la proposta della riforma agraria, della sovranità e della sicurezza alimentare, come asse centrale per i nostri paesi, eminentemente agricoli.
Oggi, non solo gli Stati Uniti, ma anche gli europei, vogliono appropriarsi di una delle regioni più ricche per biodiversità e risorse naturali. Oggi, più che mai l'asse organizzativo dei nostri diversi movimenti nella regione centroamericana è affrontare il libero commercio nelle sue molteplici manifestazioni e questo incontro spero ci aiuti a dare elementi organizzativi, assi di lotta, assi d'azione congiunta, che ci permettano d'avanzare in tutto l'emisfero come una sola forza popolare.
JAIME ESTAY (Cile, coordinatore della Rete degli Studi dell'Economia Mondiale, REDEM, attualmente professore dell'Università di Puebla, Messico)
Questa crisi, in definitiva, è dovuta ad una manifesta inosservanza delle promesse che accompagnarono l'insieme delle riforme iniziate in America Latina negli anni ottanta.
Sotto la bandiera del libero commerciaci ci dissero che saremmo riusciti a far crescere le nostre economie, che saremmo riusciti a diminuire i livelli di disuguaglianza all'interno dei nostri paesi, le distanze tra i nostri paesi ed il mondo avanzato e, in definitiva, che saremmo riusciti a fare il salto verso lo sviluppo. In alcuni paesi si arrivò a dire di un salto verso il Primo Mondo.
Riguardo alla nuova integrazione o a questo regionalismo aperto, iniziato oltre 15 anni fa, si era stabilito di porre l'integrazione latinoamericana, o ciò che abbiamo qualificato come integrazione latinoamericana, al servizio dell'apertura.
Si è sviluppato tutto un discorso indirizzato a creare un'integrazione per aprire, un'integrazione che non fosse la vecchia integrazione protezionista, bensì un'integrazione attraverso la quale avremmo raggiunto le condizioni migliori per inserirci in questa economia globale, in questi mercati che, funzionando naturalmente in maniera libera, avrebbero fornito i migliori risultati possibili per i nostri paesi.
Quel rapporto tra integrazione ed apertura, quell'idea che l'obbiettivo supremo dell'integrazione doveva essere l'apertura dei nostri paesi, effettivamente si è compiuta, effettivamente i nostri paesi si sono aperti ed effettivamente e disgraziatamente il punto centrale dell'integrazione latinoamericana è consistito nel metterla al servizio di quell'apertura.
Alcuni funzionari parlarono della cosiddetta "tappa pragmatica dell'integrazione". Avanziamo come possiamo, era un po' la consegna. Se ciò che desideriamo è commerciare di più, concentriamoci a commerciare di più; se ciò che desideriamo è firmare una moltitudine di piccoli accordi tra paesi, accordi bilaterali o tra tre o quattro paesi, progrediamo su questo lato, in un determinato momento potremmo chiamare tutto questo integrazione latinoamericana.
Il bilancio è chiaramente negativo. Credo ci sia, a diversi livelli, un riconoscimento sempre maggiore che ciò che abbiamo chiamato integrazione latinoamericana non è integrazione, ma è commercio e non è latinoamericano, bensì un groviglio d'accordi firmati tra distinti paesi della regione, che in nessun modo ha dato luogo ad un processo che abbia un carattere effettivamente latinoamericano. L'apertura, al cui servizio si suppone dovevamo mettere l'integrazione, non ha dato nessuno dei risultati che ci annunciavano in termini di crescita economica, di diminuzione delle disuguaglianze e dei successi del tanto anelato sviluppo, che ci dicevano avrebbe dovuto arrivare.
Ciò che bisognerebbe sottolineare è che stiamo assistendo ad un deterioramento estremo di uno stile d'integrazione che aveva chiaramente definito il perché, il per come ed il per chi, s'integrava.
In definitiva, sto parlando di un'integrazione pensata partendo da basi neoliberiste e che è fallita, tanto nei suoi obbiettivi, quanto negli obbiettivi a cui tutti abbiamo diritto, esigendo ed aspettando un vero processo d'integrazione.
La nuova integrazione latinoamericana si era fortemente sostenuta sulle politiche e le proposte provenienti da Washington. In buona misura, quelle proposte statunitensi si sono trasformate in qualcosa che si conclude nutrendosi della sua stessa creatura. Il solo fatto di firmare i Trattati di Libero Commercio mette in crisi sia la comunità andina che il Mercato Comune Centroamericano.
Parte importante della crisi dell'attuale integrazione latinoamericana ha a che vedere con la crescita del progetto emisferico statunitense, non grazie all'ALCA, che si è riusciti a frenare, ma attraverso la firma dei diversi Trattati di Libero Commercio.
Nell'attuale panorama dell'integrazione, s'evidenzia con maggiore chiarezza la presenza di alternative. Per molti versi, l'ALBA si basa su principi radicalmente differenti da quelli di questa integrazione ormai in crisi.
Ci sono molti funzioni da definire e frontiere da delimitare. Il significato di concetti come "libero commercio", "sviluppo nazionale", "libertà di mercato", "sicurezza e sovranità alimentare", eccetera. Ciò che si può affermare è che stiamo assistendo, nello scenario emisferico e latinoamericano, ad una crescente rivolta nei confronti del predominio neoliberale.
Fin a qui, le opinioni espresse da queste tre personalità che sintetizzano quelle di molti partecipanti al dibattito sui Trattati di Libero Commercio. Sono punti di vista molto solidi che partono da un'amara realtà e che hanno arricchito le mie idee.
Raccomando ai lettori di prestare attenzione alle complessità dell'attività umana. È l'unica forme di vedere più lontano.
Lo spazio si è esaurito. Oggi non devo aggiungere una parola di più.
Pagina inviata dall'Ambasciata di Cuba in Italia
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En el VI Encuentro Hemisférico de La Habana, cuando se discutió el tema de la producción de biocombustibles a partir de alimentos, que son cada vez más caros, la inmensa mayoría se opuso con indignación. Pero era indiscutible que algunas personalidades de prestigio, autoridad y buena fe habían sido ganadas por la idea de que la biomasa del planeta alcanzaba para ambas cosas en un tiempo relativamente breve, sin pensar en la urgencia de producir los alimentos que, ya escasos de por sí, servirían de materia prima para el etanol y el agrodiésel.
Cuando, en cambio, se abrió a debate el tema de los Tratados de Libre Comercio con Estados Unidos, participaron varias decenas de personas, y todas condenaron unánimemente tanto las formas bilaterales como multilaterales de tales acuerdos con la potencia imperial.
Tomando en cuenta la necesidad de espacio, vuelvo a utilizar el método de la síntesis para exponer tres intervenciones elocuentes de personalidades latinoamericanas que expresaron conceptos de enorme interés y lo hicieron con gran claridad y peculiaridad. Se respetan, como en todas las síntesis de las Reflexiones anteriores, las formas exactas de exposición de los autores.
ALBERTO ARROYO (México, Red mexicana de Acción contra el Libre Comercio)
Yo quisiera compartir con ustedes los nuevos planes del imperio y tratar de alertar al resto del continente de algo nuevo que está surgiendo o que está avanzando como una nueva estrategia a una nueva etapa de la ofensiva de Estados Unidos. El NAFTA o el TLC de América del Norte fue simplemente el primer paso de algo que quiere para todo el continente.
El nuevo intento parece no tomar en cuenta la derrota que ha significado el no poder lograr el ALCA, el que, incluso, en su Plan "B" reconoce que no puede sacar lo que él llama el ALCA integral simultáneamente con todos los países del continente; va a intentar ir, por pedazos, negociando bilateralmente Acuerdos de Libre Comercio.
Con Centroamérica logró firmarlo, pero Costa Rica no lo ha ratificado. En el caso de la zona andina, no logra ni siquiera sentar a la mesa al conjunto de los países, sino solo a dos, y con esos dos no ha podido terminar las negociaciones.
¿Qué es lo nuevo del ASPAN (Alianza para la Seguridad y Prosperidad de América del Norte)? Tres cosas que me parecen fundamentales:
Primera: Fortalecer los esquemas militares y de seguridad para enfrentar la resistencia de los pueblos es precisamente su reacción ante el triunfo del movimiento que le detiene sus planes.
No es solamente ubicar bases militares en las zonas de peligro o en las zonas con altos recursos naturales estratégicos, sino tratar de crear una coordinación estrecha, con planes concertados con los países, para mejorar los esquemas de seguridad que son una forma de enfrentar, como si fueran criminales, a los movimientos sociales.
Este es el primer aspecto novedoso.
Segundo elemento, que me parece también una novedad: los grandes actores de todo este esquema neoliberal siempre lo fueron directamente las transnacionales. Los gobiernos, particularmente el gobierno de Estados Unidos, eran los voceros, los que llevaban formalmente las negociaciones, pero realmente los intereses que estaban defendiendo eran directamente los de las corporaciones. Eran los grandes actores ocultos detrás de los TLC y detrás del proyecto del ALCA.
La novedad en el nuevo esquema del ASPAN es que estos actores salen de la oscuridad, pasan al primer plano y se invierte esta relación: los grupos empresariales directamente hablando entre sí, con presencia de los gobiernos, que luego van a tratar de traducir en políticas, en cambios de reglamentos, en cambios de leyes, etcétera, sus acuerdos. Ya no les bastó con privatizar las empresas públicas; están privatizando la política como tal. Los empresarios nunca habían sido directamente los que definían la política económica.
El ASPAN comienza en una reunión, llamada, digamos, "Un encuentro para la prosperidad de América del Norte", que eran encuentros trinacionales de empresarios.
De los acuerdos operativos que están tomando en el ASPAN, uno es crear comités trinacionales, de lo que ellos llaman "los capitanes de la industria", por sectores, para que definan un plan estratégico de desarrollo del sector en la región de América del Norte. Es decir, la Ford se multiplica o se divide entre tres: la Ford directamente corporativa en Estados Unidos, subgerente de la Ford en México, subgerente de la Ford en Canadá, y deciden cuál es la estrategia para el sector automotriz en América del Norte. Es la corporación Ford hablando con un espejo, con sus empleados, con los directores de las automotrices en Canadá y en México, para acordar el plan estratégico que les presentan a los gobiernos para que lo traduzcan y lo implementen en políticas económicas concretas.
Hay un esquema de incorporar el aspecto de seguridad; segundo punto, privatizar directamente las negociaciones; y el tercer aspecto novedoso de este esquema es quizás, para recordar una frase de nuestros abuelos clásicos, aquella frase de Engels en que planteaba que cuando con los mecanismos de la democracia formal el pueblo puede estar a punto de tomar el poder, como el cero en el termómetro o el 100, cambian las reglas del juego: el agua, o se congela o entra en ebullición, y a pesar de estar hablando de las democracias burguesas, los primeros que van a romper con las reglas son ellos.
Los Tratados de Libre Comercio tienen que pasar por los congresos, y el hecho es que cada vez tienen más dificultades para ser ratificados por los congresos, incluido el Congreso del imperio, el Congreso de Estados Unidos.
Están hablando de que esto no es un tratado internacional, por tanto, no tiene que pasar por los congresos. Como sí tocan temas que trastocan el marco legal en nuestros países, van a ir presentando pedacitos; deciden una modificación a una legislación en un momento, en otro momento a otra; se implementan decretos del ejecutivo, cambios de normas operativas, normas de funcionamiento, estándares, nunca el paquete entero.
Los Tratados de Libre Comercio, a pesar de que se negociaron a espaldas de nosotros y a espaldas en general de todos los pueblos, tarde o temprano se traducen en un texto escrito que va a los congresos y sabemos qué pactaron. Pretenden que nunca sepamos qué pactaron, no vamos a ir viendo más que pedacitos de la estrategia, porque nunca se va a traducir en un texto integrado.
Voy a terminar con una anécdota, para que nos demos cuenta, en el aspecto de seguridad, a qué grado de sofisticación han llegado los acuerdos y los mecanismos operativos de integración de los aparatos de seguridad.
Hace un tiempo sale un avión de Toronto hacia México con turistas que van a Puerto Vallarta de vacaciones. Cuando estaba el avión en la pista, revisando un poco más minuciosamente la lista de pasajeros, descubren que está alguien de la lista de terroristas de Bush.
Apenas entra el avión al espacio aéreo norteamericano ?que de Toronto al espacio aéreo norteamericano no tiene más que pasar los Grandes Lagos, no es más, y en un jet esto es unos cuantos minutos?, y ya estaban dos F-16 al lado del avión. Lo sacan del espacio aéreo norteamericano, escoltan el avión hasta territorio mexicano, lo hacen aterrizar en la parte militar del aeropuerto y apresan al señor este, y a su familia la regresan.
Ustedes imaginen la sensación de los pobres 200 turistas que estaban allí, ver al lado del avión a dos F-16 armados que lo sacan de ruta.
Luego resulta que no era el terrorista que ellos esperaban, y le dicen:
JORGE CORONADO (Costa Rica, Alianza Social Continental)
La lucha contra el libre comercio en la región tiene diversos aspectos. Uno de los proyectos más avasalladores que se han planteado de infraestructura, de apropiación de nuestra biodiversidad, es el Plan Puebla-Panamá, una estrategia que no es solo de apropiación de nuestros recursos, sino parte de una estrategia militar del imperio que va desde el sur de México hasta Colombia, pasando por Centroamérica.
En la lucha contra las represas hidroeléctricas, que desplaza y violenta los territorios indígenas y campesinos, hemos tenido casos en los que, a punta de represión militar, han desplazado diversas comunidades indígenas y campesinas de la región.
Tenemos el componente de la lucha contra la minería. Transnacionales canadienses, europeas, estadounidenses han seguido esta estrategia de apropiación.
Hemos venido enfrentando la privatización de los servicios públicos: energía eléctrica, agua, telecomunicaciones; la lucha en el sector campesino por la defensa de las semillas, contra el patentamiento de seres vivos y contra la pérdida de la soberanía frente a los transgénicos.
Hemos venido luchando contra la flexibilidad laboral, uno de los ejes orientados al sector y, obviamente, contra todo el desmantelamiento de nuestra pequeña producción campesina.
También, la lucha contra el tema de la propiedad intelectual, que priva a nuestra seguridad del uso de medicinas genéricas, que son el principal eje de distribución que tienen nuestros institutos de seguridad social en la región.
Un factor central en esta lucha contra el libre comercio ha sido contra los Tratados de Libre Comercio y, particularmente, contra los Tratados de Libre Comercio con Estados Unidos, aprobados en Guatemala, en Honduras, El Salvador y Nicaragua a sangre y fuego. Y eso no es una frase retórica.
En Guatemala, compañeros luchadores han caído asesinados enfrentándose a la aprobación del mismo. Esa lucha nos ha permitido garantizar un eje articulador y movilizador de la más vasta unidad del movimiento popular en la región.
En el caso del Parlamento hondureño, los diputados se fueron del Parlamento, rompiendo el marco mínimo de la legalidad institucional.
Hemos dicho, dentro del seno del movimiento popular, que no significa una derrota. Hemos perdido una batalla, pero esto ha permitido un salto cualitativo en organización, en unidad y en experiencia de lucha contra el libre comercio.
El Movimiento Social Popular y el pueblo de Costa Rica, que han impedido hasta el día de hoy la aprobación del TLC en Costa Rica, forjando una unidad con diversos sectores académicos, políticos y hasta empresariales, para crear un gran frente nacional de lucha diverso y heterogéneo, hasta hoy han logrado parar al gobierno costarricense, a la derecha neoliberal, que no ha podido aprobar el TLC. Hoy se está planteando la posibilidad de que el tema del TLC en Costa Rica se defina en un referendo.
Estamos a las puertas de una jornada fundamental en Costa Rica en términos de poder impedir el avance de la agenda neoliberal; una derrota de este tratado significaría, simbólicamente, seguir sumando victorias, como ha sido estancar y detener el ALCA.
Hoy requerimos de la solidaridad del movimiento popular, hoy les solicitamos a las organizaciones sociales y populares que lleguen a Costa Rica como observadores internacionales. La derecha se prepara para estimular, si es posible, un fraude que le garantice ganar una pelea que la tiene perdida, y el tener observadores internacionales desde el movimiento popular, va a ser un aporte importante de solidaridad activa y militante con nuestra lucha.
Hoy, después de un año, en ningún país de Centroamérica el TLC ha traído ni más empleo, ni más inversión, ni mejores condiciones de la balanza comercial.
Hoy lanzamos la consigna, en toda la región, de reforma agraria, de soberanía y seguridad alimentaria, como un eje central para nuestros países eminentemente agrícolas.
Hoy quieren, ya no solo Estados Unidos, sino los europeos, apropiarse de una de las regiones más ricas en biodiversidad y más ricas en recursos naturales.
Hoy más que nunca el eje articulador de nuestros diversos movimientos en la región centroamericana es enfrentar al libre comercio en sus múltiples manifestaciones, y este encuentro ojalá ayude a darnos elementos de articulación, ejes de lucha, ejes de acción conjunta, que nos permitan en todo el hemisferio avanzar como una sola fuerza popular.
No cejaremos en nuestros esfuerzos de organización y de lucha hasta alcanzar un nuevo mundo.
JAIME ESTAY (Chile, coordinador de la Red de Estudios de Economía Mundial, REDEM, y actualmente profesor de la Universidad de Puebla en México)
Esta crisis tiene que ver, en definitiva, con un incumplimiento manifiesto de las promesas que acompañaron al conjunto de reformas que se empezaron a aplicar en América Latina desde los años ochenta.
Bajo la bandera del libre comercio se nos dijo que íbamos a lograr que nuestras economías crecieran, que íbamos a lograr disminuir los niveles de desigualdad dentro de nuestros países, las distancias entre nuestros países y el mundo avanzado, y, en definitiva, que íbamos a lograr los saltos hacia el desarrollo. En algunos países se llegó a hablar de los saltos hacia el Primer Mundo.
En lo que respecta a la nueva integración o a este regionalismo abierto que echó a andar hace ya más de 15 años, lo que se planteó era poner la integración latinoamericana, o aquello que hemos calificado como integración latinoamericana, al servicio de la apertura.
Se desarrolló todo un discurso en el sentido de que había que hacer una integración para abrir, una integración que ya no fuera la vieja integración proteccionista, sino una integración a través de la cual lográramos las mejores condiciones para insertarnos en esta economía global, en estos mercados que, supuestamente, al funcionar de manera libre, iban a arrojar los mejores resultados posibles para nuestros países.
Esa relación entre integración y apertura, esa idea de que el objetivo supremo de la integración tenía que ser la apertura de nuestros países, efectivamente se cumplió, efectivamente nuestros países se abrieron, y efectiva y desgraciadamente lo central de la integración latinoamericana consistió en ponerla al servicio de esa apertura.
Algunos funcionarios hablaron de lo que llamaban la "etapa pragmática de la integración". Avancemos como podamos, era un poco la consigna. Si lo que queremos es comerciar más, centrémonos en comerciar más; si lo que queremos es firmar una multitud de pequeños acuerdos entre países, acuerdos bilaterales o entre tres o cuatro países, avancemos por ese lado, y en algún momento a todo eso le podremos llamar integración latinoamericana.
El balance es claramente negativo. Creo que hay un reconocimiento, cada vez mayor en distintos niveles, de que lo que hemos llamado integración latinoamericana no es integración, es comercio; y no es latinoamericano, sino que más bien es una maraña de acuerdos firmados entre distintos países de la región, que de ninguna manera han dado lugar a un proceso que tenga un carácter efectivamente latinoamericano. La apertura, a cuyo servicio se supone que debíamos poner la integración, no ha arrojado ninguno de los resultados que se nos anunciaban en términos de crecimiento económico, de disminución de desigualdades y de logros del tan ansiado desarrollo que se decía que tenía que hacerse presente.
Lo que habría que destacar es que estamos asistiendo a un deterioro extremo de un estilo de integración que tenía muy claramente definido para qué, cómo y para quién se integraba.
En suma, de lo que estoy hablando es de una integración pensada desde los fundamentos del neoliberalismo, que ha fracasado, tanto en términos de sus propios objetivos como en términos de los objetivos que todos tenemos derecho a exigir y a esperar de un verdadero proceso de integración.
La nueva integración latinoamericana se apoyó fuertemente en las políticas y las propuestas que venían desde Washington. En buena medida, esas propuestas estadounidenses se han transformado en algo que termina comiéndose a su propia criatura. El solo hecho de firmar los Tratados de Libre Comercio pone en crisis tanto a la comunidad andina como también al Mercado Común Centroamericano.
Parte importante de la crisis de la actual integración latinoamericana tiene que ver con el avance del proyecto hemisférico estadounidense, no por la vía del ALCA, que logró ser frenado, sino por la vía de firmar distintos Tratados de Libre Comercio.
Se destaca más claramente en el actual panorama de la integración la aparición de alternativas. En muchos sentidos, el ALBA se sustenta en principios que son radicalmente distintos a los de esa integración que está en crisis.
Hay muchas funciones por definir y fronteras que delimitar: el significado que tienen conceptos tales como "libre comercio", "desarrollo nacional", "libertad de mercado", "seguridad y soberanía alimentaria", etcétera.
Lo que puede afirmarse es que estamos asistiendo, en el escenario hemisférico y latinoamericano, a una creciente insurgencia respecto al predominio del neoliberalismo.
Hasta aquí las opiniones expresadas por estas tres personalidades, que sintetizan las de los que participaron en el debate sobre los Tratados de Libre Comercio. Son puntos de vista muy sólidos a partir de una amarga realidad, que han enriquecido mis ideas.
Recomiendo a los lectores prestar atención a las complejidades de la actividad humana. Es la única forma de ver más lejos.
El espacio se agotó. No debo añadir hoy una palabra más.
Página enviada por la Embajada de Cuba en Italia
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Webmaster: Carlo Nobili — Antropologo americanista, Roma, Italia
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