In essi, dove si tentava di ricostruire le vecchie tradizioni africane, si celebravano riti, si cantava e si ballava.
La più solenne esteriorizzazione del cabildo avveniva però durante la festa del Día de Reyes.
Era questa la tipica festa degli africani di Cuba, celebrata da liberti e schiavi il 6 gennaio di ogni anno, ossia nel giorno che la chiesa cattolica ha consacrato alla Epifania o alla adorazione dei Re Magi.
Parafrasando Ortiz — che molto ha scritto su questa festa —, potremmo dire che in quel giorno l’Africa negra e ultratlantica, con i suoi figli, i suoi vestiti, le sue musiche, i suoi dialetti e canti, i suoi balli e le sue cerimonie, le sue religioni e le sue istituzioni politiche, si trasferiva a Cuba, principalmente a La Habana.
La schiavitù che separava i figli dai padri e distruggeva qualsiasi altro legame familiare, attenuava in quel giorno il suo tirannico potere; tutti i negri scendevano per strada, riunendosi secondo la nazione di appartenenza, per dare libero sfogo alle loro ataviche cerimonie.
Accompagnati da timpani, campane, tamburi e altri strumenti, risuonavano nell’aria gli ossessivi ed eccitanti canti e ritmi africani.
Tutti godevano dell’illusione della libertà in una "orgia" di riti, danze, musica, canti e aguardiente.
Día de Reyes all'Avana. Incisione del sec. XIX.